Da Renato Brunetta, che augurava la morte ai progressisti elitari, agli insulti dem alla «valletta» Mariastella Gelmini. Dai veti dei Verdi sugli ex berlusconiani alla rissa continua Calenda-Fratoianni. La grande ammucchiata di Enrico Letta deve far finta di seppellire il passato.
Da Renato Brunetta, che augurava la morte ai progressisti elitari, agli insulti dem alla «valletta» Mariastella Gelmini. Dai veti dei Verdi sugli ex berlusconiani alla rissa continua Calenda-Fratoianni. La grande ammucchiata di Enrico Letta deve far finta di seppellire il passato.«Vada a morire ammazzata la sinistra elitaria e parassitaria». Non è un’invettiva sgarbiana, è una citazione enciclopedica da Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione del terzo governo Berlusconi (quello che tagliava la spesa pubblica e non aumentava lo stipendio agli statali). Tredici anni fa dal palco di Cortina individuò il nemico assoluto nelle «élite delle rendite editoriali, finanziarie, burocratiche, cinematografiche e culturali che hanno combattuto il governo reo di avere cominciato a colpire le casematte della rendita». Burocrati, cinematografari, piddini di redazione e del Nazareno, praticamente i suoi alleati di oggi, quelli che lo aspettano a braccia aperte per dargli un seggio contro «le destre».«C’eravamo tanto armati» è il leitmotiv del caravanserraglio che Enrico Letta sta mettendo insieme per la traversata del deserto, senza minimamente preoccuparsi del passato e del futuro. La storia e la filologia non contano, conta solo l’eterno presente della dichiarazione del giorno e dopo il 25 settembre si aprirà un altro capitolo. Non è interessato ai programmi, gli basta demonizzare gli avversari e imbarcare chiunque passi di lì; non pensa in grande ma all’ingrosso. E costruisce una Babele di Lego. A quell’invettiva brunettiana l’allora segretario del Pd, Dario Franceschini, rispose con leggiadria da sacrestia: «L’unica Brunetta che merita rispetto è quella dei Ricchi e Poveri». Pier Luigi Bersani rincarò: «Insulti, populismo e forse un po’ di delirio». Il postcomunista Paolo Ferrero: «Chiedo l’antidoping. Dichiarazioni in linea con un governo parafascista, xenofobo, razzista». Sono le stesse accuse mosse oggi a chiunque non abbia il red pass. E sono tutti alleati. Tutti uniti in coalizione, a conferma che se la poltrona langue gli opposti si attirano. In mancanza del Movimento 5 stelle il campo largo va occupato. Per esempio con Mariastella Gelmini, in arrivo nel club pariolino di Carlo Calenda, così umile e inclusivo da deportare la famiglia al Partenone per recitare a voce alta il discorso di Pericle sulla democrazia e postarlo su Twitter. È la stessa Gelmini, massacrata per il tunnel sotto il Gran Sasso attraversato da neutrini, la stessa «pasionaria berlusconiana» che per un decennio non ha potuto finire una frase nei talk show a maggioranza progressista. Veniva zittita al grido di valletta, meteorina, segretaria di Arcore. È sempre la Gelmini che, da ministro dell’Istruzione, veniva accusata dal Pd sezione Squola «di non farsi scrupolo di diffondere dati taroccati sui test». È la Gelmini che Bersani (da plenipotenziario dem in chiave tardo emiliana) dipingeva così: «Gli insegnanti sono eroi moderni, combattono contro la dispersione, vanno a riprendere i ragazzini per i capelli. Mentre la Gelmini gli rompe i coglioni». Sollevazione contro il bullismo verbale? Quando mai. Per Emanuele Fiano «si dovrebbe scusare il ministro, non Bersani, per i danni che procura alla scuola italiana». Neanche a dirlo stanno tutti in coalizione, da qui al 25 settembre stringeranno mani, saliranno sul palco delle Feste dell’Unità e tireranno sassi con la fionda a Giorgia Meloni, a Matteo Salvini, forse anche a nonno Silvio Berlusconi. Al di là del folclore, Letta che intende creare un rassemblement «unito soprattutto dai valori comuni», dovrebbe spiegare agli elettori quali sono. Perché l’antinuclearista Nicola Fratoianni di Sinistra italiana ha già fatto sapere che i suoi non sono gli stessi del rigassificatore Calenda. Se fosse per lui lo impiomberebbe a Piombino. «Ogni giorno si inventa un nuovo veto o un nuovo insulto. Il suo programma non ha nulla a che vedere con il mio, io continuo a rivolgermi a Conte e Letta perché riannodino il filo del dialogo». E i Verdi? E la loro centralità nel ventaglio di proposte ecologiste? Il portavoce, Angelo Bonelli, ama più gli spigoli delle curve: «Non possiamo portare avanti i nostri temi con Calenda, Gelmini, Brunetta e i transfughi del centrodestra. Non vogliamo fare la foglia di fico a sinistra, con Azione abbiamo distanze evidenti sulla politica energetica, sul nucleare e sui rigassificatori». Però sono pronti a sedersi alla stessa tavola. Una sola trattoria, 50 menù destinati a implementarsi nel mitico «zuppone alla porcara» con la scarpa a galleggiare in mezzo al pentolone dopo una battaglia stile Gassman e Tognazzi (quelli veri) ne I nuovi mostri. Cosa non si fa per un voto in più. Anche Luigi Di Maio chiede un posto davanti alla tovaglia a quadretti, ha il cappellino con l’elica, lo accompagna per mano Massimo D’Alema. È lo stesso Di Maio che tre estati fa definiva il Pd «il partito di Bibbiano». E