2025-04-02
Il messaggio di Karol vent’anni dopo
Giovanni Paolo II (Getty images)
Il 2 aprile 2005 morì Wojtyla, ma non la sua lotta in difesa della vita e della libertà. Triste che proprio la sua Polonia la stia rinnegando, picconando i valori cristiani.ideologie. L’azione intelligente, prudente e pacifica di questo Papa ha reso possibile ciò che nessuno, a quel tempo, osava anche solo immaginare: la caduta dell’impero comunista e l’inizio di una primavera di libertà per milioni di persone schiacciate dall’ideologia e dai carri armati dell’Unione Sovietica. Non una goccia di sangue, non un colpo di cannone, neppure un militare al fronte, o un civile sacrificato in una guerra per la libertà. Soltanto - e non è poco! - la forza di un uomo armato del coraggio della fede e della verità, che ha posto al centro della sua missione la dignità della persona umana, la sacralità della vita, la costruzione del vero bene comune, la difesa di chiunque è debole, fragile, indifeso. Venti anni prima di morire, Giovanni Paolo II scrive una enciclica che può essere considerata il fondamento della civiltà umana e la pietra miliare per la costruzione di una società davvero libera e giusta: Evangelium Vitae. Una enciclica sociale, prima che morale o dottrinale, che ponendo al centro il «diritto alla vita» di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, disegna le coordinate per contrastare ogni ideologia contro la vita, dal Papa efficacemente indicata come la «cultura della morte». Celebrare il ventesimo anniversario della sua «salita al Cielo» è non solo rendere un doveroso omaggio a chi ha speso la propria vita per il bene di ogni popolo e nazione, ma è soprattutto voler stare nel solco di chi ha celebrato e difeso i due pilastri dell’umano, la libertà e la vita, insegnandoci che la vita senza libertà è schiavitù e la libertà senza vita è follia suicida, trionfo di ogni male. Ciò detto si resta senza parole, o meglio non si hanno che parole di profondo sdegno e condanna nel vedere quanto sta accadendo in Polonia, la terra natale di San Giovanni Paolo, ove è in atto una strategia di progressivo smantellamento dei valori cristiani (soprattutto in ordine alla difesa della sacralità della vita) il cui ultimo atto, in ordine di tempo, è il boicottaggio alla apertura del Museo «Memoria e Identità», dedicato al Papa polacco. Il titolo scelto per quel museo vuole ricordare l’estremo messaggio di papa Wojtyla all’umanità, «Memoria e Identità», pubblicato a ridosso della sua morte. Si tratta di una riflessione sulla storia e di una meditazione sul «mistero del male», incarnato nei grandi poteri totalitari del Novecento, nazismo e comunismo, che hanno prodotto terribili sciagure umane quali l’Olocausto, i gulag, gli stermini di massa. È una analisi lucidissima sui fondamenti etici della democrazia e dei diritti umani, a partire dalla sacralità della vita, sull’identità dell’Europa fortemente radicata nel cristianesimo, fino alla frattura provocata dall’Illuminismo, fino a giungere alla missione della Chiesa, che custodisce in sé la memoria della storia dell’umanità. È doloroso, oltre che vergognoso, che siano proprio le autorità polacche a cercare di cancellare il ricordo del più grande figlio della Polonia di tutti i tempi. Non possiamo che auspicare un ravvedimento da parte del governo, un ripensamento che riconosca l’enorme bene che Karol Wojtyla ha fatto alla sua patria, all’Europa e al mondo intero. Di che cosa aver paura, che cosa temere? Quando si teme chi ha lottato per la vita, la giustizia e la verità - e la verità è che il cristianesimo è la radice della nostra Europa - si finisce per lavorare per un potere fondato su ideologie menzognere, che non porteranno mai al «bene» dei popoli. Un’ultima riflessione non posso tacere: proprio in questo contesto di ostracismo e di tentativo di cancellazione, Giovanni Paolo II si mostra a tutti noi come figlio e discepolo, «servo buono e fedele», di Colui che per primo «venne in mezzo ai suoi, e i suoi non l’hanno accolto... la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta».
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
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