True
2020-09-20
Il gip: «L’assassino di don Roberto è lucido, aggressivo e provocatorio»
Ansa
Tre caratteristiche precise vengono sottolineate dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como, Laura De Gregorio, che ha confermato l'arresto di Ridha Mahmoudi, il tunisino di 53 anni accusato di aver ucciso, martedì mattina, quello che chiamava «il prete di San Rocco», don Roberto Malgesini: una «forte capacità criminale», una «indole aggressiva, che denota una violenza non comune», e uno status «evasivo, contraddittorio e provocatorio». Il tunisino, durante l'interrogatorio di garanzia, dopo aver sostenuto che con il gip non avrebbe parlato, perché era una «donna», ha cercato di ritrattare, solo due giorni dopo, il verbale con la confessione resa in questura (che non voleva firmare), negando in seconda battuta di aver ucciso don Roberto. Ma è risultato, secondo il gip, «non credibile». In questura, invece, aveva fornito dettagli e motivazioni.
Don Roberto, nella versione originale, sarebbe stato colpevole di un complotto organizzato per rimandarlo in Tunisia: ragion per cui avrebbe dovuto pagare con la vita. Il tunisino avrebbe usato queste parole: doveva «essere ucciso come un cane». Il tunisino, però, ha una ferita a una mano, che per gli investigatori si sarebbe procurato durante l'accoltellamento del sacerdote. Lui, stando a quanto riporta il quotidiano il Giorno, però, avrebbe sostenuto di essersela causata «da solo». Nell'esposizione, comunque, riporta ancora il Giorno, sarebbe stato «lucido, preciso e dettagliato». Nella seconda versione, insomma, ad armargli la mano sarebbero state le istituzioni e il prefetto, colpevole di averlo espulso dall'Italia (il provvedimento era al momento sospeso perché il tunisino l'aveva impugnato). Mahmoudi, stando a quanto hanno ricostruito gli investigatori, era ossessionato dall'espulsione. E vedeva nemici ovunque: tra le forze di polizia, i giudici e finanche il medico che lo aveva visitato. Il giorno dell'udienza per discutere della sua espulsione riteneva di essere certo che le forze dell'ordine lo avrebbero portato in aeroporto. E allora ha atteso don Roberto alle 7, orario in cui tutti i giorni il sacerdote portava in auto la colazione da distribuire ai senzatetto, si è avvicinato e ha chiesto al prete di aiutarlo. E quando il religioso, dopo avergli detto che sarebbe stato a sua disposizione dopo il giro delle colazioni, si è girato di spalle, lo ha accoltellato.
Il gip valuta anche la condizione psichica dell'indagato: «Non pare allo stato discutibile l'imputabilità dell'indagato, considerato che le ragioni addotte, pur lasciando ipotizzare connotazioni persecutorie del pensiero», non farebbero emergere «un dubbio in ordine alla capacità di intendere e volere». Il giudice ricava queste valutazioni dalla modalità con la quale il tunisino ha commesso il delitto: «La scelta del momento in cui commettere il delitto non è stata accidentale». L'indagato, infatti, avrebbe cercato le «condizioni più propizie»: di primo mattino, con poca gente in giro. In più, l'accusato, avrebbe «atteso il giorno del suo processo», presentandosi con un coltello. Il gip, quindi, ritiene che il tunisino sia stato freddo e «determinato». E dal carcere del Bassone di Como, dove è stato interrogato, è stato poi trasferito, per ragioni di sicurezza, al penitenziario di Opera a Milano. Si ritiene che, siccome don Roberto era molto apprezzato dai detenuti che sosteneva spiritualmente e materialmente in carcere, qualcuno potesse aver in mente di fargliela pagare, nonostante fosse in isolamento. Il legale del tunisino, Davide Giudici, aveva fatto sapere che stava valutando la richiesta di una perizia psichiatrica: «Faremo una valutazione sulla base della convalida e se necessario presenterò istanze ai giudici». Dopo le valutazioni del gip, però, potrebbe aver cambiato idea. Il difensore era stato assegnato d'ufficio, dopo il rifiuto dell'indagato a nominare un avvocato di fiducia. In precedenza Mahmoudi è stato assistito da altri due legali, i fratelli Carlo e Vittorio Rusconi, che avrebbero revocato il mandato dopo le dichiarazioni rese martedì da Mahmoudi, che ha indicato loro come primo obiettivo, sostenendo di averli cercati fuori dal palazzo di giustizia. Anche loro, secondo l'indagato, avrebbero fatto parte del complottone per rimandarlo a casa. Nel frattempo, l'elemosiniere di papa Francesco, il cardinale Konrad Krajewski, meglio conosciuto come don Bolletta, al termine della commemorazione del sacerdote di strada nella cattedrale di Como (che si è tenuta ieri), ha fatto sapere di aver portato un rosario per Mahmoudi, «l'uomo sfortunato che ucciso don Roberto e che sta in carcere». E ha concluso, chiedendo alle autorità di portarglielo.
