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2020-01-20
Ecco il piano della sinistra per far ripartire l’invasione
Ansa
L'obiettivo è chiaro: cancellare Salvini - come da titolo di Repubblica - e far ripartire l'invasione. L'agenda si articola in sei punti: cancellare i decreti Sicurezza, agevolare il rilascio dei permessi di soggiorno, sanare gli irregolari, portare in Aula lo ius soli, dare il via libera in Europa al global compact sui migranti e trasformare in centri accoglienza gli edifici confiscati ai mafiosi. Finora i giallorossi, alle prese con beghe e campagne elettorali, non ne hanno avuto il coraggio. Ma se Stefano Bonaccini la spuntasse in Emilia Romagna e il governo si ricompattasse, quel programma potrebbe entrare a regime in poche settimane.
Già la sola staffetta al Viminale tra Matteo Salvini e Luciana Lamorgese, sull'altra sponda del Mediterraneo, è stata interpretata come una tana libera tutti. Basti guardare il conteggio degli sbarchi nella prima metà di gennaio, cui vanno aggiunti gli attracchi a Messina della Open arms (122 immigrati, tra cui un marocchino già espulso due volte, che è stato arrestato) e della Sea Watch (119 immigrati). In totale, 583 arrivi da inizio 2020, contro i 53 dello stesso periodo dello scorso anno, quando al ministero dell'Interno c'era il leader leghista. Anzi, per essere precisi, siamo a quota 678: bisogna calcolare gli algerini dello sbarco fantasma in Sardegna.
Ecco, gli sbarchi fantasma: la grande stampa li aveva descritti come il vulnus della gestione Salvini. Adesso sono spariti dalle cronache. Eppure, anche nel fine settimana dell'Epifania, sulle coste del Salento erano arrivati 33 curdi iracheni. Due giorni prima, a Santa Maria di Leuca, ne erano approdati altri 54. Il nuovo anno s'è aperto con un piccolo record: frontiere violate al ritmo di due migranti all'ora. E il confronto Lamorgese-Salvini è impietoso anche se si concede alla prima un vantaggio di 15 giorni: in tutto gennaio 2019, gli sbarchi si erano fermati a 202. Quasi il 230% in meno.
Il voto emiliano rappresenta uno snodo fondamentale: se la spunta Lucia Borgonzoni, i giallorossi rischiano di affondare. Altrimenti, potrebbe davvero partire la fase 2 del governo Conte, lanciata da Nicola Zingaretti al conclave dem di Contigliano. E la direzione è chiara. L'ha indicata il capogruppo pd alla Camera, Graziano Delrio (sarebbe meglio chiamarlo «Delirio»): «Scrivere una nuova legge sull'immigrazione», «ripristinare il sistema degli Sprar», organizzare «viaggi regolati dalle ambasciate». Il tutto, grazie alla «grande condivisione anche nel gruppo parlamentare M5s». Il primo passo, i grillini l'hanno fatto: l'altra settimana, all'Europarlamento, hanno sostenuto due emendamenti di Giuliano Pisapia, Andrea Cozzolino e Pierfrancesco Majorino, in favore di Ong e global compact. Ovvero, il patto Onu per una «immigrazione ordinata» (si legge «frontiere spalancate»), bloccato ai tempi dell'intesa gialloblù.
Dunque, i decreti Sicurezza, già disattesi, perché il Conte bis concede asilo alle navi delle organizzazioni umanitarie, dovrebbero essere definitivamente pensionati, con la scusa di accogliere i rilievi del capo dello Stato, come quelli sulle multe alle Ong che entrano in acque italiane senza autorizzazione. Eventualità che sarà sempre più rara, per effetto della metamorfosi dell'avvocato del popolo: da dottor Conte a Mister Giuseppi. Da «metteremo fine al business dell'immigrazione» a «i porti non sono mai stati chiusi».
Si sta rivelando cruciale il contributo del ministro Lamorgese. Sono due le sue surreali iniziative. La prima l'ha annunciata su La 7: allargare le categorie dei permessi umanitari, quelli limitati dalla Lega. «Vanno ampliate per evitare quanto stava per succedere a dicembre: chi era senza permesso umanitario, in base al decreto Sicurezza, veniva buttato per strada». Eppure, lo stesso ex prefetto di Milano sa che mentre la quota dei permessi umanitari, all'estero, non superava il 4%, da noi riguardava il 28% dei migranti.
