2020-11-06
Il manifesto di Lerner per celebrare i compagni col Rolex
Nel suo nuovo libro Gad difende gli intellettuali di sinistra a braccetto dei potenti. E fa l'elogio dell'ipocrisia progressista.Gad Lerner ci tiene molto a smentire il pettegolezzo malandrino: «Non ho mai gareggiato a chi ce l'ha più lungo né con il tipografo di Lotta continua né con chicchessia». Peccato: immaginarlo alle prese con tale pratica preadolescenziale ce lo rendeva un filo più simpatico. Soprattutto perché Gad, negli anni successivi, ha continuato a misurarselo eccome: ha esibito a ripetizione la sua superiorità morale, se non quella fisica. Un atteggiamento di cui resta emblematica la riflessione sulle destre che guadagnano consensi sfruttando le illusioni delle «classi subalterne».Agli appassionati di gossip farà comunque piacere sapere che Lerner è ben più parco di commenti riguardo a un'altra diceria, quella secondo cui sarebbe stato il focoso e giovane amante di Carmen Llera, vedova Moravia. Nel suo Diario dell'assenza (1996), la scrittrice narrò diffusamente delle proprie peripezie erotiche con un «ebreo circonciso» di nome Gad, il cui «coso» «sa di mandorle bianche, dolce». Non lesinò i dettagli, la Carmen: «Con nessuna hai scopato come con me. Nessuno amerà il tuo corpo sgraziato come me». Si disse subito che quel Gad fosse appunto Lerner, l'autrice poco convintamente smentì, e il diretto interessato non ci fornisce la sua versione. In compenso, nel nuovo libro intitolato L'infedele. Una storia di ribelli e padroni (Feltrinelli), Gad si mette a nudo mica male e snocciola pagine ben scritte e suggestive. Ci sono passaggi delicati, che vanno trattati con rispetto, relativi al rapporto con il padre Moshe, mancato nel 2013 e col quale ci fu, tempo prima, addirittura uno scambio di cortesie tribunalizie. Oggetto del contendere fu l'uscita del libro Scintille che, racconta Lerner, «offese entrambi i miei genitori e che ha diviso ulteriormente la parentela. Mio padre, aizzato da un avvocato più litigioso di lui, […] giunse addirittura a intentarmi una causa giudiziaria con pretese economiche di risarcimento, nonostante provvedessimo da anni al suo sostentamento. Fu penoso». L'ombra di questo padre duro come la pietra aleggia su ogni pagina, ma al cuore del volume sta un'altra questione, meno personale e più affascinante: il rapporto di Lerner medesimo e della sinistra tutta con il denaro e con il potere. A Gad va riconosciuto il fegato di volersi misurare con una faccenda spinosa, ovvero la sua immagine di «comunista col Rolex». Proprio all'inizio del volume precipitiamo nell'intimità dell'autore nei giorni di Natale del 2013. Appena morto il padre, egli raggiunge in barca «amici facoltosi, bene inseriti nell'establishment italiano, in grado di offrirmi i piaceri della conversazione, di spiagge dorate e di un servizio impeccabile». Lo yacht è a mollo alle Seychelles, e non è la prima volta che Lerner s'accompagna a danarosi amici. I rovelli però non mancano: «Sarei bugiardo se negassi che l'accusa di aver perpetrato il tradimento della mia militanza giovanile colpisce un nervo scoperto». E infatti il resto del volume è una sorta di lunga giustificazione. Gad lo ammette: «Seduto sul ponte di uno yacht, non potevo ignorare il fatto nuovo: anch'io avevo partecipato al tragitto esistenziale di una sinistra che si era ormai distaccata dalle sue origini proletarie». Egli riconosce che il suo percorso è lo stesso vissuto da molti altri ex militanti. Il punto è che il dito nella piaga viene messo solo superficialmente. L'analisi diventa, in fondo, autodifesa, se non rivendicazione di uno status. E non è molto convincente. Lerner commenta le celebri foto che