
Teresa Bellanova, ex sindacalista dei braccianti, ha svelato a Lilli Gruber il suo vero pensiero sugli stranieri in arrivo: «Porti aperti, le imprese ne hanno bisogno altrimenti i prodotti marciscono». Viva lo sfruttamento.Per fortuna che era la «sindacalista dei braccianti», quella che si è fatta da sola e, come in una favola, dai campi arsi dal sole e giunta fino all'ombra fresca di Montecitorio. Teresa Bellanova, nuovo ministro dell'Agricoltura e «capo delegazione» di Italia viva al governo - è stata celebrata da Matteo Renzi con parole scoppiettanti. Il furbetto di Rignano l'ha definita «una donna straordinaria che è stata criticata per il suo vestito da qualche indecente chiacchierone. Faceva la bracciante», ha insistito, «è diventata sindacalista, ha lavorato come una matta e ora è ministro. È un meraviglioso simbolo di emancipazione e di lotta delle donne del Sud». Certo, la Bellanova è quella che faceva la voce grossa con le aziende, l'eroina del popolo contro i perfidi padroni, sembra uscita da un romanzo di Ignazio Silone. È perfetta per la costruzione retorica della nuova casta: mica si può accusare l'ex bracciante e sindacalista di essere una dell'élite, mica le si può dire che si sottomette ai potentati finanziari e alle multinazionali. Tanti complimenti allora al ministro per la brillante carriera, e per il sudore che ha versato negli anni passati (sia detto senza ironia alcuna). Proprio per questo, però, la Bellanova dovrebbe prestare un pochino più d'attenzione alle dichiarazioni pubbliche. È passata sotto silenzio (almeno sulla stampa, non sui social network) una frase che madama sindacalista ha pronunciato qualche giorno fa, durante una puntata di Otto e mezzo su La7. Lilli Gruber - una di sinistra a cui la fuffa politichese non piace granché - a un certo punto le ha posto la domanda fatale: «Con il vostro nuovo governo i porti italiani saranno chiusi o aperti?». La Bellanova ha provato a circumnavigare l'interrogativo: «Dobbiamo riportare il Mediterraneo ad essere una mare di pace perché è stato troppo a lungo insanguinato». Ma la Gruber ha tagliato corto: «Porti aperti o chiusi?». Ed ecco la risposta: «Porti aperti con politiche inclusive, che significa gestione europea dei flussi migratori». Frase chiara, ma ancora un po' generica, segno che il neoministro avrebbe preferito svicolare. Infatti ha subito cercato di estrarre lo slogan dal taschino, spiegando che lei vuole porti chiusi solo «alla contraffazione e alla concorrenza sleale».La Gruber, però, non ha mollato: «Ma li vuole controlli più severi su chi entra nel nostro territorio in modo irregolare?». E qui la Bellanova, finalmente, ha detto ciò che pensa. Dopo aver ripetuto che serve un accordo europeo sulla gestione dei flussi, ha tirato fuori l'aneddoto. Ha spiegato che, mentre raggiungeva lo studio, è stata chiamata da «imprese che mi hanno detto che senza flussi migratori ben regolati, molte delle nostre produzioni marciscono nei campi. Molti dei lavoratori polacchi che prima venivano qui adesso vanno in Germania. Attenti a dire porti chiusi». Per fortuna, dicevamo, che era la sindacalista dei braccianti. Il ministro dell'Agricoltura ha detto che bisogna far entrare più stranieri perché ci sono imprese agricole che hanno bisogno di mandarli nei campi a raccogliere i pomodori. È un antico mantra della sinistra, questo: chi raccoglierà i nostri pomodori? Come se gli stranieri dovessero venire qui per occuparsi di conserve e ragù. Forse il ministro dovrebbe notare che, se gli stipendi dei raccoglitori di frutta e ortaggi fossero più alti, e le condizioni di lavoro più decenti, non ci sarebbe bisogno di avere schiavi importati dall'estero. I polacchi vanno in Germania, dice la Bellanova. Quindi che dobbiamo fare, imbarcare africani così saranno loro a spezzarsi la schiena sotto al sole per stipendi da fame? Certo, ora il ministro dirà che è stata mal compresa, che gli immigrati sono una «risorsa». Ma il senso del suo discorso lo abbiamo capito benissimo. È lo stesso che ci viene ripetuto da diversi anni a questa parte: gli immigrati servono come esercito industriale di riserva. Ci sono imprese che ne hanno bisogno per poter sotterrare il costo del lavoro, e schiantare la concorrenza. Il ministro dovrebbe sapere che, il 12 marzo scorso, è stato presentato il decreto flussi 2019, che prevede l'ingresso (regolare) di 30.850 lavoratori non comunitari sul nostro territorio. Di questi, 18.000 sono entrati «per lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero». Costoro non hanno avuto bisogno di giungere qui su un barcone. Chi arriva grazie ai «porti aperti», invece, è destinato a essere sfruttato, schiavizzato. Ma, a quanto pare, al ministro va bene così. Glielo hanno chiesto «le imprese», figurati se lei può rispondere di no. E per fortuna che era una sindacalista.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.





