2022-01-31
Il parlamentarismo s’è inceppato. I presidenti li eleggano gli italiani
La paura di plebisciti fascisti non regge più: chi vuol salire al Colle passi per le urne.Lo squallore, la confusione, l’incertezza, la mancanza di idee chiare, l’incapacità politica di affrontare l’elezione del nuovo presidente della Repubblica - e la totale prevedibilità di tutto questo - sono state già descritte, analizzate e commentate da Maurizio Belpietro e da Marcello Veneziani. Tutto questo riguarda tutti i partiti - per la verità Fratelli d’Italia ha tenuto una linea, magari discutibile come tutto, ma almeno coerente - ma questa volta il centrodestra ha primeggiato nella creazione del caos, i pentastellati - diciamo - guidati da Conte per la totale irrilevanza, il Pd non sapremmo neanche dire in cosa ha primeggiato da tali e tanti errori che ha compiuto. Ma fin qui - potrebbe dire il benevolo lettore - son fatti loro. Purtroppo, in questo caso, il lettore si sbaglierebbe sono fatti nostri, anzi sono cacchi nostri, e anche seri. Davvero verrebbe da ripetere quello che Oliver Cromwell disse rivolgendosi alla Camera dei Comuni: «In nome di Dio andatevene». Non so francamente se sia necessario chiamare Dio in causa, in questa occasione, forse è sufficiente l’ultimo verbo: «Andatevene», aggiungendo «Per manifesta incapacità».Tutto questo dimostra - a nostro modesto avviso - che una democrazia e un governo parlamentari non funzionano proprio più e che bisogna cambiare forma di governo e incamminarci verso una qualche forma di governo presidenziale. Le strade sono due: o si spera che da qui alle elezioni del 2023 (?) i partiti che non hanno saputo neanche eleggere un presidente della Repubblica dovrebbero riorganizzarsi, dotarsi di un’anima ideologica e di un programma politico-economico credibile, raggrupparsi in coalizione che non provino a mescolare l’acqua e l’olio, eccetera; la seconda è promuovere una riforma in senso presidenziale che, constatata l’incapacità dei partiti a farlo da soli li spinga a elaborare non dieci programmi elettorali, spesso indistinguibili, ma che, alla fine, spinti dalla forma presidenziale di governo e dalla elezione diretta o del capo dello Stato o del capo del governo, siano obbligati a creare due proposte chiaramente, distinguibilmente, profondamente alternative e a coalizzarsi intorno a esse, non avendo più la possibilità di disperdersi in giochi e giochetti politici dei quali, tra l’altro, si sono dimostrati palesemente incapaci.Quando alla Costituente fu decisa questa forma di governo a sfavore di quella presidenziale, caldeggiata dal Partito d’Azione (un manipolo di uomini) e dal grande giurista Piero Calamandrei, ciò fu fatto perché l’Italia usciva dal ventennio fascista e c’era la paura - come ebbe a dire il liberale Aldo Bozzi - anzi, il «complesso del tiranno», sia - come ha scritto Paolo Armaroli - «quello morto e sepolto», sia «quello che, gettata la maschera perbenista aspirava a conquistare tutto il potere». Dopo lo scontro tra monarchici e repubblicani si voleva evitare un altro scontro tra i candidati alla presidenza. Giusto o meno che sia stato, così è andata e lo abbiamo ricordato perché oggi non è più così. Quel rischio non esiste più e libera il campo alla prospettiva presidenzialista ridando voce al popolo laddove i partiti non sono più capaci di adempiere alla loro funzione.È già la seconda volta che i partiti finiscono per rieleggere il presidente uscente. Notare che tra un’elezione e l’altra passano sette anni, un tempo abbastanza lungo per tirare fuori dal cappello un’idea. No, niente. Come se non bastasse negli ultimi tre momenti di crisi grave attraversata dal Paese i due rami del Parlamento non sono stati in grado di trovare un presidente del Consiglio al loro interno ricorrendo a figure tecniche: Ciampi prima e Monti e Draghi poi. Capite che non siamo più nel campo delle opinioni ma in quello della certezza che siamo in presenza di una classe politica che non sa compiere le scelte fondamentali sulle due figure che sono ai vertici della Repubblica, il presidente della stessa e il presidente del Consiglio.Ricordava il grande Calamandrei (forse dovremmo avviarci all’obbligatorietà dello studio degli Atti della Costituente da parte di chiunque voglia accedere alla carica di parlamentare, un po’ come l’anatomia per chi studia medicina) che il parlamentarismo condiziona il presidente come abbiamo visto nell’ultima pessima manovra finanziaria del governo Draghi, mentre il presidenzialismo condiziona il Parlamento perché con il presidente eletto dal popolo il presidente stesso non sarebbe in balia di essi come oggi.