2023-06-02
Il giallo del testimone sulla mega polizza del ponte Morandi
La società che assicurò la struttura ha chiuso una transazione con Aspi, ma in aula il manager non ne ha fatto cenno ai giudici.Nell’aula di tribunale del processo Morandi, ennesimo colpo di scena. Stavolta sull’assicurazione che garantiva Autostrade per l’Italia (Aspi) da un eventuale crollo del ponte di Genova. È un giallo che potrebbe valere 150 milioni di euro, e parte dalla testimonianza di Luca Kovatsch, fino a quattro anni fa responsabile nel nostro Paese del gruppo Swiss Re: la compagnia di Zurigo con cui Aspi, ai tempi controllata dalla famiglia Benetton, assicurava la sua lunga rete autostradale. Interrogato il 31 maggio, nell’ultima udienza del processo che a Genova cerca d’individuare i responsabili dei 43 morti causati dal disastro del 14 agosto 2018, Kovatsch ha dichiarato che «la richiesta di risarcimento per il crollo del ponte è stata respinta perché i problemi del viadotto non ci erano stati evidenziati, come invece la buona diligenza dell’assicurato avrebbe richiesto». E ha aggiunto: «Se li avessimo conosciuti, sicuramente avremmo disdetto la polizza».Secondo Kovatsch, Swiss Re avrebbe liquidato Aspi con meno di 40 milioni di euro per i danni verso terzi, quindi soprattutto i familiari delle 43 vittime. La compagnia però continuerebbe a rifiutarsi di risarcire i 300 milioni chiesti da Aspi per il danno relativo al cedimento del viadotto, e questo malgrado quattro anni di duro contenzioso legale. «Dopo il crollo», ha spiegato Kovatsch, «avevamo subito dubitato dell’effettiva vigenza della polizza. Il nostro principale rilievo era che il rischio (collegato al ponte, ndr) non ci era stato descritto correttamente da Aspi. Il cliente, insomma, non ci aveva dato tutte le informazioni sulle reali condizioni del Morandi».Il problema non è da poco, perché tra il maggio 2021 e l’aprile 2022 Aspi è stata riacquistata dallo Stato attraverso la Cassa depositi e prestiti (Cdp): quindi il mancato risarcimento, giustificato da Swiss Re con le opacità attribuite alla gestione dei Benetton, finirebbe in realtà per danneggiare le casse pubbliche. Ma alla Verità risulta invece che due settimane fa Swiss Re e Aspi abbiano finalmente trovato un accordo: una transazione attorno alla metà del risarcimento a suo tempo richiesto per il ponte Morandi, quindi sui 150 milioni. Interpellata, Aspi conferma solo che «il contenzioso è stato definito mediante una transazione che segna la fine della questione». Alla Verità risulta anche che negli accordi altri siglati nel 2021-22 tra i Benetton e Cdp fosse prevista una clausola di «special indemnity»: per le questioni rimaste aperte al momento della cessione, o allora non prevedibili, i Benetton s’impegnavano a risarcire Cdp fino a un tetto di 459 milioni. Questa «special indemnity», però, non coprirebbe il tema assicurativo.Al di là del giallo sulla deposizione e sulle sue effettive dimensioni, è evidente che il tema dell’assicurazione sul ponte Morandi rischia di trasformarsi in un nuovo elemento di criticità per alcuni dei 59 imputati del disastro: primo fra tutti Giovanni Castellucci, che con i Benetton era l’amministratore delegato di Aspi. Sulla questione, in effetti, sembrano puntare molto i pubblici ministeri di Genova, Massimo Terrile e Walter Cotugno. L’accusa sottolinea che alla fine del 2016 - quindi meno di due anni prima del crollo - Aspi aveva inserito il Morandi nell’elenco delle opere garantite da una copertura assicurativa «all risk»: quindi per tutti i danni, diretti e indiretti. E in quell’occasione il valore assicurato con Swiss Re era stato improvvisamente triplicato da 100 a 300 milioni di euro. La decisione era stata suggerita da Umberto Vallarino, dirigente di Aspi e di Atlantia (la holding dei Benetton), che interrogato in aula ha però escluso la sua scelta fosse collegata alla consapevolezza di un rischio più elevato: «Ho suggerito quel passaggio solo per l’importanza economica del ponte», ha dichiarato Vallarino, «e perché sorgeva in un contesto urbanizzato, visto che sotto c’erano molte case e passava una ferrovia. Poi avevamo considerato i danni da mancato introito, visto l’incremento del traffico, e i costi di un’eventuale demolizione e ricostruzione».Nell’udienza del 29 maggio aveva già portato elementi interessanti sul tema assicurativo un altro teste, e cioè Roberto Salvi, tra il 2006 e il 2016 alla guida dell’Ufficio rischi di Aspi. Salvi aveva raccontato che nel settembre 2013 Castellucci gli aveva affidato una rivalutazione complessiva della rischiosità delle infrastrutture gestite dalla società. L’operazione era iniziata quattro mesi dopo il disastro dell’autobus che il 28 luglio 2013 era precipitato dal viadotto di Acqualonga, vicino ad Avellino: il peggiore incidente stradale nella storia italiana, con altri 40 morti per i quali un processo di primo grado nel 2019 ha condannato il titolare dell’azienda che gestiva il mezzo, mentre Castellucci è stato assolto perché ritenuto non responsabile della mancata manutenzione del guard-rail ceduto sotto il peso del pullman (in appello, però, un mese fa la Procura generale ha chiesto per lui una condanna a 10 anni).Salvi aveva testimoniato che Castellucci gli aveva chiesto un studio su tutti i peggiori rischi della rete di Aspi. Lo scopo era inserire una nuova categoria di «rischi catastrofali» nel catalogo delle opere. Alla fine dell’operazione il ponte Morandi era stato catalogato con un suo rischio specifico: «Il ponte aveva 50 anni», ha ricordato Salvi, «e ne era stato rafforzato uno strallo, ma la struttura era aggredita dalla salinità che arrivava dal mare e sotto c’erano la ferrovia e case, quindi in caso di crollo avrebbe potuto provocare molte vittime». Un «rischio catastrofale», per l’appunto. Il problema è che, in base a quanto ha dichiarato il suo ex manager Kovatsch, la Swiss Re era ignara anche di quella nuova, specifica catalogazione decisa da Aspi: «Non sapevamo nulla nemmeno del catalogo rischi, non ci dissero niente».