La seconda botta di genio è ispirata a una proposta di +Europa: una sanatoria per gli stranieri irregolari con un lavoro. Un provvedimento che coinvolgerebbe fino a 700.000 clandestini: un gigantesco esercito industriale di riserva, visto che questi poveretti di certo non vengono a fare gli ad delle multinazionali. Per citare proprio Emma Bonino, chi raccoglierebbe i pomodori senza gli africani? Un'altra iniziezione necessaria a stritolare ulteriormente il potere negoziale dei lavoratori italiani.
Nel frattempo, i giallorossi stanno rimettendo in corsa un cavallo di battaglia: ius soli e ius culturae. A inizio gennaio, infatti, è ripartito in commissione Affari costituzionali l'iter di esame della proposta di legge firmata da Laura Boldrini (e da Giuseppina Occhionero, la renziana con il portaborse accusato di mafia). Prima che il testo giunga in Aula bisogna ultimare le audizioni. Ma visto che il presidente grillino, Giuseppe Brescia, «faceva l'immigrazionista pure quando i suoi governavano con la Lega», commenta l'onorevole di Fdi, Giuseppe Donzelli, pure lui in commissione, «non ci sarebbe da meravigliarsi se forzasse le tappe». Il pretesto, come al solito, è salvare i bambini, che evidentemente oggi soffrono atroci discriminazioni: «Ma va': sanno benissimo», replica Donzelli, «che per i bimbi nati in Italia non c'è nessun diritto negato. La verità è che il governo vuole proporre una maxi sanatoria che, anzi, discrimina gli immigrati regolari». Con un raggelante ribaltamento tra cause ed effetti: la legge Boldrini «prevede che lo Stato insegni la lingua e la Costituzione a chiunque chieda la cittadinanza», spiega l'onorevole di Fdi. «Ma non dovrebbe essere il contrario?». Già: la logica non vorrebbe che prima di diventare cittadino, lo straniero dimostri di conoscere l'italiano e le leggi fondamentali del Paese che lo accoglie?
La sinistra punta ad allentare le maglie pure sullo ius culturae: per ottenere la cittadinanza non servirebbe neppure un diploma. Basterebbe un qualsiasi corso di formazione.
Che poi in Emilia Romagna si giochi una partita delicatissima, lo prova il Testo unico regionale sulla legalità, varato nel 2016 dalla Giunta del piddino Stefano Bonaccini. In virtù di quella normativa, sarebbe lecito cedere i beni immobili, confiscati alla mafia, alle cooperative dell'accoglienza. Le quali, negli «anni d'oro» in cui fu licenziata la legge, sugli stranieri hanno costruito un florido business. Sabato, Repubblica lamentava invece la perdita di posti di lavoro, dopo il taglio dei 35 euro al giorno per migrante. Pazienza quei mestieri dipendevano strutturalmente dalla clandestinità e dal traffico di disperati.
Curiosa la difesa di Bonaccini: non ha negato, ha solo chiarito che finora «nessuno di questi luoghi è stato utilizzato per ospitare migranti». Ma dato che l'idea degli immobili confiscati riconvertiti in centri accoglienza piaceva all'ex ministro dell'Interno, Marco Minniti, il sospetto è che la sinistra pensi proprio di applicare questo modello su scala nazionale.
Nel frattempo, la Cassazione, respingendo il ricorso della Procura di Agrigento contro la liberazione di Carola Rackete, ha dato ragione al gip Alessandra Vella, che a luglio non aveva convalidato l'arresto della Capitana. Libera di speronare una motovedetta della Finanza. Un assist per chi sogna di «cancellare Salvini». C'è stato persino chi, come il radicale Riccardo Magi, ha sostenuto che «Carola va ringraziata per aver forzato quel blocco illegittimo e inumano». Ringrazi lei quegli organi dello Stato, che se una legge non la gradiscono, la lasciano trasgredire.
E i ricollocamenti? Il governo celebra l'accordo di Malta, in virtù del quale redistribuisce 49 migranti al mese, contro gli 11 di Salvini. Peccato che, come ha riferito alla Verità la Caritas, a Ventimiglia i francesi continuino a rispedirci indietro gli immigrati, al ritmo di un centinaio al giorno. In 24 ore, rientra in Italia il doppio degli stranieri che il Viminale giallorosso si vanta di spedire all'estero ogni 30 giorni.
