2021-08-08
«Il Colle usò la scusa del Patto atlantico contro il Carroccio». Poi scelse Pechino
Suning e Luigi Di Maio (Ansa)
Il «Fatto» rivela le manovre del Quirinale nel 2019: Mattarella scartò il capo della Lega per le sue uscite anti Trump e pro PutinNon capita tutti i giorni, con l'eccezione di questo giornale, che qualcuno rompa il coro di voci bianche che, di regola, accompagna le mosse del Quirinale. A maggior ragione, merita di essere valorizzata e discussa la coraggiosa pagina firmata ieri sul Fatto Quotidiano da Giovanni Valentini, già direttore dell'Espresso e vicedirettore di Repubblica, oggi commentatore del giornale di Marco Travaglio, non certo una firma incasellabile nell'area conservatrice o liberale o sovranista. Il titolo del paginone è inequivocabile: «Tutti gli errori di Mattarella». Valentini arriva subito al punto, e cioè le scelte compiute da Mattarella a inizio legislatura, dopo il risultato non chiaro delle elezioni del 4 marzo 2018. Il commentatore si chiede: «Che cosa poteva o doveva fare il povero Mattarella? Una risposta tranchant potrebbe essere: tutto, tranne quello che ha fatto».E qui il j'accuse di Valentini è geometrico: il Colle non avrebbe dovuto «inseguire ipotesi o tentare progetti di alleanze che in quel momento apparivano impraticabili: a cominciare da quella, da lui verosimilmente preferita, fra “grillini" e “pidioti", che durante la campagna elettorale non s'erano risparmiati insulti».Fin qui, la pars destruens di Valentini, che però non fa mancare una pars construens: «Per quanto possa risultare increscioso, bisogna dire che il capo dello Stato avrebbe dovuto come primo atto convocare il leader della Lega, titolare della coalizione di maggioranza, affidandogli un preincarico o un mandato con riserva». Qui Valentini squaderna i precedenti: «L'avevano già fatto rispettivamente Sandro Pertini con Bettino Craxi (1979) e Giorgio Napolitano con Pier Luigi Bersani (2013), ottenendo in entrambi i casi la restituzione del mandato. E con ogni probabilità, altrettanto sarebbe stato costretto a fare Matteo Salvini[…]». Come si vede, Valentini, da avversario culturale di Salvini, è convinto che il leader leghista non sarebbe riuscito a trovare i numeri. Cionondimeno (anzi, nello schema di Valentini, a maggior ragione) Mattarella avrebbe dovuto incaricarlo. Cosa che, come sappiamo, non avvenne. gioco di prestigioNon solo: tutti ricordano che il Quirinale diede mandato a Roberto Fico di esplorare l'ipotesi M5s-Pd e a Maria Elisabetta Alberti Casellati (forse con meno convinzione) di esplorarne altre, presumibilmente sul lato destro dell'emiciclo. Poi ci fu il fantasma di Carlo Cottarelli per una notte, prima di arrivare a Giuseppe Conte. Ma rimane il fatto che non fu dato mandato a Salvini di cercare una maggioranza di centrodestra. Perché? Alcuni quirinalisti ossequiosi dissero che non c'erano i numeri. Ma l'obiezione risulta due volte non convincente. Primo: se effettivamente le cose fossero andate così, sarebbe stato un problema di Salvini. Perché non farlo tentare? Secondo: in un Parlamento spaventato dalla prospettiva di una legislatura fallita sul nascere, sarebbe stato invece molto probabile che un premier incaricato i numeri potesse trovarli. Del resto, a fine 2020-inizio 2021, fu regalato un tempo non piccolo a Conte per rintracciare fantomatici «responsabili». Perché non concedere quella possibilità anche a inizio legislatura? Tra l'altro, in una fase di quel lungo periodo prima che nascesse il Conte uno, a un certo punto Mattarella sostenne di essersi mosso secondo uno schema adottato da Luigi Einaudi nel 1953. Fu il direttore di Atlantico Federico Punzi a smontare questo argomento. Scrisse Punzi: «Come si comportò Einaudi? Prima di tutto, un incarico pieno al leader del partito di maggioranza relativa: Alcide De Gasperi. Al quale, pur non avendo una maggioranza certa, viene consentito di giurare e di presentarsi alla Camera con un governo monocolore Dc. Per la prima volta, nella nuova pagina repubblicana, un governo non ottiene la fiducia. Il capo dello Stato assegna allora un preincarico ad Attilio Piccioni, anch'egli della Dc e delfino di De Gasperi, che però dopo pochi giorni rinuncia e rimette l'incarico. Solo a questo punto, dopo due tentativi “politici", uno dei quali arrivato in Aula alla Camera, il presidente Einaudi interviene e percorre per la prima volta la via di un governo del presidente, da lui definito “di transizione" per approvare le leggi di bilancio. Scavalcando le indicazioni del partito di maggioranza relativa, conferisce l'incarico a Giuseppe Pella, con un profilo tecnico ma gradito alla Dc, essendo stato più volte ministro dei governi democristiani, il quale accetta senza riserva. Il governo Pella giura e ottiene la fiducia. Durerà per cinque mesi. Caduto Pella, Einaudi torna a dare un incarico politico: ad Amintore Fanfani, anche stavolta “al buio", senza una maggioranza precostituita. Tant'è che il suo governo, un monocolore Dc, non ottiene la fiducia e dura solo 23 giorni». Conclude efficacemente Punzi: «Al contrario del suo lontano e illustre predecessore, Mattarella ha ritenuto […] di pretendere una maggioranza numericamente certa già prima dell'eventuale incarico, mentre Einaudi mandò in Parlamento due governi politici, De Gasperi VIII e Fanfani I, “al buio"». i conti non tornanoSmontato il parallelo con Einaudi, torniamo al pezzo di Valentini, che ci regala una notizia clamorosa. Il commentatore del Fatto ricorda di aver sollevato perplessità proprio in quei giorni del 2018, e aggiunge: «Un sabato mattina il sottoscritto ricevette una telefonata confidenziale dagli uffici del Quirinale, con cui una fonte più che attendibile spiegò che proprio quella era stata l'idea originaria di Mattarella: affidare un mandato esplorativo a Salvini». E però, dice Valentini sintetizzando le parole della fonte, Salvini in quei giorni «aveva prima attaccato gli Usa di Donald Trump per i bombardamenti in Siria e poi difeso la Russia di Vladimir Putin per la guerra con l'Ucraina: per cui un incarico al leader della Lega rischiava di apparire una svolta o uno stravolgimento della nostra tradizionale politica estera». Valentini fa preventivamente a pezzi eventuali veline di smentita: «In caso di smentite, più o meno ufficiali, mi riservo di trasgredire il segreto professionale rivelando nome e cognome della fonte, tanto più che il centralino del Quirinale avrà conservato traccia di quella telefonata». Morale: rimangono sul tavolo almeno due interrogativi. Primo: apprendiamo che a tagliare le gambe a Salvini sarebbe stata una postura non sufficientemente atlantista, all'epoca. Peccato che poi, in pieno Conte uno, proprio Sergio Mattarella abbia ricevuto al Quirinale con tutti gli onori il tiranno cinese Xi Jinping, avallando al massimo livello la spinta per la Via della Seta. Altro che atlantismo. Secondo: perché un presidente che così spesso parla al Paese o lascia che i suoi collaboratori ispirino i quirinalisti, in quel caso non spiegò pubblicamente in questi termini il no al leader leghista? Quesiti che pesano e restano.