2024-05-03
Il decreto che smentisce Armanna
Non è vero, come sostiene l’ex manager dell’Eni, che la Procura non gli ha restituito l’iPhone con le chat sul processo Nigeria. Anzi fu proprio lui a ritirare l’hard disk.La consulenza tecnica depositata da Vincenzo Armanna la settimana scorsa a Milano, in un procedimento collegato a quello in cui è accusato di calunnia, continua a presentare diverse criticità, a cominciare dagli apparecchi elettronici su cui è stata svolta. Come già anticipato nei giorni scorsi, infatti, l’analisi di Massimo Graziani si «è potuta basare solo sul backup estratto dal computer Mac del dottor Armanna, nel rispetto della regole forensi, tecnicamente sufficiente a condurre una verifica degli stessi argomenti contenuti nella perizia del dottor Maurizio Bedarida». L’avvocato Massimiliano Fioravanti, legale dell’ex manager Eni, ha poi insistito spiegando in una mail «che ad oggi la Procura di Milano non ha riconsegnato, né di iniziativa né su richiesta, l’iPhone 8+ e copia della estrazione forense, né al mio cliente direttamente né al sottoscritto, in qualità di difensore, come l’Ufficio di Procura che è con noi in copia, non avrà difficoltà a confermare». Ma come il nostro giornale ha ribadito più volte questa affermazione non è corretta. Anzi, conferma che Armanna - il presunto teste chiave del processo Eni Nigeria finito con l’assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste - non sembra sia alla ricerca della verità, quanto a provare a mescolare le carte in tavola. Come appunto dimostra il documento che pubblichiamo, il 12 maggio del 2022 fu proprio Vincenzo Armanna in persona a ricevere l’hard disk, «contenente le copie forensi delle due estrazioni effettuate sullo Smartphone Apple Iphone Plus». Nel decreto di restituzione viene sottolineato come «materiale informatico viene consegnato nelle mani di Vincenzo Armanna, presente atto […]». Il teste che ha accusato i vertici Eni di aver intascato tangenti per l’acquisizione di un giacimento petrolifero, quindi, dispone di ben due copie forensi del suo cellulare identiche a quelle utilizzate dal consulente della Procura Bedarida da più di due anni. Perché quindi il consulente Graziani ha dovuto effettuare la sua consulenza su un computer che non è mai stato nemmeno visionato dalla Procura? Per poter ribaltare la perizia Bedarida (sempre che il procedimento sia attinente) un eventuale confronto sarebbe potuto e dovuto avvenire sullo stesso piano delle copie forensi disponibili da anni, non su altro. Non solo. La perizia Graziani continua a ribadire che le chat Whatsapp non sarebbero modificabili, ma altri tecnici sostengono il contrario. Per di più alcune chat agli atti (anch’esse criticate dalla Procura) si trovano anche su Telegram. Rispetto alla possibile provenienza del computer su cui si sarebbe svolta la consulenza di Armanna, non esistono certezze forensi ma altrettanti dubbi: basti citare un’annotazione della Gdf nel settembre 2021 per capire la delicatezza della situazione. Gli inquirenti, infatti, nelle indagini sull’ex manager Eni e sull’avvocato Piero Amara, avevano capito che una delle finalità perseguite da Armanna, di maggiore interesse ai fini investigativi, risultava essere l’acquisto «di materiale informatico [...] a spese di Matthew Tonlagha di Fenog, al fine di consentire a soggetti ignoti di procedere a non meglio definite operazioni di manipolazione della messaggistica (“to crack the whatsapp”). Era già la seconda volta che gli investigatori avevano evidenziato le intenzioni di Armanna. Lo avevano già fatto nel gennaio dello stesso anno, dopo aver identificato proprio nell’I-Phone 8+ una chat dove lo stesso Armanna dava istruzioni a un collaboratore di Tonlagha su dove trasferire il materiale informatico “craccato”.