2020-06-06
Il cardinale Zen tenta di svegliare il Papa: «A Hong Kong serve un miracolo dal cielo»
Il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong (Ansa)
Davanti alla brutalità di Pechino, il vescovo emerito denuncia i silenzi di Jorge Bergoglio. Che pensa solo al prossimo viaggio in Cina. Silenzio e preghiera. Sempre pronto ad avvalersi della «salvifica forza della parola» a difesa dei deboli della Terra, papa Francesco non ha ancora emesso una sillaba, un fonema, su Hong Kong. Sulle persone incarcerate, sulle richieste democratiche soffocate, sull'ombra di Pechino che si allunga sulla città-stato con lo scopo di annetterla e controllare ogni libertà, compresa quella religiosa. Ma se il Vaticano tace in modo assordante, non lo fa il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, diventato nel tempo una spina nel fianco dei colleghi porporati inclini all'appeasement con Xi Jinping. È lui a far notare l'assenza laddove il cristianesimo è sempre stato presenza critica, se non addirittura presenza martire. «Siamo molto preoccupati, serve un miracolo, un miracolo dal cielo» lancia l'allarme al giornale online Crux esattamente 31 anni dopo il massacro di piazza Tienanmen. «Ma mi dispiace dover dire che non ci aspettiamo nulla dal Vaticano. Non hanno mai detto nulla per rimproverare la Cina per la persecuzione e hanno ceduto la Chiesa all'autorità cinese». Un'uscita in linea con il personaggio, uno schiaffo in pieno volto al politicamente corretto della Chiesa nell'affrontare la questione cinese. Aggiunge Zen: «In questi tempi turbolenti durante i quali molti giovani hanno subìto la brutalità della polizia, non una parola è arrivata dal Vaticano, sempre impegnato a compiacere il governo comunista cinese. Ma questa strategia è pazzesca perché i comunisti non hanno mai garantito niente, sono solo interessati al controllo di tutto. Siamo destinati a perdere la nostra libertà».Se la punta di diamante della resistenza alla dittatura è un prete di 88 anni lasciato solo dalle autorità religiose, con un fossato di delegittimazione intorno, significa che oltre le mura leonine c'è un problema. E riguarda la passività con cui i vertici della Chiesa si stanno ponendo nei confronti del colosso asiatico. Per ora nessun commento alla mossa incostituzionale di assoggettare Hong Kong alla legislazione del continente è stato autorizzato. Il referente principale di Pechino è il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che sogna di organizzare il primo storico viaggio papale in Cina, partendo da Wuhan, e ha convinto Papa Francesco a non prendere iniziative in questa fase, a costo di abbandonare a se stessa la chiesa cattolica cinese di Hong Kong. Un atteggiamento difensivo che diventa provinciale a causa del marketing filocinese del cerchio magico del Papa: di fronte al silenzio per la stretta dittatoriale, la rivista Civiltà Cattolica scritta anche in ideogrammi (cosa che provoca eccitazione nel direttore padre Antonio Spadaro), più che apertura mostra subalternità.Eppure nel mondo la voce della Chiesa riecheggia a ricordare libertà e verità. E a mettere in imbarazzo Pechino, come seppe fare un paio di mesi fa l'arcivescovo di Yangoon (Myanmar), Charles Bo, che additò dal pulpito Xi Jinping come responsabile morale della pandemia di coronavirus: «Ciò che il regime cinese ha fatto e ciò che non ha fatto stanno producendo danni alle vite umane in tutto il mondo. Se la Cina avesse agito in modo responsabile una, due o tre settimane prima, il numero dei contagiati sarebbe stato molto minore». Per il cardinal Bo, «il partito comunista cinese è una minaccia per il mondo intero». Anche qui come per Giovanni Battista, una voce nel deserto. Mentre a Roma si filosofeggia e si lustra l'immagine, in Cina fa discutere una mossa non favorevole alla Chiesa. È stato nominato direttore dell'ufficio per i rapporti con Hong Kong e Macao, Xia Baolong, che non è un funzionario come gli altri, ma l'uomo che nel 2013 nella regione di Zhejiang ha portato avanti una feroce campagna iconoclasta facendo abbattere 1.500 croci e demolire decine di chiese. In tre anni, come ricordano i cattolici di quelle province «è stato attuato il tentativo di cancellare ogni traccia del cristianesimo». La feroce applicazione dei dogmi comunisti è piaciuta così tanto che Xia Baolong ha cominciato da lì la sua irresistibile ascesa politica. Se oggi Hong Kong fosse uniformata al resto del paese, potrebbero presto essere vietati pellegrinaggi, preghiere, catechismo. E, come accade in altre zone della Cina, ai minori di 18 anni potrebbe essere vietato partecipare alla messa. Tutto questo non sembra preoccupare il Vaticano, che anzi cerca sponde nel governo italiano già naturalmente filocinese per portare a termine il progetto del viaggio. Un afflato a senso unico perché per due volte Xi Jinping poteva incontrare il Papa e per due volte ha declinato l'invito con l'ambigua frase: «Non siamo ancora pronti». In realtà al partito comunista cinese la chiesa cattolica autonoma continua a mettere ansia. Nonostante l'accordo per la nomina congiunta dei vescovi (salutato come un grande successo da Papa Francesco e come un'aberrazione dal cardinal Zen), Pechino diffida e mostra voglia di bavaglio. La Chiesa è l'unica realtà libera in grado di diffondere ai cittadini messaggi non edulcorati dal potere ufficiale. Come invoca il cardinal Zen «serve un miracolo dal cielo». Una richiesta che arrivi direttamente lassù, bypassando il Vaticano.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)