2024-11-08
Il piano di Trump per finire la guerra
Viktor Orban e Volodymyr Zelensky (Ansa)
Gli analisti al seguito del tycoon suggeriscono di congelare il conflitto, blindando le posizioni russe sul 20% del territorio ucraino. Per Kiev aiuti, ma niente Nato. Pronto il rilancio dei Patti di Abramo con i sauditi mentre Pechino per il momento resta guardinga.Pronto anche un giro di vite fra i funzionari per smontare le insidie del deep State.Lo speciale contiene due articoliOra che Donald Trump è il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti il mondo si chiede quali saranno le linee guida che caratterizzeranno la sua azione politica in politica estera. Qui Trump ha più volte detto che il confronto che lo interessa è quello con la Cina e non quello con la Russia. In tal senso il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha affermato: «Sappiamo che, se siamo deboli nei confronti dei regimi autoritari, allora mettiamo a rischio l’ordine internazionale e mandiamo un segnale di vulnerabilità, molto pericoloso. Gli Usa sanno che è nel loro interesse mostrare fermezza, quando trattiamo con regimi autoritari. Se gli Usa sono deboli nei confronti della Russia, che cosa significa questo per la Cina?». Poi ha provato a recuperare su X: «Mi sono nuovamente congratulato con il presidente americano eletto Donald Trump in una conversazione telefonica. L’Ue e gli Usa condividono valori e interessi comuni. Siamo pronti ad approfondire le relazioni Ue-Usa in tutti i campi. Ho evidenziato le priorità dell’Ue in materia di economia e situazione geopolitica, in particolare Ucraina e Medio Oriente. Continueremo a rendere l’Europa più forte e a investire di più nella nostra difesa e sicurezza». A proposito della Cina, un portavoce del ministero del Commercio, in risposta a una domanda su possibili nuovi dazi e restrizioni tecnologiche Usa contro Pechino, ha detto che «la Cina è disposta a rafforzare la comunicazione con gli Usa, ad espandere la cooperazione e a risolvere le differenze sulla base dei principi di rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione vantaggiosa per tutti». Durante la campagna elettorale Trump ha più volte accusato l’amministrazione Biden di non essere stata in grado di trovare una soluzione politica alla guerra in Ucraina e lo ha stesso ha fatto con la guerra in corso dell’Iran -e i suoi proxy- contro Israele. Ma come farà? Secondo il Wall Street Journal i consiglieri di Trump suggeriscono di congelare il conflitto in corso tra Russia e Ucraina, stabilendo l’occupazione russa di circa il 20% del territorio ucraino e chiedendo a Kiev una sospensione dell’adesione alla Nato, pur garantendo gli aiuti. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, citato dall’agenzia Tass ha detto che «la Russia è pronta ad ascoltare con attenzione eventuali idee sensate da parte dell’Ue su come mettere fine al conflitto in Ucraina. Ma finora sono arrivate solo frasi magiche sulla esclusività della “formula Zelensky”, che porta ad un vicolo cieco». Il passaggio sull’Ue è molto sibillino: se gli Usa dovessero sfilarsi a fronte di un no ucraino alle proposte di Trump, l’Unione europea si troverebbe da sola nel sostegno all’Ucraina. Zelensky nel suo discorso al vertice della Comunità politica europea a Budapest, come riporta Rbc Ukraine, ha affermato: «Ieri ho parlato con il presidente Trump, come molti di voi. È stata una conversazione positiva e produttiva ma nessuno può ancora sapere quali saranno le sue azioni concrete. Ma speriamo che l’America diventi più forte. Questo è il tipo di America di cui l’Europa ha bisogno. E l’America ha bisogno di un’Europa forte». Zelensky ha anche detto che «sarebbe totalmente sbagliato mettere in campo un cessate il fuoco e poi vedere cosa fare». A chi gli chiedeva se, come detto da Viktor Orbán, in Europa ci siano più Paesi a favore di una pace dopo le elezioni americane, il leader ucraino ha replicato con un secco «no». Intanto, ci sono stati nuovi problemi tra Varsavia e Kiev con il ministro della Difesa polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamys che si oppone al trasferimento degli aerei da combattimento MiG-29 in Ucraina, che pattugliano i cieli polacchi: «Il limite dell’assistenza è la propria sicurezza», ha affermato. Complesso anche lo scenario in Medio Oriente ma attenzione alle parole del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, che ha parlato telefonicamente con Donald Trump per congratularsi per la vittoria elettorale. Mbs ha dichiarato: «Non vediamo l’ora di approfondire i legami storici e strategici con gli Stati Uniti sotto la guida di Trump». Chiaro il riferimento ai Patti di Abramo che verranno allargati al riconoscimento reciproco di Israele e Arabia Saudita in cambio della nascita di uno Stato palestinese o perlomeno di un qualcosa che si possa trasformare in uno Stato in tempi ragionevoli. Possibile che Trump chieda a Netanyahu di chiudere definitivamente la partita a Gaza e di fermare l’offensiva in Libano. Ma anche qui non ci sono certezze dato che gli attori sono diversi e di mezzo c’è l’Iran nemico giurato di The Donald. A questo proposito il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha minimizzato l’importanza dell’elezione di Trump, affermando all’agenzia Irna che non avrà alcun impatto sulla politica della Repubblica islamica: «Per noi non fa alcuna differenza chi ha vinto le elezioni negli Stati Uniti. L’Iran ha dato priorità allo sviluppo delle relazioni con i Paesi islamici e con quelli limitrofi». In realtà si tratta di una frase per nascondere il panico che da martedì notte imperversa a Teheran.