2022-03-29
Vietato parlare di Mazzini a scuola: «Inattuale»
Il preside di un istituto di Lissone boccia gli incontri sul filosofo. Motivo? «Non è attuale». Siamo al nazionalismo a targhe alterne. Nelle ultime settimane ci eravamo convinti che il dramma ucraino potesse avere almeno un ricasco positivo sull’Europa e in particolare sull’Italia. Ci sembrava che, grazie all’esempio delle persone comuni disposte a combattere per l’indipendenza e la bandiera, anche qui da noi si stesse riaccendendo un lumicino patriottico, capace di mostrare alla popolazione l’importanza dell’identità nazionale e della sua difesa. Probabilmente, però, ci eravamo entusiasmati per nulla. A quanto pare, infatti, dalle nostre parti è apprezzato soltanto il patriottismo altrui: se c’è da inviare armi agli ucraini e da sostenere la battaglia contro il perfido Putin, tutto è concesso (compresa la celebrazione di forze ultranazionaliste o nazionalsocialiste). Ma quando si tratta di far professione d’amore verso l’Italia, beh, il quadro cambia decisamente.Ritengo che sia emblematica, a riguardo, una vicenda di cui sono stato protagonista negli ultimi giorni, e che mi pare sia opportuno raccontare proprio per mostrare quanto sia ancora forte la presa dell’ideologia nella nostra nazione. Come ricordato su queste pagine anche da Marcello Veneziani, il 10 marzo scorso ricorreva il centocinquantesimo anniversario della morte di Giuseppe Mazzini (1805-1872). Non che l’evento abbia suscitato grande emozione a livello nazionale: Mazzini resta un padre della patria senza un gran numero di figli riconoscenti. I più conoscono quasi nulla della sua vita e della sua opera, per tanti rimane un nome fra tanti sul sussidiario, un busto di marmo che merita di coprirsi di polvere.Per quanto mi riguarda, credo invece che le lezioni mazziniane e in particolare le pagine sui «doveri dell’uomo» siano di una straordinaria attualità e meriterebbero di essere adeguatamente approfondite nel dibattito pubblico e soprattutto nelle scuole. È quello che, nel mio piccolo, ho cercato di fare in un libro di recente uscita dedicato proprio al patriottismo. Anche a seguito della pubblicazione di quel testo, un gruppo di studenti di una scuola superiore lombarda - l’Iss Europa Unita di Lissone - mi ha proposto di tenere una serie di piccole conferenze sulla figura di Mazzini. Si sarebbe trattato di tre appuntamenti rivolti alle classi quarte e quinte, una ventina in totale. L’idea era quella di fornire qualche informazione biografica sul pensatore genovese e di provare poi a leggere assieme a ragazzi e ragazze alcuni brani dei suoi scritti. Giusto per chiarire: non era prevista alcuna retribuzione, né si trattava di far pubblicità a un libro. Mi sembrava una bella occasione per parlare un po’ di un grande italiano che ultimamente viene un po’ trascurato.Stavo rivedendo gli appunti quando gli studenti mi hanno fatto sapere che non ci sarebbe stata alcuna conferenza. Motivo? I docenti si sono opposti. Alcuni di loro hanno mostrato di non gradire la mia presenza, e hanno fatto notare che non sono uno storico. Se si fosse trattato solo di questo, non starei nemmeno a scriverne: i professori hanno diritto di pensarla come vogliono e alle contestazioni preventive («Quello è di destra!») sono fin troppo abituato, e mi annoia persino rispondere. Inoltre è vero: non sono uno storico, ma semplicemente un giornalista che si è occupato di Mazzini e che avrebbe cercato di raccontarlo in maniera semplice e, spero, interessante.Ciò che mi lascia davvero interdetto non è il trattamento riservato a me, ma quello riservato al povero Mazzini e, più in generale, al suo lascito patriottico. Sono entrato in possesso del verbale del consiglio di istituto della scuola di Lissone e vi ho letto alcune frasi sconcertanti. Ho scoperto, ad esempio, che il dirigente scolastico ha espresso «perplessità sull’effettiva esigenza da parte della comunità studentesca ad organizzare una conferenza su questi temi». Quindi non si avverte l’esigenza di un approfondimento su Mazzini nemmeno in occasione del suo anniversario? E, soprattutto, secondo il signor dirigente gli studenti non hanno necessità di riflettere sul patriottismo? Andiamo bene.Sempre leggendo il verbale ho trovato un altro passaggio deprimente. Uno degli studenti che avevano proposto di organizzare le conferenze ha sostenuto che esse avrebbe permesso di «risvegliare le coscienze dei giovani in senso patriottico» (a parte il tono un po’ enfatico, il senso era quello). A quel punto è intervenuto il dirigente scolastico, il quale ha chiesto «come mai sarebbe Mazzini a risvegliare gli animi e non per esempio la Resistenza del 1943-45». Secondo l’esimio dirigente, «la questione è se si ritiene che la figura di Mazzini sia così attuale e centrale».Ecco, questo è stato il tenore del dibattito. Secondo i professori di Lissone, Mazzini è in fondo superato. Quanto al patriottismo, non è poi così necessario discuterne. E se proprio bisogna farlo, meglio occuparsi di resistenza per evitare che sulla Lombardia si staglino le orrende ombre oscure della Reazione. In compenso, l’istituto lombardo ha organizzato giorni fa una interessante conferenza sulla guerra in Ucraina.Come vedete, in ogni caso, si tratta di una piccola vicenda. Che, tuttavia, svela con una certa precisione quali siano le incrostazioni ideologiche di cui fatichiamo a liberarci. Ovunque sventolano bandiere ucraine, ovunque si celebra la lotta per l’indipendenza nazionale della gente di Kiev. Ma il Tricolore e il patriottismo italiano non sono graditi, son guardati con sospetto, son «roba da fasci». Il Risorgimento? Cosa vecchia, noiosa, poco attuale.Gli insegnanti dell’istituto Europa Unita non hanno proposto di cambiare relatore o di invitare uno storico: no, hanno semplicemente votato per cancellare le conferenze. Forse non sanno che Mazzini ha scritto tante e intense pagine sull’unità europea. Forse non sanno che si è occupato addirittura dell’Ucraina, scrivendo delle «frementi speranze di libertà» di quella nazione e della Galizia. Ma chissà, magari se gli studenti avessero proposto un bell’incontro sul patriottismo di Zelensky sarebbe finita diversamente.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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