
L'improvvisa sostituzione del direttore dell'«Osservatore romano» avrebbe come mandanti padre Antonio Spadaro di «Civiltà cattolica» e Andrea Tornielli, capo del dicastero per la comunicazione. Con la Segreteria di Stato, tenuta all'oscuro, molto irritata.Con la nomina del giornalista Andrea Tornielli a direttore editoriale di tutti i media vaticani, la riforma del sistema mediatico a servizio del Papa ha fatto un passo decisivo, ma c'è qualche mal di pancia di troppo. Il nuovo direttore editoriale, che ora ha in mano la linea di tutti i media vaticani, proprio grazie al rapporto privilegiato che ha sempre avuto con papa Bergoglio, svolgeva già questo ruolo di interprete mediatico ufficioso di Francesco con articoli, interviste, libri, telefonate e indicazioni di amici e nemici. Tutto ciò ora assume semplicemente una veste ufficiale, ma questa nomina esprime qualcosa in più: rappresenta una sorta di resa dei conti all'interno del ricco e variegato mondo di uomini che ruotano intorno ai media vaticani. I vincitori, così si sussurra tra i vicoli di Borgo Pio, risultano appunto essere Andrea Tornielli e il direttore della rivista dei gesuiti La Civiltà cattolica, padre Antonio Spadaro (forse il più incisivo consigliere del Papa). Il defenestrato eccellente, invece, è senza dubbio l'ex direttore dell'Osservatore Romano Gian Maria Vian: lo studioso, infatti, è stato «promosso» al rango di emerito e sostituito da Andrea Monda, professore e scrittore con interessi artistici e creativi condivisi con padre Spadaro (i due sono rispettivamente presidente, Monda, e fondatore, il gesuita, del progetto culturale romano chiamato Bomba carta).A quanto apprende La Verità insieme a Vian sembra che anche la Segreteria di Stato esca un po' con le ossa rotte dagli ultimi eventi nel mondo mass mediatico vaticano. Per quanto riguarda Vian, pare che fino alla sera prima del defenestramento l'ex direttore dell'Osservatore Romano non ne sapesse assolutamente nulla, nessuna convocazione da parte del Papa. Nemmeno una telefonata di preavviso. Tra l'altro si dice che nessuno abbia mai contestato nulla a Vian circa il suo operato. Ma, dicevamo, anche la Segreteria di Stato, che comunque ha sempre esercitato una certa influenza sul quotidiano del Papa e sulla Sala stampa vaticana, pare essere stata tenuta all'oscuro di tutto. Una brutta faccenda che dice di un metodo poco ortodosso e di un clima da guerre intestine fra molti galli nel pollaio, una vicenda che meriterebbe un chiarimento per evitare di ridurre la tanto decantata riforma dei media vaticani in una storia di carrierismo e beghe personali.Il Papa probabilmente voleva sostituire Vian, ma la spallata finale sarebbe arrivata proprio su consiglio di padre Spadaro e di Andrea Tornielli. Francesco, secondo anche altre fonti stampa, in prima battuta avrebbe voluto alla direzione del quotidiano lo stesso Spadaro, ma il padre gesuita avrebbe rifiutato e poi indicato Andrea Monda. Non vi sono certezze di come si siano svolti i fatti, ma diverse fonti indicano in Spadaro e Tornielli i due mandanti remoti della defenestrazione sbrigativa di Vian.Che l'Osservatore Romano e il suo direttore fossero i tasselli da sistemare nel progetto di riforma dei media vaticani, processo in progress dal lontano 2014, lo si era capito anche al momento delle dimissioni dell'ex dominus del mondo mass mediatico vaticano, monsignor Dario Edoardo Viganò. Nel marzo 2018 Viganò manipola artatamente una lettera del Papa emerito per arruolare Benedetto XVI a sostegno di alcuni libretti a favore della teologia di papa Francesco, una fake news tragicomica. Così l'ex prefetto della super Segreteria delle comunicazioni, la cabina di regia della riforma voluta