2019-11-02
Il governo rifà il patto con la Libia e prova a tenerlo sotto segreto
Scatta il rinnovo automatico dell'intesa siglata da Marco Minniti, assai criticata per le presunte violazioni dei diritti umani. Giuseppe Conte non ne ha parlato al Copasir e il Viminale sorvola. Matteo Orfini (Pd): «Per noi è una sconfitta». Circola il solito alone di mistero e di forte imbarazzo da parte della maggioranza giallorossa sul rinnovo del memorandum con il governo libico di Al Sarraj. L'accordo firmato del 2017 dal governo Gentiloni verrà oggi rinnovato in automatico, secondo una delle clausole inserite, tra le poche che si conoscono, dal momento che il testo non è mai stato reso pubblico e, secondo chi l'ha visto, contiene una serie infinita di omissis. Del resto i contenuti, dallo stanziamento di milioni di euro per la guardia costiera libica fino ai centri di detenzione come il pattugliamento delle coste, sono tabù che a distanza di tre anni non sono mai stati chiariti fino in fondo. E si tratta di rapporti bilaterali che ormai possono rientrare sotto la voce «segreto di Stato». Persino nell'ultima audizione al Copasir, incentrata soprattutto sullo spygate contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il premier Giuseppe Conte non ha dedicato neppure un minuto al caso Libia, rinviando forse a nuovi incontri la questione. Avrebbe potuto farlo, anche perché l'audizione - come da lui stesso spiegato - era «per la relazione semestrale come prevede l'articolo 33 della legge del 3 agosto 2007». Di certo c'è che non è chiaro se il memorandum preveda anche una clausola rescissoria nel caso in cui una delle due parti non tenga fede agli accordi. Sta di fatto che a due mesi di distanza dall'insediamento del Conte bis, a fronte delle molteplici dichiarazioni del centrosinistra e dei grillini sull'esigenza di modificare gli accordi, la situazione è rimasta inalterata. E tutto questo avviene mentre il generale Khalifa Haftar ha ricominciato pochi giorni fa i suoi attacchi contro il governo di accordo nazionale (Gna) di Al Sarraj. Negli ultimi due giorni si sono registrati diversi raid aerei contro nell'area di Tripoli. I caccia di Haftar avrebbero colpito il ministero dell'Interno e l'accademia aeronautica a Misurata, dove sono di stanza i militari italiani. La situazione è da tempo critica per il nostro contingente, tanto che già in agosto fece notizia la scelta di invertire la rotta di un aereo da trasporto C-130J dell'Aeronautica italiana diretto proprio a Misurata. Anche pochi giorni fa il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva difeso il memorandum spiegando che interromperlo sarebbe stato «un danno politico» in questa fase e aggiungendo che «può essere modificato e migliorato». Lo ha spiegato replicando a un'interrogazione parlamentare di Laura Boldrini: «Il governo intende lavorare per modificare in meglio i contenuti del memorandum d'intesa con la Libia, con particolare attenzione ai centri e alle condizioni dei migranti. Ma un'eventuale rinuncia del memorandum rappresenterebbe un vulnus politico in una fase già delicata. Lavoriamo per migliorarlo». Sono parole in linea con quelle del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che il 31 ottobre aveva ribadito che «l'Italia chiederà delle modifiche». Un accordo «che ha posto le basi per una cooperazione, per contrastare l'immigrazione clandestina e il traffico di vite umane e di gestire meglio i flussi migratori non può essere gettato a mare. Sicuramente ci sono ampi spazi per migliorarlo, anche alla luce di quel che è successo in questi anni, per rimediare su qualche aspetto non soddisfacente». Il ministro degli Interni Luciana Lamorgese, che mercoledì parlerà in Parlamento, ha ribadito che il memorandum sarà modificato. Sì, ma come? Ieri lo stesso democratico Matteo Orfini ha sintetizzato così in un tweet l'imbarazzo della maggioranza: «Domani gli accordi Italia-Libia saranno rinnovati così come sono. Siamo riusciti a farne parlare, il governo ha promesso che li cambierà. Ma intanto li ha rinnovati. Sarò sincero: per me è una sconfitta. E per l'Italia è una vergogna». Se Conte non ha parlato al Copasir della situazione in Libia, altri misteri avvolgono l'incontro del 25 ottobre scorso tra il ministro Lamorgese e le Ong. Il Viminale ha spiegato che si è trattato di «un primo passo per l'avvio di una interlocuzione diretta tra le parti». Presenti i rappresentanti di Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Open Arms, Pilotes Volontaires, Sea Eye, Sea Watch e Sos Mediterranée. La notizia dell'incontro è stata data il 18 ottobre dalla Deutsche Presse-Agentur, mentre in Italia si è scoperta solo a giochi fatti, anche perché le stesse organizzazioni non governative hanno voluto evitare di commentare il vertice, i cui contorni sono ancora poco chiari. Di sicuro si è parlato anche del memorandum, in particolare dei contenuti degli ultimi articoli di Avvenire sulla con Abd al-Rahman Milad, detto Bija, poliedrico personaggio, trafficante di uomini ma anche capo delle tribù che difendono i giacimenti petroliferi, su un territorio dove Eni è presente dal 1959. Il giornalista che li ha scritti, Nello Scavo, è ora sotto tutela, dopo le minacce dello stesso Bija. Sta di fatto che in questa fase - più che mai complessa e delicata - Il Fatto Quotidiano ha dato notizia dell'incontro del 17 ottobre al Viminale tra l'ex numero uno dell'Aise (servizio segreto estero) Alberto Manenti, il ministro Lamorgese e l'ambasciatore libico a Roma. Avendo il generale - nato in Libia nel 1952 - affiancato nel 2017 l'ex ministro Marco Minniti nella stesura del memorandum, viene ritenuto il giusto interlocutore per rimettere mano al testo.
Rod Dreher (Getty Images)