2025-08-25
«Chi condanna Trump allontana la pace. Il negoziato è all’inizio»
L’ex ambasciatore a Mosca Giorgio Starace: «Nei primi mesi di guerra la Russia aspettava una mossa diplomatica dell’Europa, che non c’è stata».«Trump sta facendo un gesto coraggioso, e chi lo condanna a prescindere sta allontanando la pace. L’Europa non ha mai puntato sulla diplomazia dall’inizio della guerra. Al contrario, c’è stata una “caccia alle streghe” che prese a bersaglio persino papa Francesco e la Santa Sede, un maccartismo che non aveva senso». Giorgio Starace, figura di spicco della diplomazia, era ambasciatore a Mosca mentre le truppe russe sconfinavano in territorio ucraino. Il racconto di quei giorni vissuti in prima persona è contenuto nel suo libro La pace difficile. Diari di un ambasciatore a Mosca (Pagliai editore). A 10 giorni dall’incontro di Anchorage, il dialogo sembra appeso a un filo. «Purtroppo siamo solo all’inizio. Viviamo la fase in cui si stabiliscono i “toni” del confronto, cioè la fase pre trattativa. I russi sono maghi nell’utilizzo della propaganda, le loro uscite di questi giorni costituiscono l’anticipazione del negoziato vero, nel tentativo di ottenere il massimo». Tutto sommato resta ottimista?«All’atto pratico, riconosco che la strada del negoziato è irta di insidie. Ma allo stesso tempo, trovo stomachevole il pessimismo pregiudiziale che arriva da alcuni ambienti europei. C’è una precisa parte politica, antitrumpiana a prescindere, sia in Europa che in Italia, che reputa già fallito il tentativo di Washington, ed è disposta a sacrificare le opportunità di un negoziato proficuo sull’altare del consenso politico di breve termine». Lei approva il tentativo di Trump di chiudere la guerra? L’idea di dare legittimità al nemico accogliendolo sul proprio territorio a molti è sembrata una resa. «Per fare un passo verso la pace, anzitutto occorre parlarsi. E bisogna riconoscere che Trump ha avuto coraggio. Si è messo in gioco in prima persona. Il vertice di Anchorage è stato l’inizio di un percorso. Trump è un pragmatico, e in virtù di questo, persegue gli interessi del suo Paese: e in effetti il suo obiettivo primario è riconquistare un rapporto con la Russia, più che salvaguardare le richieste ucraine». E il governo italiano?«Indubbiamente il presidente del Consiglio Meloni ha avuto il merito di ricercare l’unità europea, in ossequio a una parola d’ordine indispensabile in un momento così delicato: compattezza. In secondo luogo, bene ha fatto il governo a mantenere una relazione solida con l’amministrazione americana. Bisogna lavorare con impegno sulla deterrenza, rafforzare l’apparato di sicurezza ucraino. Se Kiev regge fino all’inverno, quando fare la guerra diventa più costoso per Mosca, allora sarà possibile intavolare una trattativa più bilanciata. Putin rispetta solo la forza, e l’Occidente si deve presentare compatto a possibili negoziati».Si può immaginare un accordo senza il cessate il fuoco?«I russi su questo punto non sono ricettivi, anche perché l’estate è il momento giusto per muovere truppe, nella speranza di strappare qualche chilometro in più. Con enorme tristezza penso ai tanti giovani che ancora devono morire, e alla popolazione civile in Ucraina».Dunque intravede maggiori speranze di distensione in autunno? «Sì, i negoziati veri di solito si fanno quando la guerra diventa tecnicamente più difficile. Ma non escludo che Trump abbia cercato un’accelerazione perché in possesso di informazioni riservate sulla tenuta dei reparti ucraini al fronte. Forse si è palesata la necessità di intavolare un accordo in fretta prima che fosse troppo tardi». In queste ore di contatti frenetici, rispunta il carteggio del negoziato di Istanbul del 2022. Come ha vissuto quel tempo in ambasciata? «In quei giorni si percepiva grande speranza per un accordo anche da parte russa, soprattutto tra le “colombe” del ministero degli Esteri di Mosca. Quel negoziato è fallito per demeriti collettivi: i russi alla fine hanno alzato l’asticella sui meccanismi di garanzia per Kiev, e l’Occidente da par suo ha esacerbato i toni, con Boris Johnson in testa. Un’occasione perduta, anche per via di una tempistica non felice».Tempistica?«All’epoca l’esercito ucraino inanellava successi, aveva bloccato una colonna russa alle porte di Kiev, contro ogni previsione. I negoziatori occidentali presero coraggio e si irrigidirono. La pace sfumò. Oggi invece i rapporti di forza sono cambiati». Qual è il compromesso possibile sulle garanzie di sicurezza in Ucraina?