2021-07-28
Il Pd e i due emendamenti trappola dei nostalgici del metodo Bibbiano
La riforma della Giustizia non dovrebbe lambire i temi etici. E invece si vorrebbero inserire modifiche che andrebbero a incidere sui casi di separazione e di affido condiviso. E sulla tutela dei diritti dei minoriUna discussione che in teoria non dovrebbe lambire i cosiddetti temi etici. Eppure ciò non ha impedito ai democratici - grazie all’iniziativa della senatrice Valeria Valente (sottoscritta da vari e celebri colleghi fra cui Monica Cirinnà, Valeria Fedeli e Franco Mirabelli) - di metter a punto due emendamenti che, se approvati, potrebbero avere effetti molto pesanti sulle famiglie italiane, soprattutto quelle più fragili ed economicamente instabili.Il primo emendamento è il più insidioso. Introduce per «il giudice civile o minorile» l’obbligo di accertare con «urgenza e senza formalità» situazioni di «violenza» domestica «segnalate o riferite». Tale disposizione è apparentemente innocua, anzi sembra utile a combattere la violenza sui minori (che ovviamente esiste ed è diffusa). Il punto sono i termini utilizzati nel testo, tra cui la parola «riferite». Così formulato, l’emendamento andrà a incidere pesantemente sui casi di separazione e di affido condiviso.Spieghiamo. La nuova norma concepita dal Pd consegna al giudice almeno due strumenti concettuali vaghi e che ne alimentano arbitrio; in primo luogo, quello della «violenza» - termine a cui finora il nostro ordinamento ha preferito quelli, ben più precisi, di percosse, maltrattamenti o lesioni - e a seguire quello di violenze «riferite».Ciò significa che basterà una segnalazione anonima sulla presunta «violenza» agita da un genitore su un figlio per dare alla magistratura facoltà d’intervenire con misure anche drastiche. A lato pratico, questo da una parte infliggerà uno scossone all’istituto degli affidi condivisi - dato che, lo si ripete, basterà un’accusa «riferita» a crear ombre su un genitore, che rischierà di essere quasi sempre il padre - e, dall’altra, per la stessa ragione, rischia, quando le supposte «violenze» dovessero riguardare ambedue i genitori, di determinare una impennata di affidamenti alle case famiglia. Insomma, ciò che si è visto a Bibbiano e in altre parti d’Italia, con figli strappati ai genitori sulla base di motivazioni molto spesso non fondate, se passa tale emendamento, rischia non solo di ripetersi, ma di espandersi su vasta scala.«La giusta lotta contro ogni forma di violenza in famiglia, che già ha le sue sedi privilegiate, stabilite ai sensi del cosiddetto codice rosso, viene usata come grimaldello per alterare pesantemente il processo di separazione e divorzio», dice il senatore leghista Simone Pillon. «Stabilire che sia sufficiente allegare presunti atti di violenza, senza chiedere il necessario vaglio del giudice prima di ogni conseguenza, equivale a consentire che genitori senza scrupoli, spalleggiati da avvocati privi di coscienza professionale, possano privare i figli del loro inalienabile diritto alla bi-genitorialità senza neppure lo straccio di una prova. Secondo la lettera r) quater dell’emendamento», continua Pillon, «sarà sufficiente una mera iscrizione nel registro degli indagati, atto dovuto anche davanti a una querela infondata, per escludere il collocamento presso il genitore indagato. Sarà sufficiente una dichiarazione unilaterale per obbligare il mediatore a comunicare tutto al pubblico ministero. Sarà sufficiente che il sospetto di violenza sia semplicemente adombrato per far saltare ogni meccanismo di pari contraddittorio delle parti».E queste sono soltanto le problematiche sollevate dal primo emendamento.Nel secondo, sempre promosso dalla senatrice Valente, si stabilisce un principio generale e cioè «garantire che la bigenitorialità non possa mai prevalere sul principio del preminente interesse del minore». Ora, nessuno ha mai dubitato dell’importanza di considerare «il principio del preminente interesse del minore» ma, posta in questi termini, la questione ha almeno tre conseguenze negative. In primo luogo, essa dà una lettura conflittuale degli interessi in gioco in famiglia, come se il «preminente interesse del minore» sia cosa distinta se non opposta alla «bigenitorialità»; così si manda in soffitta la ricerca, cui finora si sono ispirati gli stessi tribunali, di un bilanciamento tra «bigenitorialità» e «preminente interesse del minore».Non solo. Affermare «che la bigenitorialità non possa mai prevalere sul principio del preminente del minore», ragionando in un’ottica gerarchica, si pone in conflitto con la sentenza 85 del 2013 con cui la Corte costituzionale ha segnalato che «tutti i diritti fondamentali si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri». Questo perché, ha stabilito un’altra sentenza - la n. 264 del 2012 - la tutela di detti diritti deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro».Se ciò conta in generale figurarsi se non debba valere nei confronti della famiglia. E qui arriviamo alla terza criticità del secondo emendamento Pd, e cioè il fatto che esso, ponendo diritti fondamentali in conflitto, favorisce spinte disgregatrici a danno di relazioni familiari oggi spesso già vulnerabili. «Si tratta di due emendamenti del tutto inutili visto che non c’è alcun vuoto di tutela e che vanno contro la Costituzione e tutte le convenzioni internazionali che impongono al giudice di operare un bilanciamento tra tutti gli interessi in gioco», afferma Salvatore Dimartino, avvocato e presidente dell’associazione Mantenimento diretto movimento per l’uguaglianza genitoriale. Dimartino denuncia inoltre il rischio che ambedue le norme, se approvate, non faranno «altro che intasare i tribunali a discapito delle vere vittime».Già, le vere vittime. Dopo Bibbiano e dopo tutti gli scandali collaterali che quel caso ha fatto emergere, ci aspettavamo che le norme per la gestione dei minori fossero modificate. E in effetti vogliono cambiare: in peggio, però.
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