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2021-12-05
Così la Corte dei conti fa il contropelo agli sprechi dello Svimez
Domenico Arcuri (Ansa)
Il meridionalismo documentato, quello di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno presieduta da Adriano Giannola e guidata dall’economista Luca Bianchi, tenuto in grande considerazione perfino dal presidente Sergio Mattarella, presenta nuove e vecchie criticità: a partire dalla trasparenza fino ad arrivare - passando per un incontrollabile ricorso a risorse esterne - ad acquisti e forniture effettuati senza aver mai fatto un accesso al Mepa, il mercato elettronico della pubblica amministrazione. È il quadro tracciato dall’ultima analisi della Corte dei conti, che il 9 novembre ha depositato una corposa relazione sulla gestione finanziaria dell’associazione abituata a fare le pulci a governo, Regioni, banche, imprese e perfino ai partiti, anticipando di una ventina di giorni la presentazione di quello che è considerato il suo fiore all’occhiello, il Rapporto annuale sull’economia e la società del Mezzogiorno.
Il 30 novembre, infatti, come ogni anno, a commentare lo studio, molto seguito dalla stampa, hanno preso parte non poche personalità: dal ministro per il Sud Mara Carfagna al direttore dell’Abi Giovanni Sabatini. Il dossier sui conti di Svimez, firmato dal relatore della Corte Marco Villani e dal presidente Andrea Zacchia, invece, è stato inviato direttamente alle presidenze di Camera e Senato. In sordina. Malgrado di anomalie ne siano saltate fuori diverse: «Si osserva che», scrivono i giudici, «nonostante il valore finanziario dei contributi ricevuti e la partecipazione, in prevalenza, di enti pubblici, Svimez mantiene la natura di associazione non riconosciuta». Ovvero non presenta personalità giuridica ed è sottoposta a minori adempimenti burocratici, pur incamerando somme di rilievo. Il contributo statale, disposto dalla legge di bilancio per il 2020, per esempio, è stato di 1.700.000 euro. Per la verità il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte ha eroso di 13.733 euro il contributo concesso da quello gialloverde. Si tratta comunque di un finanziamento consistente. E, soprattutto, a fondo perduto. Al quale si sommano, poi, i proventi da convenzioni, la cui voce complessiva di bilancio segna un incremento di 54.922 euro rispetto al 2019. In totale Svimez ottiene dai finanziatori che credono nella sua mission altri 368.993 euro. Si va dai 120.565 euro della Bmti, la Borsa merci telematica italiana (per una valutazione dei trend territoriali e settoriali), ai 62.728 euro della Regione Basilicata, ai 22.131 della Calabria (per un supporto tecnico alla stesura del Documento di economia e finanza regionale), agli oltre 47.000 del Parco di Pantelleria.
Hanno investito in Svimez anche Domenico Arcuri con la sua Invitalia (28.700 euro) e il Mediocredito centrale (20.000), il cui socio unico è sempre Invitalia. Nel primo caso Arcuri ha commissionato a Svimez «un’analisi dell’impatto sociale ed economico prodotto» dagli incentivi gestiti dalla stessa Invitalia in Campania, e in particolare nel comune di Morra De Sanctis (Avellino). Per il Mediocredito, invece, Svimez analizza i dati delle imprese che hanno accesso al fondo di garanzia. Per Utilitalia (federazione delle aziende dei servizi pubblici di acqua, ambiente, energia elettrica e gas), inoltre, Svimez segue gli interventi previsti dal Recovery plan. Costo della convenzione: 42.000 euro.
chi sono i soci
Un’altra iniezione che tiene arzillo il bilancio di Svimez arriva dalle quote associative, quasi tutte da 10.300 euro. Tra i soci si trovano Bankitalia, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti di Roma, le Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, la Seconda università di Napoli e anche l’Unione degli industriali di Napoli e quella di Cosenza. In totale l’incasso è di 152.100 euro. Poi ci sono 139.000 euro che arrivano da locazioni di immobili.
Per la produzione di rapporti, ricerche e dossier, però, Svimez sostiene anche dei costi elevati: 2.335.219 euro nel 2020. Per gli stipendi, per esempio, vengono bruciati 915.281 euro tra quelli per i dirigenti (321.842 euro), per i ricercatori (284.057), per i comunicatori (33.993) e per il personale che si occupa di gestione e servizi (275.389). La spesa, sommando anche contributi, Tfr e buoni pasto, arriva a 1.320.927. L’ente, sotto l’aspetto dei compensi al management, sembra anche virtuoso, visto che il presidente ha percepito nel 2020 solo 20.000 euro e il direttore 170.000 (nel 2019 erano 139.500).
La nota dolente arriva quando nella lettura del bilancio si inciampa nei costi per le collaborazioni esterne. Quelle per la ricerca sono passate dai 197.138 euro del 2019 ai 209.760 del 2020, solo 80.000 euro in meno rispetto ai costi sostenuti per i ricercatori assunti. E sono così suddivise: collaborazioni per stilare il famoso Rapporto annuale 45.850 euro, collaborazioni in campo statistico 101.900 euro, altre collaborazioni di ricerca 62.010 euro. Le convenzioni, poi, producono anche costi. Per la collaborazione con la Basilicata, per esempio, si spendono 20.500 euro (a fronte di un incasso da 62.000). Per Invitalia 6.500. Altri 5.000 per il Mediocredito. A conti fatti, i costi per le collaborazioni esterne raggiungono quota 338.992 euro, con un incremento rispetto al 2019 di 60.311 euro.