«Gli strumenti sono molteplici: dalla possibilità di limitare lo schieramento dei missili terra-aria, ad aree smilitarizzate, alla costruzione di strutture di dialogo periodico tra le parti a livello diplomatico e militare, fino alle truppe di interdizione, generalmente provenienti da Paesi neutrali, che alla fine costituiscono quasi degli “ostaggi” sul campo. Vedremo. Sicuramente, con questa sua “operazione speciale”, Putin ha peggiorato la sicurezza della Russia: il Baltico è diventato un mare occidentale, con l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Ma questo è accaduto per colpe russe, non nostre».Come immagina un eventuale bilaterale Putin-Zelensky? «Se Putin incontrerà Zelensky in bilaterale, c’è il rischio che finisca male. Zelensky è l’antitesi di Putin: appartiene al mondo post sovietico, arriva da un’esperienza nello spettacolo, vive sui social, mentre il capo del Cremlino per ragioni di sicurezza non possiede neanche uno smartphone. Un ingresso di Kiev nella Nato sarebbe un incubo per i russi, ma anche un’adesione all’Ue non è vista di buon grado. A Mosca non sopportano l’idea di ritrovarsi Ursula Von der Leyen in visita nel cortile di casa, con una società ucraina completamente occidentalizzata e democratizzata».Sul piano diplomatico, si è fatto il possibile per un confronto? «Da quando è scoppiata la guerra nessuno in Europa ha davvero lavorato per la pace. L’Europa non ha mai elaborato proposte, che difatti sono arrivate da Cina, Turchia, Santa Sede. E adesso, dagli Usa».Come se lo spiega?«Leadership precarie, governi instabili. E soprattutto ha pesato la linea dell’amministrazione Biden, che non ha mai presentato proposte sulla risoluzione della crisi, né ha aperto un canale diretto con Putin. Gli alleati europei si sono mossi di conseguenza, senza capire che in Europa nessun settore economico avrebbe tratto vantaggio dalla guerra, escludendo i profitti stellari di qualche azienda della difesa». Sta dicendo che, nonostante l’invasione russa, serviva più elasticità con Putin?«In altri tempi, altre figure politiche in Francia, Germania e Italia avrebbero intrapreso maggiori sforzi diplomatici. Invece abbiamo vissuto una fase in cui era considerato disdicevole avere qualsiasi rapporto con la Russia. È stato un periodo che giudico “maccartista”, praticamente una caccia alle streghe: chiunque presentava proposte per porre fine alla guerra veniva tacciato di putinismo». Ma la Russia aveva invaso i confini di un Paese democratico. «Nei primi mesi di guerra, a Mosca ravvisavo un’aspettativa di dialogo da parte russa. I moderati del Cremlino dicevano: “Quando si muove l’Europa? Quando arrivano proposte diplomatiche?”. Il fatto che l’Europa non abbia mosso un passo ha fatto la felicità di Putin, che si è sentito in dovere di continuare la guerra. Alla fine i russi ci dissero che parlare con gli europei era una perdita di tempo, perché tanto - dicevano - alla fine decide Washington». Molti leader europei assicuravano che la Russia si sarebbe sgretolata in poche settimane di guerra.«È vero. Io stesso ero convinto che la guerra non sarebbe durata molto, perché la struttura economica russa - si diceva - non poteva reggere a lungo. Sono rimasto sorpreso. La Russia non è il Paraguay, e fin quando grandi Paesi come la Cina , l’India , la Turchia e buona parte del mondo non applicheranno le sanzioni, il meccanismo sanzionatorio sarà inefficace, e Putin continuerà a finanziare la sua guerra».Bisogna allargare il tavolo del negoziato?«Se vogliamo davvero una pace duratura, bisognerà coinvolgere la Turchia, e soprattutto la Cina, che continua a sovvenzionare la guerra di Putin comprando petrolio a prezzo di favore, e fornendo tecnologie ai sistemi d’arma russi». È di quelli convinti, come papa Francesco, che l’invasione russa è ingiustificabile, ma al contempo la Nato e l’Occidente hanno «abbaiato» alle porte di Mosca?«George Bush padre attaccò l’Iraq per aiutare il Kuwait, ma si rifiutò di prendere Bagdad, perché era figlio degli accordi di Helsinki, in cui americani e russi si impegnavano a rispettare le reciproche sfere di influenza. Bush figlio ruppe l’incantesimo, abbattendo Saddam unilateralmente. La Russia iniziò a comportarsi allo stesso modo, intervenendo in Georgia e in Siria. È assurdo che Putin sia stato condannato come criminale da una Corte di giustizia per l’invasione ucraina, mentre nessuno si è peritato di accusare George W. Bush». Non sarà facile normalizzare i rapporti con Mosca. «Supponiamo di arrivare a una forma di accordo. Sarà un momento delicato, perché le classi dirigenti europee e russe dovranno fare un terribile lavoro di “reset” del cervello. Non sarà facile cancellare l’enorme bagaglio di ostilità e diffidenza reciproca di questi anni. Personaggi che hanno investito il loro tempo nel riempire di contumelie Mosca - da un lato - e l’Occidente - dall’altro - dovranno riadattare il loro pensiero. E non è semplice». Pensa sia giusto, un giorno, ristabilire le relazioni tra l’Europa e la Russia di Putin?«Assolutamente sì. L’Europa è uno dei più grandi bacini manifatturieri del mondo, non può che coltivare una partnership economica con l’immenso hub di risorse energetiche e minerarie russe. Il concetto di Eurasia, promosso da personaggi come Kohl, Mitterrand, e in Italia Prodi e Berlusconi, continua ad avere un immenso potenziale. Senza contare la storica vicinanza culturale tra Italia e Russia, che ci ha garantito per anni un vantaggio economico sul resto d’Europa. Temo che bisognerà aspettare una nuova fase politica e l’avvicendamento ai vertici dei due protagonisti del conflitto: Putin e Zelensky».