lo ritraggono a bagno con Carlo De Benedetti («ammetto di patire ogni volta la diffusione di quegli scatti»), ma spiega che da quel rapporto di amicizia con la potente famiglia non ha mai tratto i benefici che altri avrebbero potuto ottenere: «Mi ero proibito di parlargli dei miei deludenti rapporti con l'amministrazione del giornale («Repubblica», ndr). Né da quella relazione avrebbe mai potuto derivarmi chissà quale ruolo direzionale: mi conoscevano troppo bene». I «deludenti rapporti» riguardavano ovviamente l'aspetto economico, motivo per cui Gad lasciò il giornale nel 2015: «Fin tanto che guadagnavo bene in televisione non mi aveva pesato collaborare per compensi minimi. Ma verificai che aumentarli non sarebbe stato possibile». Il rientro avvenne nel 2019, quando direttore era Carlo Verdelli, un caro amico. Anche alla defenestrazione di quest'ultimo sono dovute le frecciate velenose che il nostro riserva a colleghi gallonati come Maurizio Molinari: «La Stampa, sotto la direzione di Molinari, aveva patito un forte calo di vendite, ma evidentemente altri requisiti di affidabilità e non la valutazione dei risultati lo avevano fatto preferire. La meritocrazia rimane un'ideologia molto elastica, e non solo». Solo miele, invece, per Marco Travaglio, suo nuovo direttore al Fatto: «Con Marco non sono mai andato in barca. Condividiamo però da anni il legame con una signora appartata, spiritosa e intelligente, Luisa Cavaliere, che nella sua casa in Cilento elargisce passione politica e sublime gastronomia meridionale». Tra una perfidia e un elogio, il libro scorre veloce. E, paradossalmente, raggiunge pure l'obiettivo: dice tantissimo sul rapporto della sinistra con il potere e il denaro, anche se non del tutto volontariamente. Gad se la cava ammettendo un po' di senso di colpa, ma in fondo mostra di fregarsene delle contraddizioni. Anzi, gode a sguazzarci. Ad esempio racconta di aver comprato - con mutuo di 15 anni - una cascina in Monferrato grazie alla liquidazione avuta da La7 nel 2001. Poi rivela: «Tuttora mantengo incorniciata - solo un po' nascosta, di fianco alle botti di cemento nella cascina in Monferrato - una bella foto-manifesto di Mao Zedong ancora giovane». Il personaggio del comunista col Rolex, dopo tutto, sembra piacergli (anche perché ancora gli garantisce una notevole rendita). E potrebbe essere perfino una posizione onesta e tutto sommato fiera, la sua. Un po' come la difesa per partito preso di George Soros, prodotta ovviamente per épater le sovraniste. Ma sarebbe tutto più credibile se poi Gad non si lasciasse andare al vittimismo, fingendo di aver lasciato nuovamente Repubblica perché troppo di destra e nascondendosi dietro a presunte discriminazioni. «Il malanimo che suscito», scrive a un certo punto, «è nutrito in parte anche dagli stereotipi dell'antisemitismo». Ora, di sicuro di insulti antisemiti Lerner ne ha ricevuti, nella sua lunga e fortunata vita professionale. Ma se c'è qualcuno che degli stereotipi approfitta, quello è proprio lui. Le sue intemerate sui populisti, i suoi attacchi continui e feroci a chi la pensa diversamente sono la quintessenza del razzismo intellettuale. Con gli avversari non si fa scrupoli: li tratta da nazisti, da servi e venduti. Non esita a compilare liste di proscrizione colme di nomi di giornalisti di destra da purgare. È questo a renderlo inviso a molti, non il suo aspetto fisico, il suo conto in banca o la sua appartenenza culturale e religiosa. A infastidire non è «l'infedele», né il comunista, né il ricco, né l'amico dei potenti: è l'ipocrita. Chissà, magari potrebbe intitolare così la sua prossima trasmissione in Rai. Siamo piuttosto certi che l'occasione non mancherà...