2022-04-16
Il Drake Ferrari, un grande divoratore della vita e del cibo
Enzo Ferrari (Getty Images)
Il fondatore del Cavallino rampante celebrava le sue vittorie con i piatti tradizionali: tagliatelle, lasagne, bolliti. E lambrusco.È stato il Drake per tutti, uno dei migliori ambasciatori del made in Italy a livello internazionale, di cui si conosceva (o si pensava di conoscere) tutto o quasi tutto di una personalità estremamente complessa e versatile. Mancava un aspetto, quello della sua cilindrata gastrica, esplosiva e rombante come quella dei suoi dodici cilindri che hanno segnato un’epoca. Innumerevoli le testimonianze che lo accompagnano in una ideale Treccani del secolo breve. Si potrebbe iniziare con Piero Barilla, il signore della pasta made in Italy. «Mi sono accorto che stavo entrando in un tempio quando siamo andati nel suo ufficio. A pranzo era molto rilassato, affettuoso, ma aveva un carisma che ti faceva sentire un po’ in soggezione». Lo supporta Fiamma Breschi (una fiamma, per Ferrari, oltre i … carburatori d’ordinanza): «Era un uomo al di sopra del naturale. Aveva un rapporto divoratore con la vita e occupava tutto lo spazio delle persone che lo circondavano. Era un costruttore di automobili e un distruttore di uomini, ma se entravi nella sua orbita avresti dato tutto per non uscirne». Chiude il cerchio Gippo Salvetti: «Per lui la tavola imbandita era più del suo ufficio, una scrivania su cui disegnare le sue strategie, i suoi rapporti con il mondo… e con le donne».Una storia che parte da lontano. Nel 1929 fonda la Scuderia Ferrari, quella con il cavallino rampante, anche se con marchio Alfa Romeo, omaggio a Francesco Baracca, aviatore ed eroe della grande guerra. Conduce lui le trattative con i piloti, il «giuramento di fedeltà» con i piedi sotto la tavola. Le vittorie celebrate con Tazio Nuvolari, nelle trattorie modenesi, nel segno del «trittico goloso», ovvero tortellini, zampone e lambrusco. Esigente e selettivo lo si può vedere a tavole diverse, magari anche solo per degustare un piatto che fa la differenza con analoghi di cucine altre. Nel dopoguerra fonda il marchio che porterà il suo nome. Madrina ispiratrice Lina Lardi, che gli diede «extra moenia» l’erede Piero Lardi Ferrari «chiamale con il tuo nome, Ferrari, come ha fatto Bugatti». È un crescendo rossiniano, nei circuiti de mondo, come a tavola, con l’orizzonte a dimensione modenese o poco più. Ferrari, infatti, non ama uscire dalle mura domestiche, che poi sono quelle aziendali, è il mondo che viene a rendergli omaggio. Re della finanza come il meglio dell’aristocrazia internazionale che poi, quando gli garba, invita a tavolo comune. Passato alla storia il «pranzo reale», in una trattoria delle colline modenesi, dove fece conoscere tigelle, gnocco fritto e degni salumi, lubrificati da doveroso lambrusco, a Leopoldo del Belgio, Bertil di Svezia e al principe Bernardo d’Olanda. Per anni Ferruccio Testi, detto «il ghignaro», fotografo erede di una dinastia imprenditoriale, invita Enzo e i suoi amici al «bettolino», sorta di privè gourmand, con assi quali Tazio Nuvolari, Achille Varzi. La cuoca di casa degna dei migliori ristoranti dell’epoca. Si viaggia di tagliatelle, lasagne e bolliti. Il miglior epitaffio, alla chiusura, di Mario Morselli «il bettolino è chiuso, i suoi clienti sparsi e randagi. Ci si divertiva mettendosi alla berlina, reciproca. Resterà sempre vivo nel ricordo di quanti vi hanno trascorso molte tra le ore più belle della loro vita». Ferrari frequenta locali diversi. C’erano i pranzi di lavoro e le «cene con delitto» (copyright by Sergio Cassano), quelle fuori porta, ma non più di tanto, dove il Drake si faceva scortare dalla preda di turno, con conseguente dietro le quinte che si può ben immaginare. Una di queste la Clinica gastronomica a Rubiera, nel reggiano, gestita dal bravo Arnaldo Degoli. Sua la