da Francesco, fu costretto a presentare le dimissioni. Francesco, un po' a malincuore, le accettò. Curiosamente, nella lettera del Papa in cui si accettavano le dimissioni di Viganò si istituiva per lui l'ufficio di assessore del dicastero, lasciandolo di fatto con ampi poteri e margini di manovra, ma ancor di più si citava espressamente l'Osservatore Romano per la sua «imminente fusione» all'interno dell'unico sistema comunicativo. Per molti osservatori era il segnale decisivo nei confronti del quotidiano del Papa, ma ancor di più l'ennesima pistola fumante di una guerra intestina all'interno del mondo mediatico vaticano. Molti galli nel pollaio della comunicazione vaticana e tra gli «interpreti» più o meno ufficiali del pontificato, al di là della trita divisione tra progressisti e conservatori. Il bersaglio più importante dei riformatori era ed è la vecchia cinghia di trasmissione che all'interno dei media vaticani porta dalla Segreteria di Stato alla Sala stampa e all'Osservatore Romano. Per tacere della vicenda di Radio Vaticana.Ora Andrea Tornielli sembra prendere il comando della compiuta centralizzazione dei mass media vaticani, e con lui Antonio Spadaro. Ma il metodo utilizzato per defenestrare Vian ha lasciato più di qualche malumore, non solo nell'emerito direttore. Nel panorama degli uomini che cavalcano la riforma resta sullo sfondo, più istituzionale, Paolo Ruffini in qualità di prefetto del Dicastero per le comunicazioni. E resta anche l'incognita Dario Edoardo Viganò in qualità di assessore, sebbene scottato dalla fake news sulla lettera del Papa emerito. L'Osservatore Romano, defenestrato Vian, viene ad essere appunto «fuso» all'interno dell'unico sistema comunicativo. La Sala stampa e il suo direttore, Greg Burke, passano ad un ruolo assai depotenziato. Anche la Segreteria di Stato esce ridimensionata perdendo il suo tradizionale controllo su Sala stampa e Osservatore romano. È proprio qui, alla terza loggia del palazzo apostolico, che si vorrebbe qualche chiarimento in più, anche in confronto al «metodo» applicato per la defenestrazione di Gian Maria Vian.
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.
Friedrich Merz (Ansa)
Con l’ok di Ursula, il governo tedesco approva un massiccio intervento sul settore elettrico che prevede una tariffa industriale bloccata a 50 euro al Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio. Antonio Gozzi (Federacciai): «Si spiazza la concorrenza».
Ci risiamo. La Germania decide di giocare da sola e sussidia la propria industria energivora, mettendo in difficoltà gli altri Paesi dell’Unione. Sempre pronta a invocare l’unità di intenti quando le fa comodo, ora Berlino fa da sé e fissa un prezzo politico dell’elettricità, distorcendo la concorrenza e mettendo in difficoltà i partner che non possono permettersi sussidi. Avvantaggiata sarà l’industria energivora tedesca (acciaio, chimica, vetro, automobile).
Il governo tedesco ha approvato giovedì sera un massiccio intervento sul mercato elettrico che prevede un prezzo industriale fissato a 50 euro a Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio, accompagnato da un nuovo programma di centrali «a capacità controllabile», cioè centrali a gas mascherate da neutralità tecnologica, da realizzare entro il 2031. Il sistema convivrebbe con l’attuale attuale meccanismo di compensazione dei prezzi dell’energia, già in vigore, come ha confermato il ministro delle finanze Lars Klingbeil. La misura dovrebbe costare attorno ai 10 miliardi di euro, anche se il governo parla di 3-5 miliardi finanziati dal Fondo per il clima e la trasformazione. Vi sono già proteste da parte delle piccole e medie imprese tedesche, che non godranno del vantaggio.






