
Abbandonati in massa dai connazionali, i democratici sfruttano l'attacco alla scolaresca e puntano su Rami, l'immigrato eroico, in una battaglia strumentale: dare il passaporto agli stranieri per recuperare consensi. Graziano Delrio si espone, subito Luigi Manconi s'accoda.Il Pd poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di usare la favola a lieto fine del bambino che ha salvato i compagni dall'autista senegalese, sventando un rapimento collettivo e la probabile morte di 51 ragazzini? Ovviamente no. La vicenda del dirottamento dell'autobus di scolari era troppo ghiotta per non appropriarsene e usarla in modo strumentale per tirar fuori uno dei cavalli di battaglia della sinistra. E infatti ieri, in un'intervista a Repubblica, ci ha pensato l'ex ministro dei trasporti Graziano Delrio ad acchiappare al lazo la questione, rimontando in sella. Per il capogruppo del Partito democratico, dopo lo sventato sequestro e la scampata strage riemerge la questione dello ius soli, ossia della cittadinanza ai figli nati in Italia degli stranieri. Per aver contribuito a far fallire il piano criminale di Ousseynou Sy, Rami, il piccolo eroe di Crema figlio di immigrati egiziani, sarà premiato con la cittadinanza italiana. Ma a Delrio non basta e infatti chiede perché solo a lui. Secondo l'ex braccio destro di Matteo Renzi (era sottosegretario alla presidenza del Consiglio quando il Rottamatore stava a Palazzo Chigi), la cittadinanza dovrebbe essere data a tutti i ragazzi, a prescindere dal sequestro. Chiaro il concetto? Non a quelli rapiti, ma a tutti i figli degli immigrati presenti in Italia. «Avremmo dovuto farlo noi nella precedente legislatura, ponendo la fiducia, ma ci è mancato il coraggio». Dunque ora il coraggio lo dovrebbe trovare il governo Conte. Delrio confessa di non riuscire a guardare in faccia i figli degli immigrati, in quanto si sente in colpa per non aver fatto diventare lo ius soli una legge dello Stato. E dunque, per il rimorso, ora esorta Nicola Zingaretti a riprendere la battaglia, rimettendo insieme l'armata della sinistra, ma anche quel fronte cattolico che strizza l'occhio agli immigrati. Nella speranza che i 5 stelle abbocchino.Naturalmente l'intervista di Delrio ha riscosso subito l'entusiasmo dei dirigenti del Pd che si sono precipitati a dare il loro consenso. Tra i primi ad affrettarsi è stato quel Maurizio Martina che dopo la sconfitta contro Zingaretti era scomparso dai radar e dall'ufficio del Nazareno. L'ex segretario reggente si è associato alla proposta del compagno e c'è da aspettarsi che altri presto lo seguano. Nonostante nessuno glielo avesse chiesto, si è detto d'accordo pure Luigi Manconi, uno che finito di fare il senatore, uscito dalla porta di Palazzo Madama è rientrato dalla finestra di Palazzo Chigi, sistemandosi come coordinatore dell'Unar, che non è l'ufficio nazionale affari residuali, ma il dipartimento che si occupa di discriminazioni. A reperire il nuovo scranno per l'ex compagno disoccupato ci ha pensato Paolo Gentiloni, nell'ultima fase del suo mandato da presidente del Consiglio, e a distanza di mesi Manconi non ha ancora sentito l'esigenza di far le valigie e di liberare l'ufficio.Anzi, rimanendo ben saldo sulla poltrona conquistata un anno fa, Manconi fa spesso sentire la sua voce, ficcando il naso anche in faccende come quella dello ius soli, che sarebbero di esclusiva competenza del Parlamento e certo non di un dipartimento governativo. Vi chiedete perché tanto entusiasmo da parte della sinistra per lo ius soli, quando forse prima della cittadinanza agli stranieri servirebbero provvedimenti che restituiscano la dignità a tanti cittadini italiani ridotti in povertà? La risposta credo stia nei numeri del Pd. Da anni è in corso una lenta erosione dei consensi tributati al Partito democratico. Alle ultime elezioni tanti compagni hanno preferito restare a casa o mettere la crocetta sul simbolo del Movimento 5 stelle e - udite udite - perfino su quello ritenuto razzista della Lega. Dunque, se gli italiani non li votano più come una volta, quelli del Pd devono aver pensato di recuperare voti con gli immigrati e lo ius soli credo sia ritenuto un modo per cominciare l'opera di sostituzione dell'elettorato. Il calcolo del Pd però si infrange contro un piccolo dettaglio. Anche l'autista era un immigrato che aveva ricevuto la cittadinanza italiana. Non per essere nato in Italia da genitori stranieri, ma per aver sposato una signora italiana. Il che dimostra che non basta un passaporto a fare un buon italiano. Si può essere immigrati e, rispettando la legge, ottenere la piena integrazione anche se non si ha la cittadinanza italiana. Così come si può essere terroristi e volere bruciare 51 creature anche se si ha la cittadinanza e, a dispetto delle origini, ci si fa chiamare Paolo. Una cosa è certa: l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali dovrebbe ricordarsi che quella appena conclusa era la settimana contro il razzismo e alla causa ha fatto più male il gesto di Ousseynoi Sy di tutte le discriminazioni di cui va a caccia Manconi.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