spugnolata, una lasagna ricca di besciamella, formaggi e spugnole, funghi raccolti sulle rive dei fiumiciattoli locali. Guido Camola, de La Piola, sulle rive del Secchia, testimone che il Drake «non faceva mai un complimento a voce, lo diceva tornando», magari fidelizzato a un piatto, come ad esempio con i tortelli dell’ingegnere, una personale rivisitazione dei tortelli della misericordia, posto che Ferrari, con il colesterolo spesso in fuorigiri, doveva mettere il limitatore a tavola. Niente uova, solo crosta di pane mista a farina, il ripieno di semplice mollica. A Natale e Pasqua la deroga delle grandi occasioni: verde del cipollotto, uno scarto recuperato per la bisogna e il tosone, una prima lavorazione del parmigiano, dalla consistenza gommosa, che, un tempo, era sorta di buffetto goloso che i caseifici regalavano ai bambini che portavano loro il latte dalle cascine. Alfonso Cantoni, titolare dell’omonimo locale, era la seconda casa per Ferrari che, quando vi arrivava, a pranzo come a cena, si sedeva al tavolo, ancora caldo, lasciato dal titolare e i suoi lavoranti che passavano in sala fuochi. Piatti di tradizione, dalle tagliatelle al prosciutto come il vitello tonnato fatto in casa. In chiusura il gelato alla crema, innaffiato con il whisky Johnnie Walker importato, con etichetta dedicata, da Enrico Wax, commerciante di pellame. Ferrari dà luogo alla sua creatura appena oltre i cancelli aziendali. Non può che chiamarsi Il Cavallino. Ora affidato al tristellato Massimo Bottura. Varie le gestioni anche se il colpo d’ala verrà dato dall’imprenditore Beppe Neri. Qui Ferrari aveva una sua saletta riservata, con la tv regolarmente accesa sulle notizie di cronaca. Così lo racconta Ezio Pirazzini: «Alla tavola del Drake si parlava poco di bielle e pistoni, elemento determinante l’eterno femminino, tanto che poteva diventare disinibito e galante, giocando con il consueto charme che esibiva in conferenza stampa con i giornalisti, portando la conversazione dove voleva». Nella sua saletta non si entrava a caso, si veniva invitati, meglio se ben accompagnati, oppure in maniera mirata, come capitò una volta a Nestore Morosini, storica firma del Corriere della Sera, emarginato da Ferrari per delle punzecchiature poco gradite. Un mattino giunse in redazione una telefonata. «Venga da me, facciamo due parole al Cavallino». «Ma, ingegnere, sono le 11 passate, come faccio a partire qui, da Milano». «Non si preoccupi, scenda giù in strada, c’è chi è lì ad attenderla». Gilles Villeneuve impiegò 51 minuti, cronometrati dallo stesso Morosini, per farlo sedere a tavola con il Drake.Innumerevoli gli aneddoti che potrebbero accompagnare le vicende golose di Ferrari. Riuscì a convertire Jacky Ickx, arrivato dal Belgio, che mangiava gli spaghetti crudi «perché cuocendoli si potrebbero rovinare». Un giorno, alla tavola de Il Cavallino, arrivano l’inglese David Hobbs e lo yankee Mark Donohue. Accompagnano il bollito con la familiare Coca cola. Quando vedono che gli altri pasteggiano a lambrusco traducono il tutto con «Ah, the coke of Modena». Verranno presto convertiti ai riti locali. Cosa che non avviene con Arturo Merzario. Tabagista senza se e senza ma, rigorosamente anti Bacco. Quando Ferrari lo vede sorseggiare Coca cola con lo zampone, al suo sguardo allibito, la dichiarazione conseguente «io bevo solo american lambrusc», tradotto a dimensione locale con «Cocalambrusc». Gli episodi che vedono il Drake protagonista fuori onda sono stati ben descritti da Sergio Cassano nel suo bel libro Ferrari a tavola (Fucina ed.). Uno per tutti il suo rapporto con i giornalisti, ben sintetizzato negli omaggi per le feste natalizie. Ai fortunati venivano consegnati due zamponi «è il solo nodo per dare del porco a un giornalista senza insultarlo, ma facendosi ringraziare». Prosit.
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