Il suo nome non era tra i primi della lista. Nell’elenco dei papabili lo precedevano, infatti, Parolin, poi Tagle, quindi Zuppi, infine Aveline e Besungu. Il radar che cercava di intercettare il futuro pontefice lo collocava tra gli ultimi possibili successori al soglio di Pietro, di lui quasi non si parlava. Nelle stringate note che accompagnavano sulle pagine dei giornali e dei siti il nome, la sua elezione era indicata come di compromesso, perché arruolato nei «bergogliani», ma non di stretta osservanza. Se l’area dei cardinali progressisti puntava su Luis Antonio Tagle, il prelato filippino e canterino che allegramente intona le strofe di Imagine, o su Matteo Zuppi, l’arcivescovo di Bologna che con Luca Casarini al fianco sembra una specie di Landini con la tonaca, alla fine la mediazione ha portato alla nomina di Robert Francis Prevost. I bookmaker su di lui non avevano scommesso, ma non ci avevano preso neppure i vaticanisti che invece avevano dedicato centinaia di righe al segretario di Stato Parolin, al presidente della Cei Zuppi, o al patriarca di Gerusalemme Pizzaballa, convinti che alla fine, dopo un Papa polacco, un altro tedesco e un terzo argentino, sarebbe stata di nuovo la volta di un italiano. Invece, smentendo tutti, soprattutto gli esperti di cose di Chiesa che quasi mai ci azzeccano, ecco avanzare il primo pontefice nordamericano. Uno yankee nato a Chicago 69 anni fa, con esperienza in Perù come missionario, in una delle diocesi più povere del Paese. Madre di origini spagnole, padre di origini francesi e pure un po’ italiane, per 12 anni è stato priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino, dove nell’insegnamento del suo fondatore si cerca di conciliare fede e ragione. Dunque, non un gesuita come Bergoglio. Qualcuno, collocandolo fra i seguaci di papa Francesco, che il nuovo pontefice ha citato più volte nel breve discorso pronunciato sulla piazza di San Pietro, sia per le sue origini, sia per la sua vicinanza al mondo progressista della Chiesa, lo immagina già non solo come una fotocopia del suo predecessore, ma anche come una specie di anti Trump, ovvero un contraltare all’uomo che oggi rappresenta la prima potenza mondiale e a supporto si citano alcuni suoi tweet critici con Vance e il suo capo. Del resto che tra Bergoglio e il presidente americano non corresse buon sangue si sa. Già nel suo primo mandato l’attuale inquilino della Casa Bianca si era espresso in maniera piuttosto ruvida. Ma forse quella di papa Leone XIV (decifrare la scelta del nome aiuterà a capire quale direzione imboccherà il nuovo pontificato) potrebbe essere una missione di mediazione. Nel suo discorso, il nuovo Santo Padre ha parlato di pace e forse la prima di cui dovrà occuparsi sarà proprio quella delle diocesi da cui proviene, ovvero degli Stati Uniti. Non è un mistero che i cattolici d’America vivano oggi un momento di particolare tensione. A pesare, oltre alle divisioni tra progressisti e conservatori, ci sono gli scandali della pedofilia, che hanno portato sull’orlo della bancarotta tante diocesi. Una delle accuse mosse a Bergoglio da monsignor Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Usa, fu proprio quella di non aver agito e di non aver «destituito» alcuni prelati accusati di aver corrotto i giovani o di aver coperto gli abusi sessuali. Papa Prevost, perciò, oltre a risanare le finanze vaticane, sconquassate da clamorose speculazioni finanziarie, dovrà mettere mano anche alla questione della pedofilia, su cui la Chiesa si è sempre dimostrata cauta, se non reticente. A questo proposito, nelle ore immediatamente antecedenti alla sua nomina, Leone XIV è stato accusato dalla Nuova Bussola Quotidiana, giornale online conservatore assai addentro alle cose vaticane, di non essere sempre stato sollecito nel denunciare gli abusi di cui si sarebbero macchiati alcuni prelati con cui avrebbe collaborato, sia negli Stati Uniti che in Perù, lasciando intendere che le denunce sarebbero state insabbiate.
Ma al di là di questo, sulla questione degli ultimi il nuovo Papa ha sì dimostrato sensibilità sul tema degli emarginati e dei migranti, rivolgendosi anche in spagnolo alla comunità peruviana, ma è altrettanto vero che sul tema delle divisioni nella Chiesa tedesca, fra innovatori e conservatori, Leone XIV ha manifestato doti di equilibrio, evitando il pericolo di una scissione fra cardinali marxisti (uno di loro curiosamente di cognome fa proprio Marx) e conservatori. Papa Prevost conosce bene l’America Latina, ma negli anni ha imparato a frequentare anche la curia romana e questo probabilmente gli sarà d’aiuto nel non farsi tirare la veste da chi vorrebbe che continuasse l’opera di Francesco. Rispetto al suo predecessore, il nuovo pontefice appare meno a suo agio nel nuovo ruolo e forse anche meno «piacione». Per riportare la Chiesa nel cuore dei fedeli però non serve un Papa che piace alla gente che piace, ma semmai un Santo Padre che sa ritornare agli elementi veri della fede. Prevost nel suo discorso ha citato la Madonna di Pompei, che è sì la patrona degli umili, ma nella sua rappresentazione simboleggia un ponte fra il divino e l’umano. Forse proprio quello che ci serve.