aggiungeva in post ferocissimi su Facebook: «Mai con questi che tolgono i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderli». La reazione piddina era del tipo: «Dichiarazioni demenziali di un personaggio disperato che ha fallito e scarica la bile sugli avversari politici». Poi sappiamo com’è andata a finire nel segno della coerenza, chi vuole approfondire si diletti in psicopatologia. Oggi Letta e Giggino direbbero che «partendo da quelle basi ci sono i presupposti per un solido cammino insieme».Nella foto ricordo dell’Armata Brancaleone che si sta formando mancano due pezzi da 90: Matteo Renzi e Roberto Speranza. Il secondo ha un piede dentro, il primo si sta sbucciando le nocche a forza di bussare alla porta. Interessante notare che un anno fa Renzi chiese «una commissione d’inchiesta sulla gestione della pandemia, ci sono pagine grigie, dall’acquisto delle mascherine alle scelte sanitarie». Il ministro è lo stesso Speranza che dovrebbe chiedere i voti sotto l’ombrellone con lui. E questa è sintonia. «Eppure è sempre vero anche il contrario», teorizzava il professor Bellavista di Luciano De Crescenzo, ma lì eravamo dentro l’avanspettacolo. La sinistra in monopattino che vuole condurre il Paese nel Walhalla dei diritti, fuori dalla crisi energetica e gestire i miliardi del Pnrr somiglia a un polpo ubriaco; tentacoli che si agitano fuori sincrono. Calenda punta al nucleare, Fratoianni soffia sulle pale eoliche, Speranza vuole il salario unico, Renzi non si sa, Bersani è sempre lì che smacchia giaguari, Di Maio è tifoso di chi vince. E Bostik Letta fa da collante pensando a quanto sarebbe stato più facile sposare semplicemente Giuseppe Conte, con i confetti, le lacrime di Goffredo Bettini e Alessandro Zan a officiare la cerimonia. Mentre tutti salgono sulla sgangherata corriera elettorale, si sente laggiù in fondo un grido: «I fannulloni sono spesso di sinistra». Panico fuori luogo, è ancora Brunetta che fatica a trovare l’interruttore per spegnere il passato.
Gertrude O'Brady.Il chiosco, s.d./LaM, Musée d’art moderne, d’art contemporain et d’art brut de Lille Métropole, Villeneuve d’Ascq© Philip Bernard
Dal Cubismo all’Art Brut, a Palazzo Zabarella di Padova in mostra (sino al 25 gennaio 2026) oltre 60 opere di 30 diversi artisti delle avanguardie del primo e del secondo dopoguerra, tutti provenienti dal LaM di Lille. Fra capolavori noti e meno conosciuti, anche cinque dipinti di Pablo Picasso e sei straordinarie tele di Amedeo Modigliani.
Susanna Tamaro (Getty Images)
La scrittrice Susanna Tamaro: «La società dimentica che la vita non ci appartiene, ma la morte non si affronta con le carte bollate. La lotta con il destino è essenziale perché dalla fragilità dell’esistenza è impossibile scappare».
Il punto di vista di Susanna Tamaro sul tempo presente è sempre originale. Nell’ultimo saggio, intitolato La via del cuore. Per ritrovare senso nella vita (Solferino), sulla scorta dell’inventore dell’etologia, Konrad Lorenz, utilizza le osservazioni sulla natura e gli animali per studiare la società contemporanea. A ben guardare, però, questo memoir può essere letto anche come una lunga preghiera per lo stato del pianeta. «È così», ammette la scrittrice, «non condivido la tendenza all’angelicazione dell’uomo o a vederlo come frutto dell’evoluzione».
Il principale operatore della rete elettrica nazionale registra ricavi pari a 2,88 miliardi (l’8,9% in più rispetto al 2024) e accelera nei progetti Tyrrhenian Link e Adriatic Link, al centro della strategia per la decarbonizzazione. Aumenta il peso delle rinnovabili.
Nei primi nove mesi del 2025 Terna, principale gestore della rete elettrica nazionale, ha consolidato la propria posizione strategica nel settore, segnando un’intensa crescita economico-finanziaria e un’accelerazione significativa degli investimenti a supporto della transizione energetica. Il consiglio di amministrazione, guidato da Igor De Biasio e con la presentazione dell’amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, ha approvato risultati che provano la solidità del gruppo e il suo ruolo determinante nel percorso di decarbonizzazione del Paese.
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
L’operazione Southern Spear lanciata da Washington fa salire il rischio di escalation. Maduro mobilita 200.000 militari, denuncia provocazioni Usa e chiede l’intervento dell’Onu, mentre l’opposizione parla di arruolamenti forzati e fuga imminente del regime.
Nel Mar dei Caraibi la tensione fra Venezuela e Stati Uniti resta altissima e Washington, per bocca del suo Segretario alla Guerra Pete Hegseth, ha appena lanciato l’operazione Southern Spear. Questa nuova azione militare è stata voluta per colpire quelli che l’amministrazione Trump ha definito come i narco-terroristi del continente sudamericano ed ha il dichiarato obiettivo di difendere gli Stati Uniti dall’invasione di droga portata avanti da questi alleati di Maduro. Intanto è stata colpita la 21ª imbarcazione, accusata di trasportare droga verso il territorio statunitense, facendo arrivare a circa 80 il numero delle vittime.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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