Boutade pure sui rimpatri. Bruxelles, con il commissario Ue, Margaritis Schinas, annuncia il soccorso rosso di «polizia europea» e Guardia costiera a pattugliare i confini di terra e di mare. A ottobre, la Lamorgese aveva individuato 13 Paesi non a rischio ove rispedire gli irregolari. Ma gli accordi bilaterali restano al palo. E il sindacato di polizia di Livorno ha scoperchiato lo scandalo degli agenti costretti ad anticipare le spese di espulsione dei clandestini. Nel frattempo, otto di questi sono riusciti a fuggire dal Cpr di Gradisca d'Isonzo, in provincia di Gorizia. Se non altro, i poliziotti non dovranno compare i biglietti aerei pure a loro…
Già scattato il tam tam delle coop: «Pochi i 21 euro, ne rivogliamo 35»
I Centri di accoglienza straordinaria (Cas), diventati ormai centri di permanenza, non ce la farebbero con il contributo di 21-26 euro al giorno per migrante previsto dall'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Secondo i giallorossi «bisogna tornare ai costi precedenti di gestione», tuonano. L'obiettivo è dunque ripristinare la media di 35 euro. E forse si potrebbe superare quella cifra, se lo studio sui parametri più idonei dell'accoglienza affidato a un team di professionisti (dietro compenso di 2,2 milioni di euro, secondo quanto anticipato dal Giornale), dovesse stabilire che servono più soldi. Non per i migranti, ma per le cooperative che hanno fatto affari d'oro con gli sbarchi nel nostro Paese. Eppure 780 euro al mese pro capite non sono poca cosa, rispetto ai 488 euro di una pensione sociale (importo calcolato su 12 mensilità), con la quale dovresti sbarcare il lunario pagandoti vitto e alloggio.
L'Italia stanzia 75 euro al mese per la diaria data direttamente a ogni irregolare, il cosiddetto pocket money, ovvero 2,5 euro al giorno. La Spagna, che assieme al nostro Paese e alla Grecia subisce il maggior numero di arrivi dal Mediterraneo, concede al massimo 50 euro e non fornisce schede telefoniche come facciamo noi. Nel Documento di economia e finanza (Def) del 2018, dei 4,6 miliardi di spesa previsti quell'anno per soccorso in mare, assistenza sanitaria, accoglienza e istruzione, più di 3 miliardi di euro erano destinati al solo sistema accoglienza in Italia. Salvini voleva un taglio drastico delle spese, Pd e M5s da mesi chiedono nuovi foraggiamenti ai centri che vivono grazie ai migranti. Torneremo così a una moltiplicazione di offerte di strutture, gonfiando spese di gestione senza assicurare miglior qualità di vita per gli stranieri che vengono ospitati.
Basta fare due conti e capire, ad esempio, che se le strutture fino a 50 posti prevedono un costo giornaliero di 21,35 euro, secondo lo schema di capitolato presentato durante il governo Conte 1, non per questo devono chiudere i battenti come stanno facendo da mesi. Nel conteggio giornaliero, la voce più rilevante sono le spese per il personale (7,40 euro), per i pasti (5 euro), per i costi della struttura (3,93 euro), poi sono contemplati i prodotti per l'igiene personale, il kit di abbigliamento «di primo ingresso», le pulizie e altro. Considerato che le cooperative risparmiano su personale, qualità dei pasti, cura delle strutture, davvero 32.000 al mese (384.000 euro in un anno) per una cinquantina di migranti possono scoraggiare dall'offrire assistenza?
Forse, diciamola giusta, non permettono più grandi profitti: lo dimostra l'alto numero di bandi lanciati dalle prefetture per l'accoglienza nei tre tipi di centro previsti, (singole unità abitative, centri collettivi fino a 50 posti e centri fino a 300 posti) andati deserti o ripetuti nel tempo lo scorso anno. Come è accaduto a Trieste, dove il bando prevedeva un costo di 10,9 milioni di euro per l'accoglienza di una media di 700 migranti sul territorio, ma l'unica offerta arrivata una settimana fa è stata per 10 posti, da parte di una cooperativa della provincia di Salerno. O ad Aosta, dove né a giugno, né a settembre è stato possibile affidare il servizio di accoglienza previsto fino a novembre 2021.
