2022-07-18
Il gelso, un albero polivalente con more gustose e ottimo legno
I bachi da seta si cibano delle foglie di questa coltura che era molto popolare in Italia all’inizio del Novecento. Oggi abbiamo abbandonato sia la produzione della pianta che del tessuto lasciando tutto in mano alla Cina.Abbiamo detto, la settimana scorsa, che ci sono due tipi di more, di rovo e di gelso. Di solito, chiamiamo more il frutto dell’arbusto (spinoso se selvatico) del rovo. Poi, c’è il frutto dell’albero del gelso cioè la mora di gelso che a volte è chiamata semplicemente gelso. Può capitare anche di sentir chiamare mora la mora di gelso oppure di vedere specificata la mora canonica chiamandola mora di rovo. Il frutto del gelso è un’infruttescenza sarebbe a dire un insieme di acheni, ognuno è un frutto che nasce da un fiore distinto. Il frutto del rovo è, invece, un frutto multiplo formato da piccole drupe, ognuna delle quali deriva da uno dei tanti pistilli di un solo fiore, una polidrupa. La mora di rovo appartiene al genere Rubus (famiglia Rosaceae e genere al quale appartiene anche il lampone E una simpatica differenza tra mora e lampone è che quando si raccolgono le more il ricettacolo resta attaccato al frutto, nel caso del lampone rimane sul ramo), mentre la mora di gelso appartiene al genere Morus, che appartiene alle Moraceae. Della mora di rovo abbiamo parlato una settimana fa, volgiamoci allora alla volta della mora di gelso, una coltura che travalica il settore agricolo per essere rilevante anche in altri ambiti merceologici non soltanto alimentari, capace di capitalizzare tutto, una sorta - consentiteci la battuta - di Briatore o Trump del regno delle Plantae. Il gelso, infatti, non ci dona soltanto more di gelso. Il suo legno, seccato, è ottimo per ardere a lungo e senza offuscare troppo le canne fumarie come fanno altri legni. Legno molto bello anche per essere lavorato in falegnameria e intarsiato, coi rami piccoli dei gelsi, tanto sottili quanto resistenti, si realizzano cesti e altri vari manufatti di vimini. A questo scopo, il gelso viene sottoposto alla capitozzatura, una potatura che rimuove la chioma dal 50 al 100% e lascia il tronco senza cima perché da questo, reattivamente, la pianta attivi le gemme latenti per creare nuovi germogli, che poi diventano i rametti dei cesti in questione. Si usa il gelso anche come albero ornamentale e, soprattutto, le sue foglie, soprattutto le foglie del gelso bianco, sono impiegate nell’alimentazione dei bachi da seta, che ne sono golosi: già dall’antichità dalla Cina la bachicoltura si era estesa in Armenia e terre del Mar Caspio, poi, dopo, tramite gli Arabi, arrivò in tutta Europa. Secondo alcune teorie, Ludovico Sforza, governatore di Milano dal 1494 al 1499, era detto «il Moro» perché amava la pianta di gelso, chiamata «moròn» in terra lombarda. Pare che il governatore, appassionato d’arte, apprezzasse anche la simbologia del gelso, che mette le foglie per ultimo così evitando le gelate invernali ma fruttifica per primo, rispetto ad altri alberi (Plinio il Vecchio lo chiamava sapientissima arborum, vedendo in questo una saggezza). Qualcuno accosta anche la condotta botanica del gelso, bell’albero dalle radici profonde nel terreno e il fogliame a forma di cuore, alla politica del Moro: come il gelso matura a distanza dall’inverno, in primavera inoltrata, così il Moro era saggio e prudente. Secondo altre ipotesi, era detto il moro senza alcun riferimento al gelso e al suo frutto, ma per la carnagione scura e gli occhi e i capelli ancor più scuri, per altri ancora «moro» era soltanto la contrazione del dittongo au di Ludovico Mauro, suo vero nome, e per altri ancora, come Benedetto Varchi nella Storia fiorentina, «il Moro» perché, come era tipico nelle corti rinascimentali, faceva dipingere teste di moro in alcune insegne. Non sappiamo su quale - o quali - tesi mettere la mano sul fuoco, ma resta che Ludovico il Moro e il gelso sono storicamente e artisticamente legati tra sé e con la Lombardia. La celeberrima produzione lombarda della seta, diffusa soprattutto nell’area comasca-monzino-brianzola, è stata celebrata anche dalla decorazione della Sala delle Asse del Castello Sforzesco, della quale il Moro incaricò Leonardo da Vinci, il quale dipinse un pergolato sorretto da 18 alberi di gelso. Nel 2019, ispirato al pergolato dipinto, è stato creato un pergolato di gelsi nel Cortile delle armi sotto alla Torre di Bona. Proprio nel periodo sforzesco in Lombardia si realizzarono importanti opere di ingegneria come canali e fortezze e anche la coltura del gelso, propedeutica alla produzione della seta, divenne molto importante conoscendo un exploit senza precedenti. Il prezioso tessuto che è la seta si ottiene filando il bozzolo di un bruco, il Bombix mori detto appunto baco da seta e poi tessendo questo morbido filato. Il Bombix