2018-07-01
Il Papa mette il «grillino» Galantino a guardia degli immobili della Chiesa
Quando era alla Cei ha intavolato buoni rapporti con Luigi Di Maio, con cui ha condiviso le battaglie contro lavoro domenicale e gioco d'azzardo. Ora dovrà difendere l'8 per mille e il ricchissimo patrimonio in stabili esentasse.Quando si ha un patrimonio di oltre mezzo miliardo di euro in immobili sparsi per il mondo, e si possiede un edificio romano su cinque, tocca guardarsi dalle tasse e da chi le decide. E allora ecco che nei giorni scorsi papa Bergoglio ha spostato un fedelissimo come Nunzio Galantino dalla segreteria della Cei alla guida dell'Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, meglio nota come Apsa. Una mossa che in Vaticano molti interpretano anche e soprattutto come un modo per proteggere uno dei principali bracci finanziari della Chiesa da possibili giri di vite fiscali da parte del nuovo governo gialloblù, dove sono i grillini quelli che più preoccupano i porporati. Grillini con i quali, non a caso, monsignor Galantino ha saputo costruire negli anni rapporti più che buoni. «Non c'è chiarezza sugli immobili e questo mi preoccupa tanto», ha detto papa Francesco due domeniche fa, annunciando che a fine mese avrebbe sostituito all'Apsa Domenico Calcagno, che ha raggiunto l'età della pensione. Parlando con l'agenzia inglese Reuters, il Pontefice non le ha mandate a dire: «Un problema che mi preoccupa tanto è che non c'è chiarezza negli immobili. Ci sono tanti immobili pervenuti per donazione, o acquisto. Si deve andare avanti con chiarezza e questo dipende dall'Apsa». Galantino, finora segretario della Cei, si gioca la berretta cardinalizia sulla ristrutturazione dell'Apsa e farà di tutto per non deludere la fiducia che il papa argentino ripone in lui. Anche perché il capo della Chiesa ha detto espressamente di volere «una mentalità nuova» nella gestione del patrimonio immobiliare, dopo la gestione conservativa, e assai riservata, di Calcagno. E giovedì scorso, fresco di incarico ufficiale, Galantino ha parlato con il Corriere della Sera, mettendo subito in chiaro che la Chiesa non è una congrega di immobiliaristi rampanti: «Non conosco ancora le cifre, ma di una cosa sono certo: i beni che appartengono al patrimonio della Santa Sede hanno come fine gli obiettivi propri della missione della Chiesa, per permettere alle sue strutture di agire in favore degli ultimi». Lette in controluce, ma neppure tanto, sono parole che vogliono mettere le mani avanti: la Chiesa non fa business con i suoi immobili. E quindi giù le mani. Se la Lega di Matteo Salvini preoccupa la Cei per i toni forti sui migranti, sono gli alleati di governo dei 5 stelle a essere temuti maggiormente. In un passato neppure troppo lontano, Beppe Grillo tuonava nei suoi spettacoli contro la Chiesa e l'8 per mille, oltre che contro gli «alberghi» delle suore che non pagavano neppure l'Imu. E Gianroberto Casaleggio, padre di Davide, primo guru del Movimento, per le gerarchie vaticane è sempre stato un uomo che subiva «fascinazioni pagane», come nell'indimenticato video intitolato Gaia, dove la croce cristiana compariva tra i simboli dei «Padroni del mondo» al fianco della squadra e compasso massonici e del dollaro Usa. Ora, nell'ultimo anno e mezzo, i 5 stelle si sono parecchio avvicinati al Vaticano. Nonostante le sindache di Roma e Torino, Virginia Raggi e Chiara Appendino, abbiano provato a tagliare i fondi agli asili cattolici e abbiano fatto qualche battutaccia sugli immobili «sacri», Luigi Di Maio ha intavolato buoni rapporti con la Conferenza episcopale italiana e con Galantino in particolare. Le battaglie contro il lavoro domenicale e il gioco d'azzardo, assai care alla Chiesa cattolica, sono state sposate da M5s con un certo vigore e questo non è passato inosservato Oltretevere, dove da anni lamentavano che la lobby delle slot avesse permeato tutti i principali partiti. Ma il pericolo fiscale incombe lo stesso. Secondo l'avvocato generale della Corte europea, il belga con nome biblico Melchior Wathelet, la Chiesa deve restituire l'Ici non pagata nel periodo 2008-2012. In sostanza, il mancato recupero di quello che era già stato ritenuto un aiuto illegale di Stato non può essere giustificato dall'assenza di database adeguati. Secondo Wathelet andrebbe quindi ribaltata la sentenza del Tribunale europeo del 2016 che aveva stabilito «l'impossibilità di recupero dell'aiuto a causa di difficoltà organizzative». Alla luce di questo possibile recupero, su cui prima o poi si dovrà esprimere il governo di Giuseppe Conte, si capiscono meglio le prime parole che ha detto monsignor Galantino appena nominato: «Sono appena arrivato e non conosco ancora le cifre». Una cifra, però, l'ha tirata fuori il mese scorso l'Anci, l'associazione dei Comuni italiani: il gettito da recuperare dall'Apsa oscilla tra i 4 e i 5 miliardi di euro. Quando dovesse partire una trattativa Stato-Vaticano, le capacità dialettiche e i rapporti politici di un Galantino potrebbero essere davvero preziosi. Stiamo ovviamente parlando del passato, perché quelle esenzioni riguardavano scuole religiose, cliniche, alberghi e attività commerciali gestite da enti ecclesiastici. Esenzioni contro le quali si è scagliato lo stesso Bergoglio, per il quale chi incassa denari con l'accoglienza e l'assistenza sanitaria deve assolutamente pagarci le tasse. Queste esenzioni sono in gran parte saltate, ma la restituzione del gettito mancato è un problema che rischia di essere attuale molto presto. Del resto l'Apsa, come lo Ior e il Vaticano in generale, quando c'erano a Palazzo Chigi il Pd o Gianni Letta, per conto di Forza Italia, sapeva di poter dormire sonni tranquilli. I vescovi italiani ritengono che tra i grillini, appena frenati dalla Lega, l'idea di mettere mano all'8 per mille sia assai radicata. E poi c'è sempre il discorso del patrimonio immobiliare religioso, per il quale gli adepti di Grillo e Davide Casaleggio temono che i valori catastali non siano assolutamente aggiornati. E allora ecco che al posto di Calcagno, che al di là dell'età non era politicamente in sintonia con il dopo 4 marzo, arriva Galantino. Anche se in pochi, in Vaticano, ne ricordano particolari competenze economiche. Ma con l'aiuto di Dio, si può imparare tutto. Anche a scoprire quanti sono e quanto valgono davvero gli immobili vaticani.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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