2024-10-18
Il Pd chiede alla Ue di punire l’Italia
Cecilia Strada (Getty images)
Il Pd chiede una procedura d’infrazione contro l’Italia. Giuro, non sto scherzando né esagerando. Lo ha annunciato Cecilia Strada, parlamentare europea del partito di Elly Schlein, che ieri ha sparato a zero contro l’accordo per il trasferimento dei migranti in Albania. «L’intesa con Tirana, oltre a essere una vergogna sul fronte dei diritti umani, è una cosa imbarazzante dal punto di vista legale. Oggi abbiamo promosso un’interrogazione urgente alla Commissione per sapere se il protocollo risponda alla legislazione dell’Unione. Domani chiederemo di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per mancato rispetto dei trattati». Pensate che sia un’iniziativa estemporanea dell’ex dirigente di Emergency che il Pd ha pensato bene di mandare a Bruxelles? No, Strada precisa che l’interrogazione è stata sottoscritta da tutta la delegazione italiana di Socialisti e democratici, lo schieramento che raggruppa gli eletti con il partito di Elly Schlein. Insomma, è un’iniziativa ufficiale non una boutade della passionaria pro migranti.L’aspetto più incredibile della faccenda è però che nelle stesse ore in cui gli onorevoli del Pd vanno all’assalto del governo a costo di chiedere l’apertura di una procedura d’infrazione contro il proprio Paese, l’accordo stipulato dall’Italia con l’Albania per il trasferimento e il trattenimento dei richiedenti asilo è al centro del dibattito politico europeo, preso a esempio da buona parte dei partner dell’Unione. Non sto parlando delle dichiarazioni con cui Ursula von der Leyen ha manifestato interesse per l’operazione già nei giorni in cui sono stati inaugurati i centri a Nord di Tirana. Né penso alle aperture che sono state fatte sia dalla Francia che dalla Germania, ma pure dal nuovo premier britannico, il quale nonostante il suo Paese non faccia parte della Ue si è fatto un viaggetto a Roma per parlarne direttamente con Giorgia Meloni. No, mi riferisco a quello che è successo ieri, prima del Consiglio europeo. Anticipando la riunione, il presidente del Consiglio ha incontrato diversi colleghi per parlare di «soluzioni creative» al problema dei flussi migratori incontrollati. E a differenza di ciò che predicano gli esponenti del Partito democratico in tv, in quella sede non si è affatto trovata isolata. Anzi. Da quel che si capisce, durante l’incontro, oltre a manifestare interesse e curiosità per il protocollo sottoscritto, premier e ministri di altri Paesi avrebbero manifestato l’intenzione di fare fronte comune, per una svolta nella politica dell’accoglienza. In altre parole, basta aprire le porte a tutti i migranti indiscriminatamente, urge difendere i confini. E se per raggiungere lo scopo serve esternalizzare le procedure per valutare le richieste d’asilo nullaosta. Per Emmanuel Macron, che spesso si è messo di traverso, cercando di stoppare le iniziative italiane è uno smacco. Anche perché il presidente francese aveva da poco manifestato la sua contrarietà al progetto albanese. Peccato che ignorando il parere dell’inquilino dell’Eliseo, un portavoce del suo governo abbia fatto filtrare l’interesse per l’accordo fra Roma e Tirana. Ma più ancora delle aperture parigine, a sorprendere sono quelle di Olanda e Danimarca. I Paesi Bassi sono spesso stati l’ostacolo principale per le politiche di bilancio che vedevano coinvolto il nostro Paese. Ma in questo caso, non essendoci di mezzo i quattrini, L’Aja invece di mettersi di traverso sembra intenzionata a spronare l’Unione verso una soluzione che consenta di spostare i migranti fuori dai confini nazionali. E la linea del nuovo esecutivo che ha sostituito quello di Mark Rutte non è molto diversa da quella del governo di Mette Frederiksen, premier danese. All’incontro, c’erano rappresentanti di Austria, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Grecia, Repubblica Ceca, Cipro e Malta, ma soprattutto c’era Ursula von der Leyen. Dunque, continuare a dire che l’accordo con l’Albania mette il nostro Paese fuori dal consesso europeo, come dice il Pd, non solo è falso, ma è pure un atto miope, che dimostra come chi è imbevuto di ideologia non riesca neppure a vedere oltre il proprio ombelico e non si renda conto che intorno a lui molte cose stanno cambiando.
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.