La prefettura di Firenze ha firmato solo 3 convenzioni per un totale di 285 posti, sui 1.800 inizialmente offerti. Stefano Trovato, dell'esecutivo nazionale del Cnca, il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, ha dichiarato a Openpolis che lo scorso anno «la non partecipazione» ai bandi «ha riguardato l'80% delle organizzazioni aderenti al Cnca». Complimenti. Però la gestione, per 12 mesi, del centro governativo di prima accoglienza di contrada Pian del Lago a Caltanissetta, con una capienza di 456 posti, è stata aggiudicata lo scorso novembre per 11 milioni di euro. Vi sembrano pochi?
Senza contare quello che viene speso per sistemare i centri. Un esempio per tutti: ad aggiudicarsi nel maggio scorso l'appalto per lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'edificio A1, che ospita alcuni alloggi dell'hotspot di Lampedusa, è stata la società Impretech di Aragona, in provincia di Agrigento, per 1.330.191 euro con un ribasso del 33,19 % rispetto all'importo iniziale di 1.951.218 euro. L'edificio su due piani venne danneggiato da un incendio nel maggio 2016, rimane da sistemare il blocco A2, mezzo distrutto sempre dalle fiamme, questa volta nel 2018. Poi bisogna mettere mano all'area donne e bambini. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese vuole ampliare la struttura di Lampedusa con altri 132 posti letto, oltre agli attuali 96. È solo una delle tante spese previste.
Il presidente uscente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, pensa di utilizzare gli immobili sequestrati alla mafia per accogliere i migranti. Già sono 41 quelli confiscati, invece di destinarli ad alloggi popolari diventeranno nuovi centri per richiedenti asilo, da affidare alle solite cooperative. Dopo averli adeguatamente ristrutturati a nostre spese.
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Progetto pronto: potrebbero vararlo dopo il voto in Emilia Romagna. Pd e 5 stelle sono d'accordo su sei punti che cancellano l'eredità di Matteo Salvini e danno via libera all'immigrazione. Con relativo business.Spagna e Grecia versano ancora meno e non forniscono schede telefoniche, ma da noi chi gestisce i centri di accoglienza preme per riavere i fondi tagliati dall'ex ministro. E Luciana Lamorgese fa allargare Lampedusa.Lo speciale contiene due articoli.L'obiettivo è chiaro: cancellare Salvini - come da titolo di Repubblica - e far ripartire l'invasione. L'agenda si articola in sei punti: cancellare i decreti Sicurezza, agevolare il rilascio dei permessi di soggiorno, sanare gli irregolari, portare in Aula lo ius soli, dare il via libera in Europa al global compact sui migranti e trasformare in centri accoglienza gli edifici confiscati ai mafiosi. Finora i giallorossi, alle prese con beghe e campagne elettorali, non ne hanno avuto il coraggio. Ma se Stefano Bonaccini la spuntasse in Emilia Romagna e il governo si ricompattasse, quel programma potrebbe entrare a regime in poche settimane. Già la sola staffetta al Viminale tra Matteo Salvini e Luciana Lamorgese, sull'altra sponda del Mediterraneo, è stata interpretata come una tana libera tutti. Basti guardare il conteggio degli sbarchi nella prima metà di gennaio, cui vanno aggiunti gli attracchi a Messina della Open arms (122 immigrati, tra cui un marocchino già espulso due volte, che è stato arrestato) e della Sea Watch (119 immigrati). In totale, 583 arrivi da inizio 2020, contro i 53 dello stesso periodo dello scorso anno, quando al ministero dell'Interno c'era il leader leghista. Anzi, per essere precisi, siamo a quota 678: bisogna calcolare gli algerini dello sbarco fantasma in Sardegna. Ecco, gli sbarchi fantasma: la grande stampa li aveva descritti come il vulnus della gestione Salvini. Adesso sono spariti dalle cronache. Eppure, anche nel fine settimana dell'Epifania, sulle coste del Salento erano arrivati 33 curdi iracheni. Due giorni prima, a Santa Maria di Leuca, ne erano approdati altri 54. Il nuovo anno s'è aperto con un piccolo record: frontiere violate al ritmo di due migranti all'ora. E il confronto Lamorgese-Salvini è impietoso anche se si concede alla prima un