
Un emendamento leghista consentirebbe di trasformare un credito fiscale in capitale in caso di matrimonio con una piccola banca. Potrebbe essere pure l'esca per far tornare Blackrock. Stefano Buffagni iperattivo sul dossier.Carige resta un terreno di scontro politico e non solo una banca da salvare. Ieri, il vice premier leghista, Matteo Salvini, ha rilasciato una intervista al giornale locale di Genova. Su Carige «certamente come Lega siamo pronti ad un intervento pubblico, qualora in tempi brevi non si dovessero affacciare nuovi, veri, affidabili capitali privati. Di certo non lasceremo soli i tanti imprenditori e le famiglie che hanno bisogno di una banca forte, territorialmente radicata, a garanzia di un futuro di sviluppo», ha chiosato Salvini. Comprendendo come sia necessario intervenire a sostegno di Giancarlo Giorgetti che nelle ultime re si è ritrovato un po' da solo a fronteggiare attacchi giornalistici da parte della Reuters che ha diffuso voci di liquidazione. Ma soprattutto l'intervento di Salvini nasconde anche un messaggio ai 5 stelle. Un modo per non lasciare all'altro partito di maggioranza il boccino della partita genovese. Stefano Buffagni, tuttofare delle nomine grilline, è stato visto nel capoluogo ligure a stringere la mano di alcuni azionisti. Non sappiamo se per raccogliere informazioni o fornire piani strategici o way out. Di certo, il primo passo per intraprendere la strada di un piano C l'ha già intrapreso la Lega. All'interno del decreto Crescita ci sarebbe un emendamento che permetterebbe a Carige di usufruire di un bonus fiscale fino a 700 milioni di euro. Un capitale che sarebbe accessibile solo nel caso in cui venisse fusa con una banca piccola. «È su questa operazione, che si starebbero concentrando i lavori per la salvezza dell'istituto ligure», secondo quanto ha riportato ieri il Corriere della Sera. «Questo scenario potrebbe raccogliere il consenso anche del primo socio della banca, la famiglia Malacalza, che vuole continuare ad avere un ruolo nell'istituto», si capisce dalla lettura del quotidiano di via Solferino. L'emendamento a firma Alberto Gusmaroli prevede che le attività per imposte anticipate cioè quelle determinati da perdite passate, possano essere utilizzate tutte subito, anziché spalmate in dieci anni, in caso di un'aggregazione che dia vita a una banca con non oltre 30 miliardi di attività. Praticamente il marito di Carige dovrebbe essere un nano. Il che renderebbe la secdonda gamba troppo piccola. Ciò però non esclude del tutto il piano C. Come tutti sanno gli emendamenti possono essere modificati e aggiungere uno zero dopo 30 miliardi di attività è veramente facile. Ciò invece aprirebbe la starda a una ricapitalizzazione più semplice. Senza nemmeno dover pensare a un intervento pubblico. Probabilmente anche per questo motivo ieri è intervenuto pure il presidente del Fondo interbancario di tutela depositi, Salvatore Maccarone: «Dopo il ritiro di Blackrock, per Carige si prosegue verso una soluzione di accordo con soggetti privati perché ci sono altri commensali al tavolo. Sono ottimista», ha aggiunto, «in queste 4-5 settimane qualcosa accadrà». Anche se «questa soluzione finale non so con chi la vedo». Interpellato sull'apertura di Malacalza, primo azionista di Carige, a una soluzione industriale, Maccarone ha commentato: «Loro dicono industriale nel senso di una prosecuzione dell'attività della banca, a fronte di una nazionalizzazione. Credo sia questo il dilemma». Inoltre «ci sono i fondi. Vedremo. Noi in questo momento siamo in attesa», perché «il nostro compito lo abbiamo fatto a novembre sottoscrivendo quel prestito obbligazionario, che è lì a disposizione di una operazione che sarà fatta con qualcuno, che avrebbe dovuto essere Blackrock», ha concluso Maccarone. «Ma poi le strade si sono separate per ragioni ancora non note». E soprattutto non dichiarate. Il che non esclude che nelle prossime settimane Blackrock ritorni a Genova. Magari aspettava proprio un decreto che consentisse di consolidare il capitale senza dover iniettare troppo cash e poi varare un nuovo aumento misto, in parte cash e in parte obbligazione. Ci smenerebbero un po' i piccoli azionisti, ma sono già abituati.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il governatore forzista della Calabria, in corsa per la rielezione: «I sondaggi mi sottostimano. Tridico sul reddito di dignità si è accorto di aver sbagliato i conti».
Marco Minniti (Ansa)
L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Il panel dell’evento de La Verità, moderato dal vicedirettore Giuliano Zulin, ha affrontato il tema cruciale della finanza sostenibile con Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi.
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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