In Europa comandano loro, e non hanno risolto nulla. L’aumento della nostra dipendenza da Mosca c’è stato con Mario Monti ed Enrico Letta. Pure Carlo Calenda sul rigassificatore in Friuli ha remato contro. E ora fingono di avere soluzioni Il governo verso la Cig gratuita per le aziende che subiranno razionamenti.
In Europa comandano loro, e non hanno risolto nulla. L’aumento della nostra dipendenza da Mosca c’è stato con Mario Monti ed Enrico Letta. Pure Carlo Calenda sul rigassificatore in Friuli ha remato contro. E ora fingono di avere soluzioni Il governo verso la Cig gratuita per le aziende che subiranno razionamenti.Hanno sbagliato tutto ciò che potevano sbagliare e adesso, oltre a scaricare su altri le colpe, sostengono di essere i soli in grado di risolvere i problemi che hanno contribuito a creare. Mi riferisco ovviamente agli esponenti della sinistra e al problema del gas.Comincio da colui che si agita di più, proponendo improbabili soluzioni, come l’introduzione di un regime di prezzi amministrati, ricetta semplice che però si porta dietro un problema complicato: chi ne paga il costo? È infatti grazie a Enrico Letta se con la guerra in Ucraina il nostro Paese si è trovato a dipendere dal gas russo. Quando arrivò a Palazzo Chigi, le forniture da Mosca rappresentavano all’incirca un quarto del totale e fino al 2010, quando il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, meno di un quinto. Sotto l’occhio benaugurante di Romano Prodi, che con Putin a quei tempi aveva un’intesa speciale, Letta lasciò che le importazioni di gas russo lievitassero fino a quasi rappresentare la metà del nostro fabbisogno. Se dunque ci siamo ritrovati a febbraio esposti con oltre il 40 per cento di metano comprato da Mosca lo dobbiamo al segretario del Pd, il quale nel 2014, prima di cadere per mano di Matteo Renzi, fu l’unico leader europeo ad affrettarsi a correre a Sochi, sul Mar Nero, a baciare la pantofola a Putin. Salvo poi oggi accusare il centrodestra di tifare per lo zar del Cremlino.Nonostante provi a fare il giglio immacolato, anche Carlo Calenda ha le sue colpe. Quand’era ministro dello Sviluppo economico nel governo di Renzi, fu lui a dire no al rigassificatore di Trieste. Gli spagnoli di Repsol erano pronti a investire 500 milioni per la realizzazione di un impianto che oggi ci avrebbe fatto comodo. Ma il leader di Azione, fresco di addio a Scelta civica di Mario Monti e pronto a iscriversi al Pd, disse no, dichiarando l’opera non strategica. Inutile dire che, subito dopo, la Regione guidata da Debora Serracchiani, attuale vice di Letta, espresse parere negativo e il rigassificatore, insieme ai suoi 500 milioni, sfumò.Non andò meglio con l’altro rigassificatore, quello di Brindisi. La British gas voleva investire un pacco di milioni e il governo, a quel tempo guidato da Berlusconi, diede il via libera. Peccato che la Regione presieduta da Nichi Vendola, e la Provincia pure a guida sinistra, si misero di traverso. Risultato, nel 2012, dopo 11 anni di attesa e 250 milioni spesi, gli inglesi fecero le valigie.Di errori ne sono stati fatti parecchi anche più recentemente e il primo è stato senza dubbio non aver valutato gli effetti delle sanzioni che si volevano imporre a Putin. Se parti per una guerra, devi come minimo calcolare quali possono essere le reazioni del tuo avversario e il Pd, che in Europa può contare su un suo uomo ai vertici della Ue (Paolo Gentiloni) ma anche su una serie di figure chiave (da Frans Timmermans a Josep Borrell, tutti del Pse), invece non ha calcolato proprio niente. Anzi: ci ha esposto alle ritorsioni di Mosca. Anche uno sprovveduto avrebbe capito che una volta messo alle strette con le sanzioni, Putin avrebbe reagito con l’unica arma che gli restasse, ovvero il gas. Pensando di avere una spada, l’Europa di centrosinistra l’ha impugnata senza accorgersi che non aveva l’elsa e si è fatta male.Oggi, dopo aver contribuito a provocare un disastro, cioè a far lievitare oltremisura il prezzo del gas e dunque le bollette, il Pd si nasconde dietro l’idea di una tassa sugli extraprofitti delle società energetiche e di un tetto al prezzo del gas per attutire il salasso sulle famiglie. La prima pensata è fallita ancor prima di cominciare, prova ne sia che avendola introdotta con una stima di un gettito pari a 10 miliardi, ora il governo Draghi si è reso conto di aver incassato solo 900 milioni. La seconda è stata definita da Alberto Clò, forse il più importante esperto di mercato dell’energia, una panacea di difficile fattibilità tecnica. Mettere un freno al mercato è sempre difficile, soprattutto lo è se si ha come obiettivo solo uno degli operatori, lasciando indisturbati gli altri. Tradotto, se il tetto è pensato per fermare Putin e ridurne i guadagni, la sua realizzazione è impossibile. Se invece si vuole mettere un freno a tutti i fornitori, allora bisogna metterli d’accordo tutti ed è quello che finora né il governo Draghi, di cui il Pd fa parte, né la commissione Ue, in cui la sinistra anche italiana ricopre ruoli importanti, hanno fatto. Lo stop al prezzo del gas, per funzionare dovrebbe essere applicato anche all’Olanda e alla Norvegia. Quest’ultima, pur non facendo parte dell’Unione europea, è, come i Paesi bassi, membro della Nato. Visto che quella contro Putin è una battaglia in nome della libertà e da una parte ci sono le democrazie e dall’altra le dittature