vantaggio di 15 giorni: in tutto gennaio 2019, gli sbarchi si erano fermati a 202. Quasi il 230% in meno.Il voto emiliano rappresenta uno snodo fondamentale: se la spunta Lucia Borgonzoni, i giallorossi rischiano di affondare. Altrimenti, potrebbe davvero partire la fase 2 del governo Conte, lanciata da Nicola Zingaretti al conclave dem di Contigliano. E la direzione è chiara. L'ha indicata il capogruppo pd alla Camera, Graziano Delrio (sarebbe meglio chiamarlo «Delirio»): «Scrivere una nuova legge sull'immigrazione», «ripristinare il sistema degli Sprar», organizzare «viaggi regolati dalle ambasciate». Il tutto, grazie alla «grande condivisione anche nel gruppo parlamentare M5s». Il primo passo, i grillini l'hanno fatto: l'altra settimana, all'Europarlamento, hanno sostenuto due emendamenti di Giuliano Pisapia, Andrea Cozzolino e Pierfrancesco Majorino, in favore di Ong e global compact. Ovvero, il patto Onu per una «immigrazione ordinata» (si legge «frontiere spalancate»), bloccato ai tempi dell'intesa gialloblù.Dunque, i decreti Sicurezza, già disattesi, perché il Conte bis concede asilo alle navi delle organizzazioni umanitarie, dovrebbero essere definitivamente pensionati, con la scusa di accogliere i rilievi del capo dello Stato, come quelli sulle multe alle Ong che entrano in acque italiane senza autorizzazione. Eventualità che sarà sempre più rara, per effetto della metamorfosi dell'avvocato del popolo: da dottor Conte a Mister Giuseppi. Da «metteremo fine al business dell'immigrazione» a «i porti non sono mai stati chiusi».Si sta rivelando cruciale il contributo del ministro Lamorgese. Sono due le sue surreali iniziative. La prima l'ha annunciata su La 7: allargare le categorie dei permessi umanitari, quelli limitati dalla Lega. «Vanno ampliate per evitare quanto stava per succedere a dicembre: chi era senza permesso umanitario, in base al decreto Sicurezza, veniva buttato per strada». Eppure, lo stesso ex prefetto di Milano sa che mentre la quota dei permessi umanitari, all'estero, non superava il 4%, da noi riguardava il 28% dei migranti. La seconda botta di genio è ispirata a una proposta di +Europa: una sanatoria per gli stranieri irregolari con un lavoro. Un provvedimento che coinvolgerebbe fino a 700.000 clandestini: un gigantesco esercito industriale di riserva, visto che questi poveretti di certo non vengono a fare gli ad delle multinazionali. Per citare proprio Emma Bonino, chi raccoglierebbe i pomodori senza gli africani? Un'altra iniziezione necessaria a stritolare ulteriormente il potere negoziale dei lavoratori italiani.Nel frattempo, i giallorossi stanno rimettendo in corsa un cavallo di battaglia: ius soli e ius culturae. A inizio gennaio, infatti, è ripartito in commissione Affari costituzionali l'iter di esame della proposta di legge firmata da Laura Boldrini (e da Giuseppina Occhionero, la renziana con il portaborse accusato di mafia). Prima che il testo giunga in Aula bisogna ultimare le audizioni. Ma visto che il presidente grillino, Giuseppe Brescia, «faceva l'immigrazionista pure quando i suoi governavano con la Lega», commenta l'onorevole di Fdi, Giuseppe Donzelli, pure lui in commissione, «non ci sarebbe da meravigliarsi se forzasse le tappe». Il pretesto, come al solito, è salvare i bambini, che evidentemente oggi soffrono atroci discriminazioni: «Ma va': sanno benissimo», replica Donzelli, «che per i bimbi nati in Italia non c'è nessun diritto negato. La verità è che il governo vuole proporre una maxi sanatoria che, anzi, discrimina gli immigrati regolari». Con un raggelante ribaltamento tra cause ed effetti: la legge Boldrini «prevede che lo Stato insegni la lingua e la Costituzione a chiunque chieda la cittadinanza», spiega l'onorevole di Fdi. «Ma non dovrebbe essere il contrario?». Già: la logica non vorrebbe che prima di diventare cittadino, lo straniero dimostri di conoscere l'italiano e le leggi fondamentali del Paese che lo accoglie? La sinistra punta ad allentare le maglie pure sullo ius culturae: per ottenere la cittadinanza non servirebbe neppure un diploma. Basterebbe un qualsiasi corso di formazione. Che