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-piano-di-trump-per-finire-la-guerra-2669632451.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lagenda-per-cambiare-lamerica-confini-chiusi-meno-green-e-tasse" data-post-id="2669632451" data-published-at="1731008820" data-use-pagination="False"> L’agenda per cambiare l’America. Confini chiusi, meno green e tasse Energia, difesa dei confini, tasse: l’agenda di Donald Trump (ri)parte da qui, come hanno annunciato i suoi consiglieri, chiarendo che le priorità del presidente in pectore riguardano il rafforzamento delle frontiere, il contenimento delle politiche green sull’elettrico a favore dell’espansione delle trivellazioni petrolifere e altre misure per promuovere l’indipendenza energetica degli Stati Uniti. La squadra di Trump ci sta lavorando da mesi, ma il processo del passaggio dei poteri potrebbe non seguire il tracciato istituzionale: la transizione è minata dalla diffidenza di Trump nei confronti dell’amministrazione uscente, quel deep State che l’ex presidente intende smantellare. Steve Scalise, capogruppo dei repubblicani alla Camera Usa, ha annunciato che «nei primi 100 giorni dall’insediamento», che avrà luogo il 20 gennaio 2025, i repubblicani promuoveranno un’agenda «audace e conservatrice». Si parte dall’energia: l’intenzione del presidente eletto è di eliminare i vantaggi promossi da Joe Biden a favore dei veicoli elettrici e smantellare le normative relative all’Esg negli Stati Uniti. Le politiche della nuova amministrazione favoriranno l’esplorazione e la produzione energetica. Com’era prevedibile, la posizione di Trump sui combustibili fossili ha allarmato i sostenitori del clima, tra cui quel Trevor Neilson, legato a doppio filo con Bill Gates, che ha investito sui carburanti sostenibili e coordina il Climate Emergency Fund, finanziatore dei maggiori movimenti ambientalisti radicali mondiali. Anche Biden sta cercando di rallentare i piani di Trump sul gas naturale liquido (gnl) promuovendo uno studio che potrebbe complicare i progetti del presidente. Come promesso in campagna, Trump prevede di chiudere il confine tra Stati Uniti e Messico, lungo oltre 3.000 chilometri, già dal primo giorno. Per quanto riguarda le tasse, invece, Trump sarebbe orientato a mantenere le promesse fatte ai suoi elettori: non tassare mance e straordinari, ripristino di detrazioni alle tasse statali o locali e non tassare le prestazioni di sicurezza sociale. Resta soltanto da capire chi lo aiuterà a ribaltare l’America woke. Al netto delle promesse di pacificazione scandite durante la notte elettorale, la preoccupazione sul deep state è tutt’altro che sospesa: Trump ha già annunciato che intende procedere a un repulisti dei «burocrati canaglia» che lo hanno ostacolato nel corso del suo primo mandato, definiti «persone corrotte e disoneste». Il presidente eletto potrebbe emettere un ordine esecutivo per ripristinare l’autorità di licenziare i funzionari ostili attraverso un sistema, noto come allegato F (Schedule F): 20.000 «lealisti» sarebbero già pronti a sostituire l’attuale guardia filo-democratica. Le nomine che spettano al presidente, tuttavia, sono circa 4.000, i dipendenti federali oltre 2 milioni. Nel frattempo, il team di Trump ha iniziato a discutere sui potenziali membri del futuro governo. Il senatore Marc Rubio sarebbe destinato a Foggy Bottom, la sede del Dipartimento di Stato (l’equivalente del ministero degli Esteri). Gli altri possibili candidati sono l’ex direttore dell’intelligence nazionale Rick Grenell e il senatore Bill Hagerty. Alla Difesa potrebbe andare il senatore repubblicano Tom Cotton, al Tesoro l’investitore miliardario John Paulson, ma si fa anche il nome dell’attuale consulente economico di Trump, Scott Bessent, ex uomo di George Soros. Kash Patel, ex funzionario della sicurezza nazionale di Trump, potrebbe essere destinato a dirigere la Cia ma per l’agenzia di intelligence civile si fa anche il nome di Elise Stefanik, presidente della Conferenza dei Gop alla Camera, già candidata al ruolo di ambasciatrice Usa presso l’Onu. Come frontrunner per lo Stato maggiore della Difesa si parla della fedele Susie Wiles, mentre il governatore del Nord Dakota Doug Burgum, che ha lisciato la designazione a vicepresidente, potrebbe diventare segretario agli Interni. Infine, a rappresentare l’amministrazione alla Casa Bianca nel ruolo di responsabile stampa è data per probabile Karoline Leavitt.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)