2022-01-13
Il modello Speranza demolito da Ema e Oms
Roberto Speranza (Getty images)
Secondo le due agenzie, la strategia del richiamo perenne, su cui insiste l’esecutivo, è insostenibile: «C’è bisogno di antidoti aggiornati, capaci anche di limitare le infezioni». Il regolatore Ue, intanto, cambia approccio e inizia a virare verso le terapie.L’Oms e l’Ema fanno traballare la strategia dei booster eterni che il ministero della Salute sta invece di fatto avallando. «Entro due mesi oltre il 50% degli europei sarà contagiato da Omicron, sono necessari e andrebbero sviluppati vaccini che abbiano un alto impatto sulla prevenzione dell’infezione e della trasmissione, oltre che sulla prevenzione di malattie severe e morte». In attesa che questi siano disponibili, «occorrerà aggiornare la composizione degli attuali vaccini anti Covid, al fine di garantire che continuino a fornire il livello di protezione raccomandato contro l’infezione e la malattia», hanno detto martedì gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Contro l’emergere di nuove varianti non è quindi utile continuare ad effettuare richiami con i vaccini già esistenti. «Una strategia di vaccinazione basata su richiami ripetuti» dei vaccini attuali «ha poche possibilità di essere appropriata o sostenibile», spiega l’Oms. Sulla stessa linea, anche l’Ema: il capo della strategia vaccinale dell’Agenzia europea del farmaco, Marco Cavaleri, ha infatti detto in conferenza stampa che «vaccinazioni ripetute a brevi intervalli non rappresenterebbero una strategia sostenibile a lungo termine». Insomma: «Non possiamo continuare con booster ogni tre-quattro mesi». E la stessa Ema martedì ha anche fatto sapere che potrebbe approvare il vaccino specifico per far fronte a Omicron ad aprile-maggio (Pfizer ha annunciato che sarà pronto a marzo). Sia l’Oms sia l’agenzia europea demoliscono il modello Speranza. E si chiedono se inseguire il virus invece di anticiparlo sia la strategia giusta nell’interesse della salute pubblica. Basandosi su un presupposto che qui cerchiamo di spiegare in maniera semplice: i booster funzionano, anche contro Omicron, perché producono una quantità di anticorpi sufficiente a fermare le infezioni all’inizio, poi però intervengono le cosiddette cellule T, ovvero i linfociti attivati dalla proteina Spike del virus, che quando infezione è iniziata risolvono il resto. Il problema è che circa i due terzi degli anticorpi che vengono prodotti dagli attuali booster sono inutili, nel senso che vanno ad «attaccarsi» a dei pezzi di virus che con Omicron sono cambiati. Quindi il booster produce talmente tanti anticorpi da essere capaci comunque di difendersi dal pezzo di virus non mutato, però se avessimo nuovi vaccini che puntano le parti giuste, l’efficacia sarebbe maggiore e quindi ridurremmo anche l’incidenza delle infezioni, le reinfezioni e di conseguenza anche la pressione sul sistema sanitario. In più, l’Oms ragiona in termini globali: non ha mai visto di buon grado la terza dose, preferendo prima dirottare le risorse sui Paesi poveri, ma l’organizzazione guarda anche alla Cina, dove la strategia del Covid zero non sembra funzionare anche di fronte alle nuove varianti capaci di «bucare» il vaccino più diffuso nel Paese, ovvero Sinovac.A due anni dall’inizio della pandemia, inoltre, l’arsenale per combattere il virus si sta fortunatamente allargando e si comincia a investire anche sulle terapie da integrare con i vaccini. Ovvero sui nuovi trattamenti basati sugli antivirali, che impediscono al virus di moltiplicarsi, e sugli immunomodulatori, che aiutano il sistema immunitario a combattere il virus o a impedire che reagisca in modo eccessivo in modo pericoloso. Alcune potenziali terapie agiscono in modo diverso o attraverso meccanismi multipli. Poi ci sono gli anticorpi sintetici, che suppliscono a quelli che l’organismo non produce abbastanza. Nel cassetto dell’Ema c’è già un piccolo plotone necessario per portare avanti la strategia integrata «vaccini+terapie». E l’elenco è destinato ad aumentare. All’inizio di questa settimana, la svizzera Novartis ha fatto sapere che il preparato Ensovibep, sviluppato insieme alla Molecular partners di Zurigo, ha raggiunto gli obiettivi di sperimentazione in uno studio clinico di fase 2. Ensovibep ha chiaramente ridotto la carica virale della malattia e si è dimostrato superiore al placebo, hanno indicato entrambe le aziende. Il medicinale ha anche raggiunto i traguardi secondari prefissati in materia di minori ospedalizzazioni, ricoveri al pronto soccorso e decessi, nonché riguardo ai tempi di recupero dei pazienti.Nel frattempo, partono i grandi acquisti. Come quelli programmati dagli Stati Uniti che hanno raddoppiato l’ordine per la nuova pillola Pfizer e hanno anche deciso di comprare altre 600.000 dosi della terapia basata sull’anticorpo monoclonale sotrovimab (Xevudy). Sviluppato dalla britannica GlaxoSmithKline insieme all’americana Vir biotechnology, è indicato per trattare il Covid-19 negli adulti e negli over 12 con un peso di almeno 40 chili, che non richiedono ossigeno supplementare e sono a maggior rischio che la malattia diventi grave. Si prevede, inoltre, che Xevudy sia attivo «anche contro altre varianti (incluso Omicron)». Anche il Canada e l’Unione europea hanno firmato accordi. Gsk e Vir prevedono di produrre circa 2 milioni di dosi di sotrovimab a livello globale nella prima metà del 2022.
Jose Mourinho (Getty Images)