poi in Emilia Romagna si giochi una partita delicatissima, lo prova il Testo unico regionale sulla legalità, varato nel 2016 dalla Giunta del piddino Stefano Bonaccini. In virtù di quella normativa, sarebbe lecito cedere i beni immobili, confiscati alla mafia, alle cooperative dell'accoglienza. Le quali, negli «anni d'oro» in cui fu licenziata la legge, sugli stranieri hanno costruito un florido business. Sabato, Repubblica lamentava invece la perdita di posti di lavoro, dopo il taglio dei 35 euro al giorno per migrante. Pazienza quei mestieri dipendevano strutturalmente dalla clandestinità e dal traffico di disperati. Curiosa la difesa di Bonaccini: non ha negato, ha solo chiarito che finora «nessuno di questi luoghi è stato utilizzato per ospitare migranti». Ma dato che l'idea degli immobili confiscati riconvertiti in centri accoglienza piaceva all'ex ministro dell'Interno, Marco Minniti, il sospetto è che la sinistra pensi proprio di applicare questo modello su scala nazionale. Nel frattempo, la Cassazione, respingendo il ricorso della Procura di Agrigento contro la liberazione di Carola Rackete, ha dato ragione al gip Alessandra Vella, che a luglio non aveva convalidato l'arresto della Capitana. Libera di speronare una motovedetta della Finanza. Un assist per chi sogna di «cancellare Salvini». C'è stato persino chi, come il radicale Riccardo Magi, ha sostenuto che «Carola va ringraziata per aver forzato quel blocco illegittimo e inumano». Ringrazi lei quegli organi dello Stato, che se una legge non la gradiscono, la lasciano trasgredire. E i ricollocamenti? Il governo celebra l'accordo di Malta, in virtù del quale redistribuisce 49 migranti al mese, contro gli 11 di Salvini. Peccato che, come ha riferito alla Verità la Caritas, a Ventimiglia i francesi continuino a rispedirci indietro gli immigrati, al ritmo di un centinaio al giorno. In 24 ore, rientra in Italia il doppio degli stranieri che il Viminale giallorosso si vanta di spedire all'estero ogni 30 giorni.Boutade pure sui rimpatri. Bruxelles, con il commissario Ue, Margaritis Schinas, annuncia il soccorso rosso di «polizia europea» e Guardia costiera a pattugliare i confini di terra e di mare. A ottobre, la Lamorgese aveva individuato 13 Paesi non a rischio ove rispedire gli irregolari. Ma gli accordi bilaterali restano al palo. E il sindacato di polizia di Livorno ha scoperchiato lo scandalo degli agenti costretti ad anticipare le spese di espulsione dei clandestini. Nel frattempo, otto di questi sono riusciti a fuggire dal Cpr di Gradisca d'Isonzo, in provincia di Gorizia. Se non altro, i poliziotti non dovranno compare i biglietti aerei pure a loro…<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-piano-della-sinistra-per-far-ripartire-lnvasione-2644859437.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gia-scattato-il-tam-tam-delle-coop-pochi-i-21-euro-ne-rivogliamo-35" data-post-id="2644859437" data-published-at="1765394641" data-use-pagination="False"> Già scattato il tam tam delle coop: «Pochi i 21 euro, ne rivogliamo 35» I Centri di accoglienza straordinaria (Cas), diventati ormai centri di permanenza, non ce la farebbero con il contributo di 21-26 euro al giorno per migrante previsto dall'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Secondo i giallorossi «bisogna tornare ai costi precedenti di gestione», tuonano. L'obiettivo è dunque ripristinare la media di 35 euro. E forse si potrebbe superare quella cifra, se lo studio sui parametri più idonei dell'accoglienza affidato a un team di professionisti (dietro compenso di 2,2 milioni di euro, secondo quanto anticipato dal Giornale), dovesse stabilire che servono più soldi. Non per i migranti, ma per le cooperative che hanno fatto affari d'oro con gli sbarchi nel nostro Paese. Eppure 780 euro al mese pro capite non sono poca cosa, rispetto ai 488 euro di una pensione sociale (importo calcolato su 12 mensilità), con la quale dovresti sbarcare il lunario pagandoti vitto e alloggio. L'Italia stanzia 75 euro al mese per la diaria data direttamente a ogni irregolare, il cosiddetto pocket money, ovvero 2,5 euro al giorno. La