2021-10-23
Il legale Invitalia offre mascherine al broker
Domenico Arcuri (Getty Images)
Il messaggio inviato, nel marzo 2020, dal rappresentante a Hong Kong dello studio di avvocati che assiste la holding di Stato. La proposta all'imprenditore indagato per i dispositivi: «Siamo in contatto con Arcuri, abbiamo già gestito altre forniture».C'è un sms che potrebbe offrire nuove piste investigative nell'inchiesta sulla fornitura da 800 milioni di mascherine mediata dal giornalista Mario Benotti, dall'imprenditore Andrea Tommasi e da altri sei coindagati per traffico di influenze illecite. Infatti il 19 marzo 2020 (sei giorni dopo il commissario Domenico Arcuri avrebbe firmato il primo contratto di fornitura con uno dei tre consorzi cinesi individuati dai broker sotto inchiesta), Tommasi aveva ricevuto, a quanto risulta alla Verità, un messaggio degno di nota dall'avvocato Stefano Beghi, responsabile della sede di Hong Kong dello studio legale Gianni-Origoni, un ufficio che con Arcuri ha un legame risalente negli anni. Infatti l'ex commissario, nell'interrogatorio reso davanti ai pm di Roma (è indagato per peculato e abuso d'ufficio), ha ammesso di aver «avuto rapporti con lo studio Gianni-Origoni & partners» essendo lo stesso «tra i fornitori di consulenze legali di Invitalia, da sempre». Arcuri ha anche aggiunto che lui e Invitalia hanno «a che fare con gli avvocati che lavorano in Italia dello studio Gianni».Ma torniamo al messaggio del 19 marzo 2020. Scrive Beghi: «Ciao Andrea questo è un fornitore cinese di mascherine. Trovi le caratteristiche e i prezzi per grandi quantitativi. Possono spedire anche minori quantità, ma il prezzo si alza un poco. Se mi dai istruzioni precise posso veicolare tuo tramite l'ordine. Però serve pagamento anticipato». Verrebbe da dire che ci troviamo di fronte a un intermediario dell'intermediario.È probabile che i pm abbiano fatto riferimento a questo sms quando hanno chiesto ad Arcuri se abbia avuto rapporti «per forniture di mascherine» con Beghi o con lo studio Gianni-Origoni. L'ad di Invitalia è sembrato non essere al corrente di quanto scritto dal legale a Tommasi: «Conosco Stefano Beghi in quanto partner della Deloitte, di cui ero ad fino al 2007; in occasione della pandemia ha proposto una fornitura di ventilatori. So che era partner dello studio Gianni-Origoni. Non mi risulta abbia proposto un acquisto di mascherine». Arcuri parla di ventilatori, Beghi di mascherine. Detto questo sarebbe importante sapere di quale modello di mascherine il professionista di stanza a Hong Kong abbia mandato a Tommasi «caratteristiche e prezzi per grandi quantitativi»: di una delle partite poi acquistate dalla struttura commissariale oppure no? Le indagini dovrebbero risolvere l'enigma. La Procura di Roma contesta ad Arcuri di non aver formalizzato l'attività di mediazione di Benotti & C.. L'ex commissario ha respinto con forza ogni sospetto: «Intanto Tommasi non so neppure chi sia. Per me Benotti e Tommasi erano dei promotori o procacciatori di affari, che operavano nell'interesse dell'aziende esportatrici. Non avevo alcuna necessità dì mediatori, perché c'era una moltitudine di soggetti che proponevano forniture di terzi. Avevo fatto divieto di sottoscrivere contratti con soggetti diversi dalle aziende esportatrici […]». Un dogma che ha avuto questa conseguenza: le ditte straniere hanno pagato decine di milioni di provvigioni ai procacciatori italiani e questi costi sono stati ricaricati sulle forniture alla struttura commissariale. Insomma il governo si è accollato indirettamente le esose commissioni «fantasma», ma non ha avuto nessuna possibilità di trattarne l'importo. In più, queste non sono state ufficialmente messe a bilancio e sono state scoperte solo grazie a una segnalazione di operazione sospetta all'Antiriciclaggio.Arcuri, che con i pm sembra criticare la scelta della Consip di attivare, nel marzo del 2020, le «procedure ordinarie» per l'approvvigionamento di dispositivi di protezione in una fase di emergenza, con l'Italia al secondo posto per numero di morti da Covid, ha anche riferito agli inquirenti un'altra sua regola aurea: «Si deve il più possibile frammentare il rischio, non concentrare le forniture presso pochi, o presso un unico fornitore. Si inizia con piccole quantità, per testare l'affidabilità del fornitore…». I dati presenti sul sito della struttura per l'emergenza Covid indicano che le cose potrebbero essere andate diversamente: alla fine il 96% delle mascherine Ffp3, il 46,9 delle Ffp2 e il 30,9 delle chirurgiche (dati riferiti al dicembre 2020, quando è diventata di pubblico dominio la notizia dell'inchiesta) sono state importate in Italia dai tre consorzi segnalati da Benotti & C.Ma torniamo al messaggio tra Beghi e Tommasi del 19 marzo e ricostruiamo il contesto in cui va inserito. Tra il 10 e il 16 marzo 2020 due dei consorzi cinesi che, attraverso l'intermediazione dei broker indagati hanno venduto le mascherine al nostro governo, hanno sottoposto alla Sunsky srl di Tommasi una «lettera di impegno» che affidava alla società italiana l'incarico di procacciare clienti per «dispositivi medici (mascherine, guanti, tute protettive, eccetera)». Il documento sarebbe stato controfirmato dalla Sunsky solo il 28 marzo, tre giorni dopo che la struttura commissariale aveva sottoscritto il primo dei quattro contratti della maxi commessa. Nello stesso periodo, mentre si rifiutava di firmare accordi di consulenza con i broker sguinzagliati a caccia di Dpi, l'ex commissario accettava di avere interlocuzioni su forniture da centinaia di milioni di euro con improbabili procacciatori d'affari italiani anche via Whatsapp o messaggio come è avvenuto con almeno tre indagati per traffico di influenze illecite (Benotti e gli avvocati Luca Di Donna e Gianluca Esposito).Ma adesso spunta un altro possibile interlocutore. Continuiamo a leggere la comunicazione del 19 marzo 2020 di Beghi a Tommasi: «Considera comunque che noi siamo già in contatto diretto con Arcuri e abbiamo già gestito delle forniture» scrive il legale. Beghi stava lavorando «in contatto diretto con Arcuri» per carità di Patria o aveva anche lui un interesse economico nella vicenda? E perché Beghi ha segnalato le mascherine a Tommasi e non direttamente ad Arcuri o alla struttura evitando agli stessi un sovrapprezzo di almeno 72 milioni di euro di provvigioni dirette a Tommasi? Senza contare che, secondo quanto si legge nelle mail sequestrate agli indagati, il conto finale sarebbe stato ben più salato, superando i 203 milioni di premi, cifra cui andrebbero aggiunti i soldi che i consorzi avrebbero dovuto riconoscere all'italocinese Marco Zhongkai. Infine, nel messaggio a Tommasi, Beghi precisa che «per fornitori esteri ogni ordine per la Protezione civile viene veicolato tramite l'ambasciata italiana competente». Precauzione che evidentemente la struttura non ha ritenuto di prendere.Ieri abbiamo contattato Beghi per chiedere delucidazioni su quel messaggio. L'avvocato ci ha risposto in modo cortese, ma ci ha comunicato di non intendere rispondere alle nostre domande a causa di un nostro servizio del 20 ottobre sul verbale di Arcuri in cui erano menzionati lui e il suo ufficio: «Come studio siamo rimasti molto sorpresi e dispiaciuti di leggere quel vostro articolo che ci ha menzionati, un articolo che riporta dichiarazioni non vere, fuorvianti, costruito, mi consenta, in maniera provocatoria e allusiva» ci ha spiegato il legale. Che ha concluso: «Per questo motivo con lei semplicemente non parlo e non commento». Adesso Beghi potrebbe, sempre che non abbia già fatto, aiutare gli inquirenti a ricostruire quanto accaduto.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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