
I 5 stelle temono di finire staccati di 10 punti dal Carroccio alle Europee. Cannoneggiare la Lega usando come munizioni le accuse al sottosegretario serve a ridurre il margine: è la vera priorità. Perciò il governo reggerà alle dimissioni o alla cacciata del leghista.Ieri pomeriggio un esponente M5s del governo era insolitamente ciarliero. Gli abbiamo chiesto se sul caso Siri il governo rischia davvero di cadere. «Ma che cadere», ha risposto , «è la solita manfrina. Ovviamente, bisognerà vedere i risultati delle europee. La Lega, se ci supera di 10 punti, chiederà un rimpasto, e noi dobbiamo evitare che questo accada. Quindi, stiamo puntando sull'onestà per logorare l'immagine del Carroccio. La Lega capitolerà, Siri si dimetterà prima del Consiglio dei ministri (convocato probabilmente mercoledì), o comunque, anche se verrà revocato con il voto, non succederà assolutamente nulla».Non è difficile credere alle parole del pentastellato: basta un po' di buonsenso per comprendere che Lega e M5s, se facessero cadere il governo su una vicenda politicamente marginale, pagherebbero un conto salato dal punto di vista elettorale. Però, è vera anche un'altra cosa: la competizione all'interno delle maggioranze c'è sempre stata, ma stavolta gli attacchi del M5s alla Lega, pianificati e sferrati per ridurre il probabile distacco tra i due partiti a meno di 10 punti, sono pesantissimi. Si è parlato di mafia in relazione all'indagine per corruzione che vede coinvolto il sottosegretario ai Trasporti, Armando Siri, anche in assenza di qualunque elemento fattuale o ipotesi giudiziaria; come se non bastasse, quando due settimane fa è esploso il caso, Luigi Di Maio ha di fatto aggravato la posizione di Siri rilasciando queste dichiarazioni: «È stato proprio il M5s a bloccare i tentativi del sottosegretario leghista Siri di introdurre alcune misure diciamo un po' controverse. Noi ce le ricordiamo: quando arrivarono sui nostri tavoli ci sembrarono strane e le bloccammo». Dunque, tutte queste polemiche, come era del resto abbastanza evidente, non sono altro che argomenti propagandistici. Ma c'è un ma: tirando sempre di più la corda, non è detto che non si spezzi. Il M5s conta sul fatto che la Lega non accetterebbe mai di rinunciare alle poltrone di governo per imbarcarsi in una campagna elettorale insieme a Forza Italia e Fratelli d'Italia, e quindi azzanna, martella, accusa e fa filtrare sapientemente indiscrezioni che vorrebbero il Pd pronto a un eventuale «ribaltone» se la maggioranza gialloblù crollasse. La sensazione, corroborata dalla sarabanda di dichiarazioni di ieri, alcune delle quali talmente criptiche da risultare incomprensibili, è che si navighi a vista verso il 26 maggio, giorno delle Europee. Iniziamo dal premier, Giuseppe Conte. «Non ci sarà nessuna conta. Il caso Siri», ha detto il presidente del Consiglio, «non è il caso all'ordine del giorno. Il caso Siri è stato all'ordine del giorno venerdì, ci ritornerà al prossimo Consiglio dei ministri». Ora: o Conte sa che alla fine Matteo Salvini scaricherà Siri, oppure sa che lo stesso Siri si dimetterà prima del Consiglio dei ministri di mercoledì prossimo, quando il premier proporrà, come annunciato in pompa magna, la revoca del sottosegretario. Altrimenti, la conta ci sarà eccome: non a caso, Luigi Di Maio va ripetendo da giorni che il M5s ha la maggioranza in Cdm e quindi la sorte di Siri è segnata. «Io non sono stato», ha aggiunto Conte, «giudice nella vicenda Siri, ho semplicemente anticipato un percorso in cui ho ascoltato molto, soprattutto il diretto interessato. Ho parlato molto con i suoi colleghi, ho anticipato con trasparenza il percorso che avrei fatto e ho anticipato quella che mi sembra la decisione più giusta».Lo stesso Di Maio, è tornato a cannoneggiare la Lega: «Oggi (ieri, ndr) non su uno», ha scritto su Facebook il vicepremier del M5s, «ma su quasi ogni giornale c'è scritto che la Lega vuole staccare la spina al governo e ha pianificato di far saltare tutto dopo il voto. E tutto questo per cosa? Per una poltrona? Per non mollare un loro indagato per corruzione (che ha il diritto di difendersi ma lontano dall'esecutivo)? Lupi, e dico l'ex ministro Maurizio Lupi di Ncd, si dimise per molto meno. Qui si tratta semplicemente di smettere di fare le vittime», ha aggiunto Di Maio, «e rimettersi a lavorare. Preferiamo pensare a questo piuttosto che stare a parlare tutto il giorno di un indagato per corruzione e della sua poltrona».La strategia propagandistica è abbastanza evidente. Il M5s mette in parallelo il caso di Siri con quelli di esponenti politici che profumano di «vecchio»: l'altro ieri Clemente Mastella, ieri Maurizio Lupi. Molto pesanti, oltre che insopportabilmente demagogiche e fuori luogo, anche le parole del presidente della Camera, Roberto Fico, che in relazione al ferimento di una bambina a Napoli ad opera di sicari della camorra, ha chiamato in causa il ministro dell'Interno, chiedendogli «un cambio di passo effettivo».Matteo Salvini, da parte sua, continua a tentare di mantenere i nervi saldi. «Penso», ha detto replicando a Fico, «che in dieci mesi abbiamo fatto quello che la sinistra non ha fatto in tanti anni». A chi gli ha chiesto se ha ancora fiducia in Conte, Salvini ieri ha risposto lapidario: «Sì certo. Andiamo avanti». Si andrà alla conta in Consiglio dei ministri? «Non è quello a cui sto pensando», ha commentato il ministro dell'Interno, «non mi interessa. Io penso a lavorare e la mia parola vale più dei sondaggi: il governo durerà altri 4 anni e agli italiani non frega niente di quello che titolano i giornali o i telegiornali che rincorrono polemiche inutili. È per questo che vendono sempre meno e i dibattiti televisivi perdono ascolti».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti
Charlie Kirk (Ansa)
Sposato con due figli, teneva incontri in cui sfidava il pubblico: «Provate che ho torto».
Donald Trump (Ansa)
Trump, anche lui vittima di un attentato, sottolinea la matrice politica dell’attacco che ha ucciso l’attivista. «La violenza arriva da chi ogni giorno demonizza e ostracizza coloro che la pensano diversamente».
Charlie Kirk (Getty Images)
L’assassinio negli Usa del giovane attivista conservatore mostra che certa cultura progressista, mentre lancia allarmi sulla tenuta della democrazia, è la prima a minarla. E intona il coretto del «se l’è cercata».