Spagna, che assieme al nostro Paese e alla Grecia subisce il maggior numero di arrivi dal Mediterraneo, concede al massimo 50 euro e non fornisce schede telefoniche come facciamo noi. Nel Documento di economia e finanza (Def) del 2018, dei 4,6 miliardi di spesa previsti quell'anno per soccorso in mare, assistenza sanitaria, accoglienza e istruzione, più di 3 miliardi di euro erano destinati al solo sistema accoglienza in Italia. Salvini voleva un taglio drastico delle spese, Pd e M5s da mesi chiedono nuovi foraggiamenti ai centri che vivono grazie ai migranti. Torneremo così a una moltiplicazione di offerte di strutture, gonfiando spese di gestione senza assicurare miglior qualità di vita per gli stranieri che vengono ospitati. Basta fare due conti e capire, ad esempio, che se le strutture fino a 50 posti prevedono un costo giornaliero di 21,35 euro, secondo lo schema di capitolato presentato durante il governo Conte 1, non per questo devono chiudere i battenti come stanno facendo da mesi. Nel conteggio giornaliero, la voce più rilevante sono le spese per il personale (7,40 euro), per i pasti (5 euro), per i costi della struttura (3,93 euro), poi sono contemplati i prodotti per l'igiene personale, il kit di abbigliamento «di primo ingresso», le pulizie e altro. Considerato che le cooperative risparmiano su personale, qualità dei pasti, cura delle strutture, davvero 32.000 al mese (384.000 euro in un anno) per una cinquantina di migranti possono scoraggiare dall'offrire assistenza? Forse, diciamola giusta, non permettono più grandi profitti: lo dimostra l'alto numero di bandi lanciati dalle prefetture per l'accoglienza nei tre tipi di centro previsti, (singole unità abitative, centri collettivi fino a 50 posti e centri fino a 300 posti) andati deserti o ripetuti nel tempo lo scorso anno. Come è accaduto a Trieste, dove il bando prevedeva un costo di 10,9 milioni di euro per l'accoglienza di una media di 700 migranti sul territorio, ma l'unica offerta arrivata una settimana fa è stata per 10 posti, da parte di una cooperativa della provincia di Salerno. O ad Aosta, dove né a giugno, né a settembre è stato possibile affidare il servizio di accoglienza previsto fino a novembre 2021. La prefettura di Firenze ha firmato solo 3 convenzioni per un totale di 285 posti, sui 1.800 inizialmente offerti. Stefano Trovato, dell'esecutivo nazionale del Cnca, il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, ha dichiarato a Openpolis che lo scorso anno «la non partecipazione» ai bandi «ha riguardato l'80% delle organizzazioni aderenti al Cnca». Complimenti. Però la gestione, per 12 mesi, del centro governativo di prima accoglienza di contrada Pian del Lago a Caltanissetta, con una capienza di 456 posti, è stata aggiudicata lo scorso novembre per 11 milioni di euro. Vi sembrano pochi? Senza contare quello che viene speso per sistemare i centri. Un esempio per tutti: ad aggiudicarsi nel maggio scorso l'appalto per lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'edificio A1, che ospita alcuni alloggi dell'hotspot di Lampedusa, è stata la società Impretech di Aragona, in provincia di Agrigento, per 1.330.191 euro con un ribasso del 33,19 % rispetto all'importo iniziale di 1.951.218 euro. L'edificio su due piani venne danneggiato da un incendio nel maggio 2016, rimane da sistemare il blocco A2, mezzo distrutto sempre dalle fiamme, questa volta nel 2018. Poi bisogna mettere mano all'area donne e bambini. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese vuole ampliare la struttura di Lampedusa con altri 132 posti letto, oltre agli attuali 96. È solo una delle tante spese previste. Il presidente uscente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, pensa di utilizzare gli immobili sequestrati alla mafia per accogliere i migranti. Già sono 41 quelli confiscati, invece di destinarli ad alloggi popolari diventeranno nuovi centri per richiedenti asilo, da affidare alle solite cooperative. Dopo averli adeguatamente ristrutturati a nostre spese.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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