2019-05-26
Il grande silenzio sui rischi per chi abortisce
Finalmente tradotto in italiano Hush, il documentario (girato da una regista femminista) che illustra le conseguenze negative dell'interruzione di gravidanza: dalla maggiore possibilità dei tumori al seno, alle nascite premature, fino ai danni psicologici.Hush, silenzio, è il documentario del 2015 che fa parlare donne e medici delle conseguenze dell'aborto, sul piano fisico e psicologico. Girato dalla regista canadese Punam Kumar Gill, pro choice (quindi a favore dell'interruzione di gravidanza), ha il pregio di mettere insieme testimonianze e pareri diversi per aiutare a far chiarezza su temi delicatissimi e poco discussi. L'associazione Pro vita, che si batte perché le donne siano informate sui rischi per la loro salute quando decidono di abortire, ha curato la traduzione del filmato che oggi è possibile vedere in italiano. Con un contributo minimo di 12 euro, il Dvd Il Grande silenzio. Quello che ti vogliono nascondere sull'aborto e la salute delle donne vi arriva a casa e saranno 50 minuti che lasciano il segno. Perché informa, solleva dubbi, non si pronuncia sul fatto che l'aborto sia giusto o sbagliato: ne parla. Il filmato si apre con l'affermazione «rassicurante» della regista, voce narrante, che si dichiara «un prodotto del femminismo», quindi non di parte nell'affrontare alcune tematiche della salute riproduttiva di una donna. Precisa ancora meglio la sua posizione: «Sono nata in Canada, in una società libera e democratica […] L'aborto per me era un diritto, una vittoria, per noi donne, ottenuta faticosamente attraverso la lotta e il sacrificio di tante donne del passato […] Che cosa era stato detto alle donne prima che abortissero? Come stanno queste donne dopo aver abortito?». Il primo a rispondere è uno studioso di fama internazionale, il ginecologo ostetrico David Grimes: «Poiché l'aborto viene praticato principalmente su giovani donne, molte delle quali hanno davanti a sé l'intera vita riproduttiva, si tratta di un argomento che è stato studiato a fondo nel corso degli anni. Quel che sappiamo è che non vi sono conseguenze a lungo termine sulla capacità riproduttiva causate dell'aborto, e nemmeno effetti psicologici», dichiara senza incertezze. Diversa la posizione di Joel Brind, docente di biologia umana ed endocrinologia, che nel 1996 aveva condotto una metanalisi, cioè una revisione di 23 studi che avrebbero rilevato un aumento del 30% del rischio di contrarre tumori al seno da parte delle donne che avevano abortito. Spiega: «Tra il 2008 e il 2014, solo nell'Asia meridionale sono stati condotti più di dieci studi. Se si fa la media dei risultati, l'aumento del rischio è superiore al 400%! In posti come l'India, dove tradizionalmente una donna non fuma, non beve, si sposa e inizia ad avere figli durante l'adolescenza, allattandoli tutti al seno, vi sono davvero pochissimi fattori di rischio per sviluppare un tumore al seno, praticamente solo l'aborto e le pillole contraccettive. Ciò è stato ampiamente dimostrato in una metanalisi appena pubblicata di 36 studi in Cina, che mostra un aumento del rischio del 44%, nel caso di un singolo aborto, percentuale che arriva fino al 76% con due aborti e addirittura al 90% con tre o più aborti». All'accusa di essere pro life, Brind nel documentario replica: «È solo moralmente giusto dire la verità». Angela Lanfranchi, presidente del Breast cancer prevention institute per la prevenzione del cancro al seno, vuole che le donne vengano informate: «Vorrei soltanto meno pazienti trentenni con un tumore al seno, perché è una delle principali cause di morte tra le donne di età compresa tra i 20 e i 59 anni». La dottoressa, che ha studiato gli effetti delle pillole contraccettive e dell'aborto sulla formazione di carcinoma della mammella, sostiene che l'esposizione agli estrogeni «fa proliferare le cellule del seno, che si moltiplicano attraverso la divisione cellulare. Ogni volta che una cellula si divide essa deve necessariamente copiare il proprio Dna… e ogni volta che una cellula copia il proprio Dna, si possono verificare errori di trascrizione». Nel documentario viene spiegato chiaramente che cosa succede dopo le 32 settimane di gestazione: «È il periodo in cui le donne iniziano a ottenere il cosiddetto “effetto protettivo" di una gravidanza a termine. Pertanto, interrompendo tale gravidanza prima di quella differenziazione, il seno si ritroverà con più punti di partenza per sviluppare un tumore». La regista ha cercato conferme o smentite di altri dati raccolti in sei mesi di interviste e che dimostrerebbero come «se abortisci hai una probabilità maggiore del 30 o del 40 percento di sviluppare un cancro al seno», ma le organizzazioni scientifiche prima ricordate «hanno tutte negato un'intervista. Hanno detto semplicemente che il caso era chiuso». Perché, si chiede Kumar Gill tutta questa reticenza e l'assenza di informazioni, che non si trovano online a parte il riferimento a una conferenza del National cancer institute del 2003? In quella sede parlò della questione solo la dottoressa Leslie Bernstein e in venti minuti concluse: «I dati pubblicati dopo la metanalisi del 1996 e del 1997 assieme ai nostri nuovi dati, non mostrano alcun impatto negativo dell'aborto indotto oppure spontaneo sul rischio di sviluppare un cancro al seno». Perché nessuna nuova ricerca, se non quelle dei pro life che vengono puntualmente criticate e ignorate? Gli interrogativi della regista riguardano anche il silenzio su aborto e parto prematuro. Ian Gentles, vicepresidente dell'Istituto di bioetica De Veber di Toronto, spiega: «L'aborto chirurgico significa introdurre un determinato strumento per allargare la cervice. Durante una gravidanza normale, la cervice si chiude fermamente per mantenere il feto all'interno dell'utero, ma in caso di aborto questa deve essere aperta, e con forza; in genere, questa procedura indebolisce il tessuto della cervice, può lacerarla o anche solo semplicemente indebolirla. La cervice è un muscolo, quindi nelle successive gravidanze una certa percentuale di donne sperimenterà quello che viene definito “incompetenza cervicale". In altre parole, la loro cervice non è più abbastanza forte da contenere il feto... E così avviene il fenomeno della placenta previa, spesso seguita da un parto prematuro o da un aborto spontaneo». L'ostetrica e ginecologa Freda Bush di Flowood, Mississippi, precisa che «nel 1970, prima della legalizzazione dell'aborto in America, il tasso di parti prematuri era del 6,6%. Nel 2006 questa cifra è salita al 12,6%, cioè praticamente il doppio. In Mississippi, gli afroamericani rappresentano il 39% della popolazione, ma nella nostra comunità avvengono addirittura il 78% degli aborti». Bisognerebbe indagare maggiormente sui danni che si producono alla cervice e su come ridurre l'incidenza delle nascite premature, ma anche per questo argomento c'è una «chiara riluttanza» a trattarlo in maniera scientifica. Il neonatologo Martin McCaffrey, direttore dei Perinatal quality collaboratives del North Carolina, osserva: «Nel 1985, quando negli Stati Uniti si decise di imporre sui pacchetti di sigarette gli avvisi sugli effetti del fumo per le donne in gravidanza, avevano a disposizione molti meno dati di quanti non ne abbiamo adesso in merito all'aborto, come causa delle gravidanze pretermine».
Jose Mourinho (Getty Images)