mori è incredibilmente goloso di foglie di gelso, soprattutto bianco, ecco perché per la bachicoltura è fondamentale la gelsicoltura, che garantisce mangime alla prima. Se all’inizio del Novecento l’Italia produceva una cosa come 70 milioni di chili di bozzoli freschi l’anno, dal dopoguerra in poi la produzione è calata a picco. Oggi importiamo la seta dalla Cina, dalla quale provenivano sia il gelso, sia il baco da seta: prima ci siamo appropriati della produzione di entrambi, ciò che è positivo in termini di salute economica, poi le abbiamo abbandonate, ciò che non lo è. Un gran peccato. Altro che cannabis per fumarsela, dovremmo ricominciare a coltivare gelsi. Ormai, infatti, produciamo meno di 100.000 chili di bozzoli l’anno e i filari di gelsi bianchi che nutrivano il baco da seta per ottenere il bozzolo sericeo e che erano anche un sostegno per le viti (è il sistema delle «viti maritate») sono un lontano ricordo. Dai pochi gelsi rimasti estraiamo oli essenziali per la produzione cosmetica naturale e anche per - pensate - le sigarette elettroniche e poi raccogliamo le nostre more di gelso. Le specie del genere Morus sono più d’una e così i frutti: ci sono le more di gelso nere, dal Morus nigra, le more di gelso bianche, dal Morus alba, e le more di gelso rosso, Morus rubra. Ci sono poi gelsi di altre specie inserite da Linneo nel genere Morus ma che a partire dalla fine del Settecento sono state spostate nel genere affine Broussonetia, tra i quali spicca il gelso da carta cinese, il Broussonetia papyrifera, con la polpa del quale si fa la carta. In Italia è arrivato prima il gelso nero, già noto e apprezzato in epoca romana, come abbiamo detto. Il gelso bianco, che col nero costituisce la principale rappresentanza di gelso in Italia, non essendo così diffuso il gelso rosso, fu importato da Ruggero II di Sicilia dall’Asia Minore nel XII secolo per i suoi frutti, che comunque sono considerati meno saporiti dei neri (e rossi). Il gelso è un albero forte, al quale davvero ispirarsi, che si radica saldamente nel terreno ma non per questo disdegna il cielo, poiché raggiunge anche i 20 metri di altezza. Non produce fiori visibili e le sue more, sebbene per alcuni versi simili a quelle di rovo, hanno forma oblunga e sapore più delicato. Per quest’ultimo motivo, allo stesso modo c’è chi le preferisce a quelle oppure ad esse preferisce quelle di rovo. Seppure delicate al palato, comunque le more di gelso hanno un impatto importante sulla nostra salute. Come spiega I cibi della salute. Mangiare sano per stare bene, Lswr Editore, «le more di gelso sono frutti antichi con una lunga tradizione medicinale, usate da sempre anche come tonico generale per l’organismo. Per scopi curativi si usano tutte le parti della pianta, dalla radice alla punta, anche se ai giorni nostri si tende a privilegiare i frutti e le foglie, ricchi di antocianine antiossidanti e degli antitumorali resveratrolo e vitamina C. Le more di gelso proteggono anche dai danni oculari e agiscono come un sedativo». Quali sono i benefici specifici? Vediamoli. Tonico rinforzante: le more di gelso possono essere utilizzate come tonico generale per recuperare vitalità; contengono utili quantità di ferro benefiche per reni, fegato e sangue (sebbene il ferro eme dei vegetali non sia esaustivo del fabbisogno di ferro dell’organismo, al quale serve anche il ferro eme di origine animale). Il resveratrolo, presente anche nei semi d’uva, ha proprietà antitumorali. L’elevato contenuto di antiossidanti aiuta a prevenire le malattie cardiache e quelle associate a stati infiammatori cronici. Salute degli occhi: i frutti e le foglie del gelso contengono zeaxantina, utile per proteggere la vista. La proprietà idratante delle more di gelso non si esplica solo verso gli occhi secchi o stanchi, sono conosciute come rimedio tradizionale per pelle secca, eczema e gola secca. Le more di gelso proteggono anche dai danni oculari. Sedativo: le more di gelso agiscono come un sedativo. L’infuso di more di gelso fresche o un cucchiaino di conserva sciolto in acqua è un rimedio tradizionale per l’insonnia. Digestive: i gelsi rinforzano l’apparato digerente e possono alleviare gonfiori e stitichezza. Contro febbre e caldo: le more di gelso sono rinfrescanti e possono essere utili in caso di febbre e colpi di calore. Se avete la fortuna di trovare dei gelsi, approfittatene. Per sfruttarne le proprietà, queste more si possono mangiare fresche, essiccate e in anche forma di infuso. Delicate come le more di rovo, le more di gelso si essiccano anche per mantenere più a lungo le proprietà che hanno da fresche e ovviare alla loro breve conservabilità da fresche. Da secche, possono anche sostituire l’uva passa ed essere inserite in un tè per aromatizzarlo o essere infuse da sole. In Italia, l’uso più diffuso è in forma di confettura o, in Sicilia, di granita.