Comunità focolaio: scatta zona rossa
Per la prima volta dalla fine del lockdown, da ieri in Sicilia ci sono quattro zone rosse. Si tratta delle strutture della «Missione Speranza e Carità» del francescano laico Biagio Conte, a Palermo, dove complessivamente sono ospitati più di un migliaio tra senzatetto, persone con handicap mentali, extracomunitari, donne single o madri in difficoltà.
Terreno fertile per la propagazione del Covid, e infatti, com'era prevedibile, il primo focolaio è scoppiato nella comunità più numerosa, quella in via Decollati, dove sono accolte circa 600 persone, la maggior parte extracomunitari, in sette dormitori. Nulla di nuovo: persone ammassate in luoghi dove è impossibile seguire le norme di distanziamento. E i risultati si son visti.
Ieri erano già 37 i casi accertati di positività (su circa 50 tamponi), mentre quattro persone erano già state trovate positive e ricoverate nei giorni scorsi.
Dalla notte di venerdì il cancello della struttura era presidiato dalle forze dell'ordine. A richiamare l'attenzione sull'atmosfera potenzialmente esplosiva è stato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, nella lettera inviata al premier Giuseppe Conte, al governatore Musumeci, all'assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, al prefetto, Giuseppe Forlani, e al direttore generale dell'Azienda sanitaria provinciale di Palermo, Daniela Faraoni: «La situazione emersa è, in particolare nella struttura più grande, che ospita circa 600 cittadini stranieri, particolarmente seria, con un tasso di positività oltre il 60% dei tamponi effettuati, aggravata dalla condizione di difficile se non impossibile rispetto del distanziamento e ancor meno isolamento dei positivi asintomatici».
Come spiega ancora il primo cittadino, «la particolare condizione di fragilità e promiscuità della situazione, aggravata dal rifiuto di lasciare la struttura per recarsi presso l'albergo Covid-19 da parte di numerosi positivi, rischia di determinare una situazione di grave rischio sanitario e sociale per l'intera comunità locale». Fino a ieri, infatti, solo tre migranti ospiti della comunità avevano accettato di lasciare la struttura per porsi in isolamento nell'albergo.
Gli altri avevano rifiutato. Dopo il vertice in prefettura, dove è stato esaminato l'andamento del contagio e «la pericolosa promiscuità» all'interno delle strutture, il presidente Musumeci ha disposto le zone rosse: nei centri, adesso, potranno entrare e uscire solo gli operatori sanitari e socio-sanitari e il personale impegnato nella assistenza alle attività inerenti l'emergenza. All'esterno presenzieranno le forze dell'ordine per impedire eventuali fughe e via vai. Già ieri mattina e la notte precedente ci sono state le prime tensioni. Alcuni senzatetto volevano infatti uscire.
Intanto, due missionari contagiati sono stati ricoverati all'ospedale Cervello con un principio di polmonite.
