2018-11-11
Il generale: «Difendere i confini non serve»
Il nuovo capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, attacca a sorpresa il «nazionalismo» e spiega che la salvaguardia delle frontiere è un relitto del passato. E allora quale è la funzione dell'esercito? È utile, dice, per «tutelare la libertà di muoversi».La funzione dei militari? «Oggi non si tratta più di difendere i confini». Indovinate chi ha pronunciato questa frase. Mimmo Lucano? Laura Boldrini? Emma Bonino? O magari qualche attivista dei centri sociali? Acqua. Il puro distillato di filosofia no border arriva dal nuovo capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, da poco subentrato a Claudio Graziano. Insomma, proprio colui che lo Stato italiano ha posto a custodia e salvaguardia di quegli stessi confini liquidati con tanta sufficienza. Intervenendo alla presentazione del volume 1948-2018 I carabinieri negli anni della Costituzione, realizzato dall'Arma e dall'Ansa, il generale ha infatti spiegato: «Bisogna ricordare a tutti che la libertà, la democrazia, il vivere civile non sono gratis. Serve il lavoro, la fatica e anche il sangue» di chi ogni giorno dedica la vita al proprio Paese. E sin qui si tratta di dichiarazioni di prassi. Poi, però, Vecciarelli si è lasciato prendere la mano: ci troviamo in un momento in cui, ha spiegato il generale, «assistiamo al ritorno sulla scena di nazionalismi e il rafforzarsi di potenze nucleari», un «mondo alla rovescia» rispetto a quanto immaginato dopo la seconda guerra mondiale con la nascita dell'Onu. Già qui si avverte una certa tendenza al dérapage: non che un militare si debba mettere a fare proclami politici sulla grandezza della nazione, ma deve essere proprio uno con le stellette a denunciare i nazionalismi come se fossero un morbo medievale tornato sciaguratamente sulla scena, con i toni che userebbe un esponente di +Europa? Quanto alle «potenze nucleari», lo sono anche fior di nostri alleati come Usa e Francia, quindi forse i toni allarmistici appaiono anche in questo caso sopra le righe. Come del resto, e qui il cerchio si chiude, lo è la frase successiva, da cui eravamo partiti, e che per intero recita così: «Dobbiamo collaborare con tutti gli altri Paesi affinché le situazioni d'instabilità siano ridotte il più possibile. Noi non siamo schierati da una parte e dell'altra ma da quella di chi vuole sicurezza e stabilità. Non si tratta più di difendere i confini, come poteva essere una volta, oggi si tratta di difendere i flussi dei nostri cittadini, il potersi muovere in libertà, poter avviare attività industriali in molte parti del mondo». D'accordo, cerchiamo di non pensare subito male: forse Vecciarelli voleva semplicemente dire che oggi non dobbiamo certo difenderci da una Strafexpedition degli austriaci, come cento anni fa. Le minacce sono cambiate, le guerre pure: sono liquide, asimmettriche, disseminate. Epperò, i confini, fino a prova contraria, esistono ancora. E vanno difesi. Perché sì, magari non ci invade più l'Austria-Ungheria, però ogni tanto lo fa la Francia per scaricare oltre confine i suoi clandestini indesiderati. E lo fanno, sulle frontiera marittima, i barconi pieni di immigrati, la cui gestione deve certamente tener conto delle esigenze umanitarie, ma su cui non bisogna abbassare la guardia anche in termini di sicurezza. Anche perché, come ben sappiamo, i terroristi contano esattamente sulla eventuale porosità dei confini per infiltrarsi: è già successo, può succedere ancora. Del resto, sia pur su scala continentale, la stessa Ue richiama l'attenzione sulla necessità di difendere i confini dell'Unione. E invece proprio in Italia, ovvero nel confine meridionale dell'Europa, proprio nelle altissime sfere della Difesa, si dice che i confini non vanno difesi. E cos'è che va difeso, allora? Per Vecciarelli, il bene supremo da tutelare è la mobilità di cittadini e imprese. Cioè, in altre parole, la globalizzazione. Una vera resa senza condizioni al politicamente corretto. Ma forse era proprio l'aria che si respirava alla presentazione del libro sui carabinieri che favoriva pensieri in libertà. Allo stesso evento, infatti, abbiamo anche assistito a una uscita del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che si è sentita in dovere di affermare: «Prima o poi avremo una donna generale e questa è una certezza. Nel futuro le donne saranno sempre più pienamente integrate nelle forze armate. Le donne hanno una maggiore sensibilità utilissima nelle missioni di pace e riescono ad essere soprattutto un elemento di risoluzione dei conflitti. La donna, di per sé, risolve conflitti. Abbiamo bravissime soldatesse». Che nell'esercito ci siano bravissime soldatesse non ne dubitiamo. E, se hanno tutte le carte in regola, che accedano pure alle più alte gerarchie militari. Secondo criteri di merito e secondo le necessità della difesa, però, non certo perché più «sensibili» o portate alla «risoluzione dei conflitti». Considerazioni, queste, che vorrebbero forse essere una tassa da pagare al pensiero unico neofemminista, ma che invece risultano paradossalmente maschiliste, nella misura in cui non si sa trovare un posto alle donne che non sia quello di «naturali» portatrici di pace per vocazione di genere. Tornano in mente le polemiche sollevate giorni fa dall'ex generale Marco Bertolini sul manifesto diffuso dal ministero della Difesa in occasione delle celebrazioni del 4 novembre, quando l'ex militare aveva parlato di «immagini da “Festa della mamma" di infimo ordine». Il sospetto che la suggestione fosse voluta potrebbe diventare ora un'allarmante certezza.
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