2018-10-04
Il falò turco resta acceso: inflazione al 25%
La crisi della lira può avere pesanti ripercussioni sull'Italia: fra Roma e Istanbul ci sono scambi per 20 miliardi e le nostre banche, prima di tutte Unicredit, sono esposte per altri 15 miliardi di euro. Le contromisure di Recep Tayyip Erdogan rischiano di fare ulteriori danni, come per esempio la conversione nella valuta turca di tutti i contratti economici stipulati in moneta estera. A risentirne potrebbero essere anche diverse imprese made in Italy: tra le aziende presenti in Turchia ci sono colossi come Fiat chrysler, Pirelli, Cementir e Leonardo. La «bomba» turca è ancora ben lontana dall'essere disinnescata e il Paese guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan rappresenta sempre più un rischio per gli investitori esteri, tra i quali l'Italia riveste un ruolo non secondario. L'inflazione di Ankara continua infatti a salire a doppia cifra (+24,5% a settembre) spingendo al ribasso la lira turca, che continua a cedere terreno nei confronti del dollaro, e facendo schizzare i rendimenti dei titoli di Stato, che ieri viaggiavano intorno al 18,5%. Il balzo dell'inflazione, inoltre, ha portato i tassi reali della Banca centrale turca praticamente poco sotto lo zero; quelli nominali erano stati alzati a settembre del 24%. I timori degli investitori riguardano principalmente il fatto che il governo turco e la Banca centrale si siano mossi in ritardo, e non stiano facendo abbastanza per frenare la corsa dei prezzi.L'argomento interessa, e molto, anche l'Italia: la Turchia è infatti da anni un mercato importante per il nostro Paese, con un interscambio totale vicino ai 20 miliardi di euro e investimenti da parte di nomi di primo piano, come Pirelli, Fca e Unicredit. Il gruppo di piazza Gae Aulenti è azionista di peso della banca turca Yapi kredi, con una quota dell'81,9% detenuta attraverso la joint venture paritaria con Koc group. Alla fine del 2017 gli istituti italiani, secondo i dati della Banca dei regolamenti, risultavano esposti nei confronti della Turchia per 16,8 miliardi di dollari - circa 15 miliardi di euro - con ulteriori 5 miliardi di dollari di potenziale esposizione determinati da contratti in derivati, estensione di garanzie e linee di credito. In totale l'esposizione delle banche estere in Turchia ammontava, sempre a fine 2017, a 264,7 miliardi di dollari, cifra che sale a oltre 330 miliardi considerando altre esposizioni potenziali come i derivati (3,6 miliardi di dollari) e l'estensione delle garanzie (56 miliardi). Solo lo scorso anno l'esposizione totale verso la Turchia è aumentata di oltre 20 miliardi di dollari, mentre quella delle banche italiane è salita di oltre 3 miliardi. E secondo il Financial Times la Bce sarebbe preoccupata per l'esposizione di alcune banche dell'area euro verso la Turchia, tra cui la spagnola Bbva, la francese Bnp Paribas e appunto Unicredit. A risentire dell'incertezza in Turchia non sono però solo le banche: l'Italia è infatti presente nel Paese a cavallo tra Europa e Asia in numerosi settori, dalle infrastrutture all'auto, e quello turco è stato definito un «mercato prioritario» per l'export italiano da Sace, la società di assicurazioni degli esportatori. A scorrere l'elenco delle aziende presenti nel Paese si incontrano nomi di peso come Fiat chrysler, che in Turchia è presente da decenni con lo stabilimento di Bursa Tofas, dove vengono realizzate decine di migliaia di veicoli. Da 50 anni è in Turchia anche Pirelli, che ha concentrato nello stabilimento di Izmit, a 100 chilometri da Istanbul, costato 170 milioni di euro di investimenti negli ultimi anni, la produzione di 2 milioni di pneumatici industriali l'anno destinati ai mercati di Europa, Medio Oriente e Africa. Cementir ha investito in Turchia dal 2001 oltre 530 milioni di dollari acquisendo Cimentas e Cimbeton. Anche Leonardo, tramite Alenia aermacchi, è presente in Turchia, in quanto contribuisce alla produzione dell'F 35 (che vede 30 ordini dal Paese con opzione per altri 70 velivoli) e partecipa a una commessa importante, 30 elicotteri da parte di Turkish aerospace al Pakistan. E pure nel comparto delle infrastrutture e della logistica i progetti italiani in Turchia sono numerosi: Salini impregilo partecipa infatti alla costruzione di due autostrade, la Kinali-Sakarya e la Tarsus-Adana-Gaziantep, ed è presente nella realizzazione di un impianto idroelettrico, della linea ad alta velocità che collega Ankara a Istanbul e di un impianto di depurazione delle acque a Istanbul. Nel 2017 l'Italia è stato il quinto partner commerciale di Ankara, con 19,8 miliardi di dollari di interscambio totale (+11,1% rispetto al 2016), di cui 11,3 miliardi di dollari in esportazioni e 8,5 miliardi di dollari in importazioni, e una quota di mercato del 5,1%.Un interscambio vivace, che però rischia di pagare care le conseguenze della crisi e di alcuni provvedimenti adottati per contrastarla. Come la misura, varata dal governo a metà settembre, che impone la conversione in lire di tutti i contratti economici stipulati in valuta estera in Turchia per sostenere la moneta locale. Un provvedimento che al momento esclude le operazioni di import export, ma che rischia comunque di influire negativamente sul business delle imprese straniere in Turchia.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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