Continua a leggereRiduci
Ridha Mahmoudi studiò il delitto nei dettagli. Riteneva il prete complice di un complotto per rimandarlo in Tunisia: «Doveva morire come un cane». E Konrad Krajewski, noto come don Bolletta, gli regala un rosario: «Uomo sfortunato che sta in carcere».Allarme in quattro strutture di Palermo. Gli extracomunitari contagiati si rifiutano di andare in isolamento in hotel e Nello Musumeci blinda i centri. Proteste da chi vuol uscire.Lo speciale contiene due articoli.Tre caratteristiche precise vengono sottolineate dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como, Laura De Gregorio, che ha confermato l'arresto di Ridha Mahmoudi, il tunisino di 53 anni accusato di aver ucciso, martedì mattina, quello che chiamava «il prete di San Rocco», don Roberto Malgesini: una «forte capacità criminale», una «indole aggressiva, che denota una violenza non comune», e uno status «evasivo, contraddittorio e provocatorio». Il tunisino, durante l'interrogatorio di garanzia, dopo aver sostenuto che con il gip non avrebbe parlato, perché era una «donna», ha cercato di ritrattare, solo due giorni dopo, il verbale con la confessione resa in questura (che non voleva firmare), negando in seconda battuta di aver ucciso don Roberto. Ma è risultato, secondo il gip, «non credibile». In questura, invece, aveva fornito dettagli e motivazioni. Don Roberto, nella versione originale, sarebbe stato colpevole di un complotto organizzato per rimandarlo in Tunisia: ragion per cui avrebbe dovuto pagare con la vita. Il tunisino avrebbe usato queste parole: doveva «essere ucciso come un cane». Il tunisino, però, ha una ferita a una mano, che per gli investigatori si sarebbe procurato durante l'accoltellamento del sacerdote. Lui, stando a quanto riporta il quotidiano il Giorno, però, avrebbe sostenuto di essersela causata «da solo». Nell'esposizione, comunque, riporta ancora il Giorno, sarebbe stato «lucido, preciso e dettagliato». Nella seconda versione, insomma, ad armargli la mano sarebbero state le istituzioni e il prefetto, colpevole di averlo espulso dall'Italia (il provvedimento era al momento sospeso perché il tunisino l'aveva impugnato). Mahmoudi, stando a quanto hanno ricostruito gli investigatori, era ossessionato dall'espulsione. E vedeva nemici ovunque: tra le forze di polizia, i giudici e finanche il medico che lo aveva visitato. Il giorno dell'udienza per discutere della sua espulsione riteneva di essere certo che le forze dell'ordine lo avrebbero portato in aeroporto. E allora ha atteso don Roberto alle 7, orario in cui tutti i giorni il sacerdote portava in auto la colazione da distribuire ai senzatetto, si è avvicinato e ha chiesto al prete di aiutarlo. E quando il religioso, dopo avergli detto che sarebbe stato a sua disposizione dopo il giro delle colazioni, si è girato di spalle, lo ha accoltellato. Il gip valuta anche la condizione psichica dell'indagato: «Non pare allo stato discutibile l'imputabilità dell'indagato, considerato che le ragioni addotte, pur lasciando ipotizzare connotazioni persecutorie del pensiero», non farebbero emergere «un dubbio in ordine alla capacità di intendere e volere». Il giudice ricava queste valutazioni dalla modalità con la quale il tunisino ha commesso il delitto: «La scelta del momento in cui commettere il delitto non è stata accidentale». L'indagato, infatti, avrebbe cercato le «condizioni più propizie»: di primo mattino, con poca gente in giro. In più, l'accusato, avrebbe «atteso il giorno del suo processo», presentandosi con un coltello. Il gip, quindi, ritiene che il tunisino sia stato freddo e «determinato». E dal carcere del Bassone di Como, dove è stato interrogato, è stato poi trasferito, per ragioni di sicurezza, al penitenziario di Opera a Milano. Si ritiene che, siccome don Roberto era molto apprezzato dai detenuti che sosteneva spiritualmente e materialmente in carcere, qualcuno potesse aver in mente di fargliela pagare, nonostante fosse in isolamento. Il legale del tunisino, Davide Giudici, aveva fatto sapere che stava valutando la richiesta di una perizia psichiatrica: «Faremo una valutazione sulla base della convalida e se necessario presenterò istanze ai giudici». Dopo le