2020-05-13
Il Miur riparte da zero per favorire gli amici
Il ministro Gaetano Manfredi non sa chi nominare come nuovo presidente Cnr. Ed è in alto mare nella redazione del Programma nazionale della ricerca pronto da settembre e ora riaffidato ad altri prof del Centro-Sud, a trazione Pd. Rischiando così di perdere i fondi Ue.Va bene che c'è stata la quarantena, ma al ministero dell'Università e della ricerca sono quasi alla paralisi. Da fine febbraio, il ministro Gaetano Manfredi non sa che pesci prendere sulla nomina del nuovo presidente del Cnr, pur avendo in mano la cinquina finale dei selezionati; mentre ora si riparte da zero anche con la redazione del Programma nazionale della ricerca (Pnr) 2021-2027, che era già pronto da settembre, e invece è stato affidato a un nuovo pattuglione di luminari del Centro-Sud , facendo infuriare quello precedente. Al Consiglio nazionale delle ricerche è scaduto il 19 febbraio il mandato del fisico dell'università di Firenze, Massimo Inguscio, scelto quattro anni fa da Matteo Renzi (che lo aveva conosciuto da sindaco) e dal ministro Stefania Giannini. A dicembre è stato insediato il Comitato di selezione dei presidenti degli enti di ricerca, che il 28 febbraio scorso ha consegnato a Manfredi, ex rettore dell'università di Napoli Federico II e ingegnere sismico vicino al Pd (il fratello Massimiliano Manfredi è deputato del partito di Nicola Zingaretti), una lista con cinque possibili presidenti del Cnr. E nella cinquina di cattedratici, secondo quanto risulta a La Verità, non figurerebbe il nome dell'uscente Inguscio. Il ministro si rigira l'elenco dei cinque ex colleghi tra le mani da settimane e settimane e a questo punto crescono le voci di uno scontro politico sotterraneo nella maggioranza di governo. Ma intanto al Miur si trascina da mesi un tormentone sulla preparazione del Pnr 2021-2027, ovvero il piano che orienterà tutta la ricerca italiana e che è necessario anche per l'accesso ai fondi europei. Previsto da una legge del 1998, alla realizzazione del Pnr concorrono le università e gli enti pubblici di ricerca, con lo scopo di individuare le priorità, gli obiettivi e l'efficienza del sistema di ricerca nazionale. Ed è sulla base di questo piano che l'Italia dovrà poi andare an Bruxelles a recuperare i miliardi di euro che versa all'Ue per la ricerca. Il Pnr, in realtà, c'è già da tempo, come La Verità aveva scritto lo scorso autunno. Se n'era occupato, come capo dipartimento del dipartimento Ricerca del Miur, il giurista milanese (ed ex deputato di Alleanza nazionale) Giuseppe Valditara, ed era stato scritto da 14 docenti universitari delle varie discipline, insieme agli atenei, agli enti e ai consorzi di ricerca, ad alcune industrie di punta. Un lavoro iniziato a marzo 2019 che aveva coinvolto 1.350 esperti, era stato sottoposto alla Conferenza dei rettori e a settembre scorso era stato consegnato all'allora ministro grillino Lorenzo Fioramonti un bel tomo di 250 pagine, più note e ampia bibliografia. E qui comincia il balletto dei mandarini del Ministero, guidato da Fulvio Esposito, ex rettore della prestigiosa università di Camerino, legato al Pd, «professore emerito di parassitologia», come si legge dal suo curriculum. Dopo essere stato consigliere del Miur dal 2004 al 2011, Esposito a settembre viene nominato capo della segreteria tecnica della meteora Fioramonti. I due si ritrovano tra le mani il Pnr, ma lo bloccano per motivi oscuri. O forse neanche troppo: pare che l'ex ministro stesse cercando di metterci qualcosa di suo. Insomma, di intestarselo un po'. Ma poi, a dicembre, il professore di Pretoria sbatte la porta del Conte bis, visto che il collega Roberto Gualtieri gli nega i due miliardi che aveva (giustamente) richiesto per università e ricerca, ma che forse erano stati in qualche modo pattuiti in uno scenario che poi non si è verificato, ovvero il parziale aumento delle aliquote Iva. Il Ministero ripiomba nella paralisi e la nomina di Esposito a capo dipartimento viene bocciata dalla Corte dei conti. Il Pnr a questo punto s'inabissa e l'aspetto più paradossale è che il nuovo ministro, Manfredi, era il presidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane (Crui) che lo aveva esaminato e aveva dato semaforo verde. Ma cambiare idea è umano, specie in campo scientifico, anche se qui il ministro non ha neppure pensato di fare un colpo di telefono a quegli ex colleghi che avevano lavorato gratis e avevano stilato il Programma, per ringraziarli del lavoro svolto e poi, magari, anche legittimante, ricominciare da capo. Per tutto l'inverno si rincorrono le voci più pazze, fino a quando, il 15 aprile, alcuni ordinari di materie scientifiche ricevono dal nulla una email del Miur, nella quale si chiede la disponibilità a scrivere il Pnr 2021-2027, ognuno coordinando una certa area. L'invito arriva, non si sa per caso o apposta, anche a quattro professori che avevano fatto parte della commissione precedente, per cui alla fine nessuno capisce se il Pnr vada riscritto da zero o no. Bizzarre anche le modalità d'ingaggio: risposta entro il 20 aprile e piano globale entro il 30 giugno, previo assemblaggio delle sue varie parti che non si sa come e da chi verrà fatto. Probabilmente sarà un esperimento di lavoro collettivo con distanziamento sociale. Come osserva un accademico interpellato da La Verità, «qui, visti i tempi, o erano degli imbecilli coloro che ci avevano messo sette mesi, o questi quattordici che ne impiegheranno due sono dei geni». Dei Magnifici Quattordici, oltre un terzo è di area Pd, mentre gli altri sono equamente divisi tra galleggiatori, grillini e area centrodestra. Alla fine, nella speranza che sia la volta buona, in ambito universitario è diffusa la convinzione che il ministro abbia preso sottogamba la vicenda e che la nuova commissione sia stata scelta insieme ai burosauri del Miur sulla base della solita logica, ovvero di dare visibilità e incarichi a un altro po' di gente, tutta concentrata sull'asse Bari-Napoli-Roma. A lavoro finito, sarà interessante verificare quanto del vecchio documento sarà stato cannibalizzato dai nuovi esperti.