2020-09-03
Il colpo di mano di Conte sugli 007 spacca il gruppo dei pentastellati
Esito scontato, alla Camera, dopo che il governo aveva posto la fiducia: la norma sui servizi passa con 276 sì ma 28 grillini si danno alla macchia. Il trono del premier traballa. E c'è chi sospetta un intervento di Luigi Di Maio.È tornata la manina, ma Luigi Di Maio giura che le impronte digitali non sono sue. C'è tempesta dentro il Movimento 5 stelle, e per proprietà transitiva dentro il governo, dopo la decisione del premier Giuseppe Conte di porre la fiducia sul decreto Covid per salvaguardare la proroga dei vertici dei servizi segreti. Tema scottante, liti abbondanti. Ieri a Montecitorio 28 deputati grillini sono risultati assenti al momento del voto confermando il mal di pancia degli ortodossi (espressione di Alessandro Di Battista e del ministro degli Esteri), molto meno malleabili dei governativi, adagiati sui tappeti rossi attorno ai due gran visir di sinistra Beppe Grillo e Roberto Fico. Il decreto è comunque passato con 276 sì e 194 no.Ancora una volta un voto apparentemente banale restituisce indicazioni allarmanti per Palazzo Chigi, mellifluo nell'inserire di soppiatto in un decreto a tema sanitario una norma (il comma sei, articolo uno) che regola gli avvicendamenti degli 007 legandoli a doppio filo al governo. Poi incapace di reggere l'impatto della verità una volta scoperto l'inghippo e costretto a porre la fiducia per non rischiare la guerra civile a 5 stelle. Infatti proprio 50 deputati grillini avevano presentato un emendamento - inaccettabile per Conte un voto grillino contro il governo - per disinnescare il blitz. Il responsabile politico ad interim Vito Crimi e alcuni ministri hanno tentato fino all'ultimo di far ritirare il documento, ma i proponenti si sono rifiutati. Il sistema adottato da Conte è inquietante. Mario Caligiuri, presidente della società italiana di Intelligence (Socint) lo boccia senza appello: «Nei decreti legge c'è sempre di tutto, ma questa è la prima volta che si parla di servizi segreti. Una norma che riguarda i servizi segreti deve essere discussa nella maniera meno controversa possibile». Ecco il motivo della rivolta grillina. Ecco perché la prima firmataria, Federica Dieni, alla vigilia del voto ha usato parole pesanti: «Sono profondamente contrariata dal voto di fiducia e voglio che resti agli atti, la materia che riguarda i servizi non riguarda solo alcuni o pochi, ma tutti. Siamo stanchi di questi continui ricatti sulla tenuta del governo». Un'uscita sorprendente se si considera la struttura verticistica del movimento, dietro la quale sembra essersi mosso un leader. Il nome più gettonato è Di Maio. Lui fa un passo di lato: «Sono costretto a smentire retroscena fantasiosi, l'emendamento del Movimento 5 stelle in materia di intelligence non è di mia paternità. Nessuno provi a tirarmi dentro giochini di Palazzo». Poi approva il percorso di Conte nel tentativo di suturare la ferita. A conferma della fibrillazione dadaista, la stessa indignatissima Dieni «stanca di continui ricatti» alla fine rientra nei ranghi e vota la fiducia. Scene da basso impero democristiano.Rimane la scossa politica. I 50 sulle barricate, i 28 fuori dall'aula fra i quali Pino Cabras, Emilio Carelli, Giulia Grillo e certe firme pesanti sull'emendamento (Francesco Silvestri, Marta Grande, Vittoria Baldino, Luigi Jovine, i membri della commissione Affari costituzionali e difesa) confermano qualcosa di palpabile nella quotidianità dei lavori parlamentari: i grillini non riescono a sostenere tutte le parti in commedia con l'ipocrisia curiale dei piddini, avvezzi ad ogni compromesso da decenni. Il malumore è diffuso. Vota decisamente no la parlamentare siciliana Piera Aiello, membro della commissione Antimafia, che annuncia su Facebook il suo addio al movimento per trasferirsi nel gruppo Misto: «Ha tradito le idee di Gianroberto Casaleggio, non mi rappresenta più, si occupa di antimafia senza la formazione adeguata». Poi una stoccata al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede: «Decide tutto e sicuramente non in autonomia». La bagarre è un segnale che l'opposizione interpreta nell'unico modo possibile: «Mettono la fiducia perché si stanno scannando», è la sintesi di Matteo Salvini. Più articolata la disamina del capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, su Twitter: «Il governo è stato costretto a buttare la palla in tribuna ponendo la fiducia sul decreto per evitare il voto sull'emendamento del Movimento 5 stelle sui servizi segreti. Democrazia parlamentare umiliata, esecutivo giallorosso ai titoli di coda». In tutto questo è singolare l'assoluto silenzio del Pd, sempre in prima linea nel difendere le prerogative della sicurezza nazionale tranne quando «i pieni poteri» proteggono la sua maggioranza. Va ricordato che mai nella storia della Repubblica un premier si era tenuto la delega sugli 007.Il balletto della fiducia non ha convinto Italia viva, che peraltro si limita a una dichiarazione quasi di prammatica con Michele Anzaldi: «Sul gravissimo colpo di mano per la proroga di quattro anni dei vertici dei servizi segreti Palazzo Chigi deve chiedere scusa ai giornalisti e ai parlamentari che a inizio agosto sollevarono il caso. Una norma inserita di notte e in segreto nel decreto Covid». La politica insegna che chi di manina ferisce, prima o poi di manina perisce.