
Gabriella Di Michele, direttore generale dell'Inps, fu oggetto di un procedimento disciplinare interno per il prestito a tasso di favore assegnato da sé stessa. Sanzione da 200 euro poi conciliata. Ad altri dirigenti invece la stessa prassi è costata la carriera.Passano i governi, i ministri, i commissari e i presidenti, ma lei resta all'Inps, inamovibile e intoccabile. La notizia che Gabriella Di Michele sia ancora direttore generale dell'ente di previdenza sociale, dopo il cambio di governo e le guerre interne, ha creato non poche polemiche e le solite malignità tra i corridoi del feudo delle pensioni in Italia. In passato c'è chi l'ha soprannominata «Lady pensioni», perché di fondo custode delle vite di milioni di cittadini italiani. In questi anni si era ritagliata un profilo di fedelissima di Tito Boeri, ma l'ultima relazione sul reddito di cittadinanza ne ha già fatto una punta di diamante del governo gialloblù, anche perché durante l'audizione alla Camera il 6 marzo scorso ha ribaltato i limiti del provvedimento caro ai 5 stelle che aveva invece tratteggiato invece l'ex presidente. Non solo. Se durante la presidenza Boeri vi era stata l'idea di abbassare le direzioni da 45 a 37, ora invece l'obiettivo è aumentare i dirigenti apicali. D'altra parte così va l'Italia. E a Roma sanno bene che per i dirigenti Inps vale prima la propria poltrona di ogni casacca politica. Sta di fatto che né il nuovo governo del premier Giuseppe Conte, né l'addio di Tito Boeri, né l'arrivo del nuovo presidente Pasquale Tridico, hanno avuto la meglio su di lei. Del resto, Di Michele è una vecchia conoscenza per i lettori della Verità, anche perché proprio l'attuale direttore generale avrebbe nei mesi scorsi provato a togliere il nostro giornale dalla rassegna stampa interna, dopo gli articoli che davano conto della guerra per la successione. Claudio Durigon, sottosegretario al ministero del Lavoro, l'ha difesa in un'intervista sul nostro giornale, spiegando che nonostante la scadenza dei vecchi vertici, che avrebbe comportato una decadenza immediata, «resterà al suo posto per altri tre anni. Ha un contratto, ha lavorato bene sia sul reddito che sulle pensioni. È una persona che ha dato una grande mano in questa fase e, personalmente, io ho lavorato assolutamente bene con lei». Eppure gli ultimi anni della dottoressa Di Michele sono stati molto travagliati dentro l'Inps. Arruolata nell'ente previdenziale nel 1985 come semplice funzionario, poi dopo una lunga carriera da dirigente e con ruoli apicali anche in Equitalia, nel 2016 fu oggetto di un procedimento disciplinare interno, documento di cui La Verità è in possesso. Ebbene, nelle pagine si viene a scoprire una sanzione disciplinare di 200 euro per avere ottenuto un mutuo agevolato da 300.000 mila euro, stipulato nel 2012, quando era direttore regionale per il Lazio, approvato da lei stessa. «Ritenuto che le giustificazioni addotte dalla dirigente non rimuovono gli addebiti contestati che risultano congruamente inquadrabili nella sanzione disciplinare pecuniaria […]», si legge nelle 5 pagine datate 16 giugno 2016. La vicenda, che emerse già all'epoca sulle colonne del Fatto quotidiano, non fermò l'ascesa della dottoressa Di Michele, che diventò nel gennaio 2017 direttore generale dell'Inps. La nomina fu abbastanza travagliata, anche per via del procedimento disciplinare sul mutuo agevolato per ristrutturare la propria abitazione. Boeri diede rassicurazioni all'allora ministro Giuliano Poletti. Poi ci fu un ricorso della stessa Di Michele, il giudice sentenziò che si fosse trattato di «una mera svista» e alla fine una conciliazione con lo stesso ente, con l'annullamento della sanzione. C'è chi sostiene però che la prassi dei mutui agevolati dentro l'Inps sia una pratica diffusa. E spesso c'è chi in questi anni ha dovuto scontare sanzioni ben peggiori, rispetto a 200 euro. Ci fu il caso, sempre nel 2012, del direttore centrale delle risorse umane dell'Inps, Ciro Toma. Fu accusato dal sindacato Usb di aver autorizzato a sé stesso un prestito di circa 155.000 euro a tasso agevolato, 64.000 più del previsto. Poi non incassò neppure i soldi. Scoppiò una lunga polemica, con provvedimenti sia per chi aveva denunciato sia per lo stesso Toma, che fu prima licenziato e poi rientrò in servizio. «Ma come?» spiega un addetto ai lavori. «Toma non aveva neppure riscosso il mutuo, prima lo hanno licenziato poi demansionato, quindi è stato reinserito come dirigente di seconda fascia, a lei una multa di appena 200 euro poi conciliata…». Non solo. Le stranezze intorno all'attuale direttore generale non finiscono qui. Negli anni passati sono circolate anche lettera anonime, in particolare sulla nomina a direttore generale tecnico edilizio dell'architetto Elia Achille, già coordinatore regionale Lazio ai tempi della sua direzione generale. C'è poi chi sostiene che con la conferma di Gaetano De Ruvo come coordinatore generale legale non abbia applicato il regolamento sulla rotazione degli incarichi. Per di più proprio De Ruvo ha ricoperto il ruolo di coordinatore legale degli appalti nel periodo su cui si è concentrata l'inchiesta operazione Labirinto del 2016, che ha portato al rinvio a giudizio l'ex direttore generale dell'ente, Vittorio Crecco.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