tipo quella russa, ciò che andava fatto era un coinvolgimento di tutti, Olanda e Norvegia incluse, le quali invece sono due nazioni che grazie alla guerra stanno facendo miliardi, perché non solo ad Amsterdam c’è la famosa borsa in cui si negozia il prezzo del gas, ma sia i Paesi Bassi che il Regno retto da Harald V sono produttori ed esportatori di metano. La verità è che noi non siamo ricattati solo da Mosca e dal suo folle zar, ma anche da olandesi e norvegesi i quali, spiega Clò, «stanno imparando dalla Russia come speculare sul mercato del gas per trarne vantaggio a dispetto degli altri Paesi». Quest’anno, le entrate norvegesi derivanti dall’estrazione di combustibili fossili potrebbero raggiungere circa 97 miliardi di dollari, più del triplo rispetto all’anno precedente. Ma, come dice sempre Clò, «la Commissione europea continua a girarsi dall’altra parte, dimostrando che non esiste alcuna solidarietà energetica fra Paesi che ne fanno parte». Risultato: il Pd che, come detto, è alla base di molte delle decisioni che ci hanno messo in questa condizione, insiste su un generico tetto al prezzo del gas senza dire l’unica cosa che avrebbe senso, ovvero che se i nostri partner europei vogliono combattere una battaglia in nome della libertà, devono pagare, non guadagnarci. In altre parole, noi facciamo la nostra parte, ma Olanda e Norvegia devono metterci i soldi, perché la solidarietà a parole non ci basta. Solo quando Olanda e Norvegia accetteranno di ridurre i loro guadagni potremo pensare a uno stop delle quotazioni, rivolgendoci all’Algeria, alla Libia e all’Azerbaijan e trovare un accordo. Ma fino ad allora, quelle del Pd e dei suoi compagni di viaggio saranno chiacchiere. L’unico pacchetto fra i tanti approvati in Europa è il pacco che chi oggi si candida a risolvere i problemi ha rifilato agli italiani.
Ansa
Il ministero dell’Istruzione cassa uno dei rilievi con cui il Tribunale dei minorenni ha allontanato i tre figli dai genitori: «Fanno educazione domiciliare, sono in regola». Nordio, intanto, dà il via agli accertamenti.
Se c’è un colpevole già accertato nella vicenda della «famiglia del bosco», che ha visto i tre figli di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion affidati dal Tribunale dei minori dell’Aquila a una struttura, è al massimo l’ingenuità dei genitori, che hanno affrontato le contestazioni da parte dei servizi sociali prima e del tribunale poi. Forse pensando che la loro buona fede bastasse a chiarire i fatti, senza affidarsi al supporto di un professionista che indicasse loro quale documentazione produrre. Del resto, in procedimenti come quello in cui sono stati coinvolti non è obbligatorio avere il sostegno di un legale e risulta che il sindaco del loro Comune, Palmoli in provincia di Chieti, li avesse rassicurati sul fatto che tutto si sarebbe risolto velocemente e senza traumi. Ma i fatti sono andati molto diversamente.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Ridotti i paragrafi del primo documento, il resto dovrebbe essere discusso direttamente da Volodymyr Zelensky con il presidente americano Il nodo più intricato riguarda le regioni da cedere. Forse ci sarà un incontro in settimana. E l’ultimatum per giovedì potrebbe slittare.
È un ottimismo alla Giovanni Trapattoni, quello espresso ieri da Donald Trump sul processo diplomatico ucraino. «È davvero possibile che si stiano facendo grandi progressi nei colloqui di pace tra Russia e Ucraina? Non credeteci finché non li vedete, ma potrebbe succedere qualcosa di buono», ha dichiarato il presidente americano su Truth, seguendo evidentemente la logica del «non dire gatto, se non ce l’hai nel sacco». Una presa di posizione, quella dell’inquilino della Casa Bianca, arrivata dopo i recentissimi colloqui, tenutisi a Ginevra, tra il segretario di Stato americano, Marco Rubio, e la delegazione ucraina: colloqui che hanno portato a una nuova versione, definita da Washington «aggiornata e perfezionata», del piano di pace statunitense. «I rappresentanti ucraini hanno dichiarato che, sulla base delle revisioni e dei chiarimenti presentati oggi (l’altro ieri, ndr), ritengono che l’attuale bozza rifletta i loro interessi nazionali e fornisca meccanismi credibili e applicabili per salvaguardare la sicurezza dell’Ucraina sia nel breve che nel lungo termine», si legge in una dichiarazione congiunta tra Washington e Kiev, pubblicata nella serata di domenica.
Elisabetta Piccolotti (Ansa)
Sulla «famiglia nel bosco» non ci risparmiano neppure la sagra dell’ipocrisia. La deputata di Avs Elisabetta Piccolotti, coniugata Fratoianni, e l’ex presidente delle Camere penali e oggi a capo del comitato per il Sì al referendum sulla giustizia, avvocato Giandomenico Caiazza, aprendo bocca, non richiesti, sulla dolorosissima vicenda di Nathan Trevallion, di sua moglie Catherine Birmingahn e dei loro tre figli che il Tribunale dei minori dell’Aquila ha loro tolto dicono: «Non mi piace la superficialità con cui si parla dei bambini del bosco», lei; e: «In un caso come questo dovremmo metterci al riparo da speculazioni politiche e guerre ideologiche preventive», lui.
(IStock)
La valutazione attitudinale (domande di cultura generale) usata per decidere «l’idoneità» di mamma e papà viene contestata per discriminazioni e abusi, ma è stata sospesa solo per la Groenlandia. Rimane in vigore per il resto della popolazione danese.