valutazioni del gip, però, potrebbe aver cambiato idea. Il difensore era stato assegnato d'ufficio, dopo il rifiuto dell'indagato a nominare un avvocato di fiducia. In precedenza Mahmoudi è stato assistito da altri due legali, i fratelli Carlo e Vittorio Rusconi, che avrebbero revocato il mandato dopo le dichiarazioni rese martedì da Mahmoudi, che ha indicato loro come primo obiettivo, sostenendo di averli cercati fuori dal palazzo di giustizia. Anche loro, secondo l'indagato, avrebbero fatto parte del complottone per rimandarlo a casa. Nel frattempo, l'elemosiniere di papa Francesco, il cardinale Konrad Krajewski, meglio conosciuto come don Bolletta, al termine della commemorazione del sacerdote di strada nella cattedrale di Como (che si è tenuta ieri), ha fatto sapere di aver portato un rosario per Mahmoudi, «l'uomo sfortunato che ucciso don Roberto e che sta in carcere». E ha concluso, chiedendo alle autorità di portarglielo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-gip-lassassino-di-don-roberto-e-lucido-aggressivo-e-provocatorio-2647720329.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="comunita-focolaio-scatta-zona-rossa" data-post-id="2647720329" data-published-at="1600560427" data-use-pagination="False"> Comunità focolaio: scatta zona rossa Per la prima volta dalla fine del lockdown, da ieri in Sicilia ci sono quattro zone rosse. Si tratta delle strutture della «Missione Speranza e Carità» del francescano laico Biagio Conte, a Palermo, dove complessivamente sono ospitati più di un migliaio tra senzatetto, persone con handicap mentali, extracomunitari, donne single o madri in difficoltà. Terreno fertile per la propagazione del Covid, e infatti, com'era prevedibile, il primo focolaio è scoppiato nella comunità più numerosa, quella in via Decollati, dove sono accolte circa 600 persone, la maggior parte extracomunitari, in sette dormitori. Nulla di nuovo: persone ammassate in luoghi dove è impossibile seguire le norme di distanziamento. E i risultati si son visti. Ieri erano già 37 i casi accertati di positività (su circa 50 tamponi), mentre quattro persone erano già state trovate positive e ricoverate nei giorni scorsi. Dalla notte di venerdì il cancello della struttura era presidiato dalle forze dell'ordine. A richiamare l'attenzione sull'atmosfera potenzialmente esplosiva è stato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, nella lettera inviata al premier Giuseppe Conte, al governatore Musumeci, all'assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, al prefetto, Giuseppe Forlani, e al direttore generale dell'Azienda sanitaria provinciale di Palermo, Daniela Faraoni: «La situazione emersa è, in particolare nella struttura più grande, che ospita circa 600 cittadini stranieri, particolarmente seria, con un tasso di positività oltre il 60% dei tamponi effettuati, aggravata dalla condizione di difficile se non impossibile rispetto del distanziamento e ancor meno isolamento dei positivi asintomatici». Come spiega ancora il primo cittadino, «la particolare condizione di fragilità e promiscuità della situazione, aggravata dal rifiuto di lasciare la struttura per recarsi presso l'albergo Covid-19 da parte di numerosi positivi, rischia di determinare una situazione di grave rischio sanitario e sociale per l'intera comunità locale». Fino a ieri, infatti, solo tre migranti ospiti della comunità avevano accettato di lasciare la struttura per porsi in isolamento nell'albergo. Gli altri avevano rifiutato. Dopo il vertice in prefettura, dove è stato esaminato l'andamento del contagio e «la pericolosa promiscuità» all'interno delle strutture, il presidente Musumeci ha disposto le zone rosse: nei centri, adesso, potranno entrare e uscire solo gli operatori sanitari e socio-sanitari e il personale impegnato nella assistenza alle attività inerenti l'emergenza. All'esterno presenzieranno le forze dell'ordine per impedire eventuali fughe e via vai. Già ieri mattina e la notte precedente ci sono state le prime tensioni. Alcuni senzatetto volevano infatti uscire. Intanto, due missionari contagiati sono stati ricoverati all'ospedale Cervello con un principio di polmonite.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci