2022-08-11
Malta ci ha rifilato il killer che violenta i cavalli
Robert Omo ha ucciso un cinese e ferito gravemente un bulgaro. Ma siccome è arrivato col barcone nessuno ha pianto le vittime.Afghano molesta ragazzine: in galera solo una notte. L’uomo ha avvicinato e palpeggiato due quindicenni sulla spiaggia di Ostia. Dopo l’intervento dei carabinieri è tornato libero.Lo speciale comprende due articoli. Il richiedente asilo nigeriano che il 30 luglio scorso a Monteforte Irpino (Avellino) ha assassinato a martellate un commerciante cinese nel suo negozio e mandato all’ospedale in fin di vita un giardiniere bulgaro che stava facendo acquisti era stato rispedito in Italia da Malta per il perverso meccanismo della legislazione sul primo approdo. Robert Omo, infatti, era approdato in Italia, dove si era presentato come un rifugiato e aveva avanzato una richiesta di asilo. Poi aveva cercato fortuna a Malta. Lì, però, si è guadagnato le prime pagine dei quotidiani maltesi, accusato di un reato clamoroso. Il Times of Malta nel novembre 2020 ricostruì che il nigeriano era stato condannato per avere abusato sessualmente di una cavalla in una fattoria alla periferia di Gozo, una delle 21 isolette che costituiscono l’Arcipelago maltese. La corte lo giudicò colpevole dell’inquietante accusa, condannandolo a un anno di carcere e all’espulsione in Italia, Paese di primo approdo in cui aveva presentato la domanda d’asilo. Ma in Italia Omo non voleva starci. E ora il suo legale, l’avvocato Nicola D’Archi, spiega che «voleva tornare in Nigeria, tanto da aver presentato lui stesso domanda in Prefettura per essere rimpatriato». La burocrazia dell’era di Luciana Lamorgese al Viminale, però, accoglie in fretta ma, come dimostrano i drammatici dati sulle espulsioni, non rimpatria. E Omo si è ritrovato alla Caritas di Avellino per un posto letto (ma a volte, conferma chi lo conosceva, si fermava a dormire nel parcheggio del Carrefour di Torrette di Mercogliano, dove riusciva anche a raggranellare qualche euro chiedendo l’elemosina) e un piatto caldo, accolto da don Vitaliano Della Sala, il sacerdote no global attivissimo nel 2001 durante le proteste contro il G8 di Genova e che dal pulpito invita i fedeli non vaccinati a non partecipare alle funzioni religiose («Vaccinarsi significa preoccuparsi per sé ma soprattutto degli altri», ammoniva con l’abito talare durante la pandemia e anche sulla stampa). Pure al centro Caritas, però, il nigeriano si era rivelato incapace di controllarsi. E, anche se nella Diocesi avellinese nessuno vuole parlarne, si sa che proprio la notte precedente alla mattinata di barbara violenza il nigeriano era stato messo alla porta perché aveva colpito in pieno volto un operatore del dormitorio, colpevole di averlo invitato per l’ennesima volta a rispettare le regole. A chi dopo l’omicidio e il tentato omicidio è riuscito a bloccarlo (alcuni dipendenti di un officina a poca distanza dal negozio dell’imprenditore cinese corsi quando in strada hanno sentito urlare una donna e una bambina che il nigeriano stava rincorrendo), Omo ha confessato che aveva pure perso il lavoro e che per questo motivo era andato in escandescenza. Nonostante queste caratteristiche, però, quella di Monteforte Irpino è una storia che i giornali della vulgata hanno sperato rimanesse chiusa in un ghetto mediatico. Soprattutto perché non è in linea con lo storytelling del mito dell’accoglienza che piace a una certa sinistra italiana. Si è arrivati perfino a silenziare il funerale di Gao Yuan Cheng, detto Franco. Nonostante vivesse ormai da anni in contrada Alvanella, a due passi dalla città di Avellino, e fosse da tutti conosciuto per la cordialità con la quale accoglieva nel suo Beautiful city, uno store-ferramenta di prodotti by China, le autorità non hanno partecipato e la cerimonia si è svolta in forma privata. Davanti alla saracinesca dell’attività commerciale, però, in molti hanno lasciato dei fiori o una candela, a conferma che l’imprenditore era particolarmente apprezzato dai cittadini di Monteforte Irpino.Tra le autorità, nessuno si è filato anche il bulgaro Krasimir Petrov Tsankov, che al San Giuseppe Moscati lotta tra la vita e la morte. Tsankov è stato sottoposto a una craniectomia decompressiva (probabilmente causata da una martellata) lo stesso giorno del ricovero. Le sue condizioni vengono monitorate quotidianamente ma, allo stato, restano critiche. Da Omo nel frattempo non è arrivato alcun chiarimento. Ha fatto scena muta davanti al giudice per le indagini preliminari che l’ha interrogato nel carcere di Bellizzi Irpino dopo l’omicidio. «Robert non ricorda l’accaduto, è completamente dissociato», ha spiegato il suo avvocato, annunciando la possibilità di chiedere al giudice di sottoporre l’indagato a una perizia psichiatrica. Le indagini dei carabinieri, anche grazie alle telecamere del circuito chiuso installate nel negozio, hanno permesso invece di ricostruire la dinamica: Omo, a pochi minuti dall’apertura del negozio, dopo aver afferrato dagli scaffali per l’esposizione due pesanti martelli, si è scagliato prima contro il giardiniere bulgaro, poi contro il titolare del negozio (le prime ricostruzioni, invece, riportavano l’inverso). E dopo averli lasciati a terra è uscito di corsa. Il resto della storia è stata ricostruita dagli investigatori con le testimonianze di chi è intervenuto per bloccarlo. Anche con gli inquirenti (l’indagine dei carabinieri è coordinata dalla Procura di Avellino) il nigeriano si è sbottonato poco. Ma con loro avrebbe sostenuto che da qualche tempo alternava stati depressivi a momenti di rabbia in seguito alla morte violenta della madre in Nigeria. Con qualsiasi movente, però, le sue azioni non sono giustificabili. E a rendere ancora più buia questa tragedia sono l’espulsione da Malta e il mancato rimpatrio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-killer-di-avellino-rimbalzato-da-malta-lo-cacciarono-perche-violentava-i-cavalli-2657843186.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="afghano-molesta-ragazzine-in-galera-solo-una-notte" data-post-id="2657843186" data-published-at="1660159348" data-use-pagination="False"> Afghano molesta ragazzine: in galera solo una notte Una sola notte in cella per A.N., un trentaquattrenne afghano che l’altro giorno, nel primo pomeriggio, avrebbe molestato due ragazzine di 15 anni al Curvone di piazzale Magellano, una spiaggia libera attrezzata e molto frequentata di Ostia. Dopo il fermo con l’accusa di violenza sessuale e l’udienza di convalida (durante la quale il provvedimento della Procura è stato confermato), l’afghano è stato lasciato a piede libero in attesa del processo. Nonostante la Procura abbia insistito per la misura cautelare più grave, portando in aula la ricostruzione dei fatti fornita nell’immediatezza dai carabinieri. I militari, intervenuti poco prima in uno stabilimento di fianco al Pontile per una rissa tra bagnanti durante la quale un venticinquenne si è ritrovato un cacciavite conficcato nel petto, sono dovuti correre alla spiaggia libera del Curvone dopo una chiamata al numero unico per le emergenze. La segnalazione arrivata via radio era già chiara: due ragazzine vittime di molestie in spiaggia. L’afghano, stando a una prima ricostruzione fornita dai testimoni, avrebbe prima avvicinato in acqua e poi sulla battigia le due minorenni. Poi avrebbe cercato di palpeggiarle (ovviamente da nessuno dei movimenti di femministe si è levata alcuna protesta, visto che l’accusa è ricaduta su uno straniero). Ma in quel momento sull’arenile pubblico c’era una comitiva di stranieri nordeuropei. Le due adolescenti hanno chiesto aiuto e i bagnanti hanno subito avvertito i carabinieri che, al loro arrivo, hanno incrociato l’afghano mentre cercava di allontanarsi dalla spiaggia. I quotidiani locali romani riportano che i bagnanti «cercavano di raggiungerlo per linciarlo» e che i carabinieri «l’hanno sottratto alla folla inferocita». Il sospettato è stato portato dai militari del Nucleo radiomobile in caserma e lì sarebbe stato anche riconosciuto dalle vittime. È finito in carcere a Regina Coeli, dove, però, ha trascorso solo una notte. Dopo la convalida dell’arresto nel palazzo di giustizia di piazzale Clodio, il giudice, nonostante la Procura chiedesse di lasciarlo in carcere («è un uomo che non è in grado di trattenere i suoi impulsi», ha precisato il pm in udienza), ha disposto come unica misura cautelare il divieto di dimora a Roma e l’ha rimesso in libertà. L’afghano, rispondendo alle domande del giudice, ha dichiarato di essere incensurato, di avere un impiego regolare e di vivere a Roma in un appartamento che condivide con un amico. «Ho solo sfiorato una delle ragazze mentre nuotavo», si è difeso in aula l’afghano. Una versione in contrasto con quella fornita dalle due minorenni, che davanti ai carabinieri hanno sostenuto di essere state molestate e palpeggiate, e con la testimonianza di una terza ragazza che confermerebbe il racconto delle due vittime. «Stava nuotando», ha spiegato il suo avvocato (che ha chiesto la scarcerazione o in alternativa l’obbligo di firma davanti all’autorità giudiziaria), aggiungendo che «è stato un gesto involontario» e che il suo cliente «non voleva comprimere la libertà sessuale delle ragazze». Inoltre ha affermato che l’indagato «non le conosceva e che non si era reso conto dell’età». A stabilire se questa tesi sarà sufficiente a garantire all’afghano un’assoluzione sarà il Tribunale. La prossima udienza davanti ai giudici del Tribunale di piazzale Clodio è fissata per il 20 settembre. Per ora l’indagato è tornato in libertà.