E i bilanci?
Svimez si è giustificata chiarendo che «la crescita delle attività ha reso necessario contrattualizzare specifiche professionalità non presenti all’interno del personale dell’associazione, che nel periodo considerato si è ridotto per l’aspettativa di un dirigente di ricerca». I giudici contabili, però, sferzano Svimez invitandola a «valutare attentamente e prudentemente il ricorso a collaborazioni esterne in materie rientranti nelle competenze ordinarie della struttura [...] e raccomandando il ricorso a professionalità esterne soltanto quando sia strettamente necessario per motivi di competenza o per carenze interne». E danno una indicazione precisa: «L’adozione di un regolamento di selezione di tali figure professionali e un apposito albo».
Sul sito Web, peraltro, nell’area dedicata alla trasparenza, sono presenti solo decreti legislativi e circolari Anac legati alle normative anticorruzione. I bilanci non sono disponibili. Né è possibile visualizzare contratti e incarichi.
Le spese generali sembrano quelle di un piccolo carrozzone statale, con tanto di rimborsi spese, seppur in calo, per amministratori e collaboratori (6.519 euro in un anno), viaggi e rappresentanza (12.279), abbonamenti a libri e giornali (5.612). In totale 157.755 euro. Anche i costi per servizi, 472.305 euro, non sono passati inosservati: comprendono spese per stampa, comunicazione e promozione, assistenza e noleggio di macchine per ufficio. Anche in questo campo, però, l’ente di Giannola viaggia sotto copertura.
«Svimez», si legge nella relazione, «non ha utilizzato per gli acquisti la piattaforma Mepa, ritenendo di non rientrare tra gli enti presenti nel perimetro della pubblica amministrazione». E, di fatto, è così, avendo scelto di restare un’associazione non riconosciuta, che precisa nel suo statuto di non avere fini di lucro. Ma i giudici, «considerata la rilevanza dei contributi pubblici», suggeriscono «di valutare il ricorso ad acquisti tramite le centrali pubbliche di committenza». L’unico modo per salvare trasparenza.
Immobili e terreni e un Cda di nomi noti a puntellare la mini corazzata
Non ci sono solo contributi del governo e convenzioni con enti e società pubbliche nel ricco paniere del colosso della ricerca economica Svimez. Lo stato patrimoniale dell’associazione non riconosciuta può contare su fabbricati e terreni per 4.407.178 euro, incamerati tre anni fa con l’incorporazione di Simez srl, società immobiliare che era nata proprio per amministrare quei beni. Anche in questa voce del bilancio i giudici della Sezione di controllo della Corte dei conti hanno ficcato il naso.
Svimez ha spiegato che non si tratta di beni strumentali, perché non funzionali all’attività dell’associazione: «Rappresentano una forma di investimento di mezzi finanziari». In sostanza sarebbero una garanzia per il Tfr maturato dai dipendenti. Gli acquisti, soprattutto di appartamenti di pregio, effettuati tra il 1970 e il 1980, avrebbero - stando alle stime della stessa Svimez - anche acquisito valore nel corso degli anni: «Come indicato dalle dinamiche di mercato osservate negli anni e confermate anche dalle ultime cessioni realizzate, il prezzo di eventuali vendite si colloca a un livello sensibilmente maggiore rispetto a quello di attuale iscrizione al bilancio». Dunque, «non si registra una perdita di valore», anche perché nel corso degli anni gli immobili sono stati ristrutturati.
I Creditori negligenti
La questione, però, preoccupa i giudici contabili, che raccomandano «massima vigilanza sull’attualità dei valori»: se questi dovessero calare, infatti, i Tfr dei dipendenti traballarebbero. E il mattone non sempre si è rivelato una garanzia, anche per importanti casse di previdenza professionali.
Ma quello di terreni e fabbricati non è l’unico vantaggio prodotto dalla fusione con la ex Simez. Il patrimonio netto ha superato i 5 milioni di euro. Con voci importanti sulla «riserva dell’avanzo di fusione residuo (che coincide con l’utile del bilancio di chiusura di Simez, ndr)» e vari «fondi di rivalutazione». Inoltre i fabbricati continuano a produrre reddito per l’associazione, che dalle locazioni incamera quasi 140.000 euro annui.
D’altra parte, però, c’è da combattere con enti imprecisi con i pagamenti. I crediti ammontano a 400.051 euro, in crescita sull’anno precedente. Guida l’elenco la Borsa merci telematica italiana, che deve a Svimez ancora 60.282 euro. Anche il Comune di Matera non ha saldato il conto (30.000 euro). Altri 19.479 li deve la Basilicata. Paga con ritardo pure il Mediocredito centrale di Invitalia: 20.000 euro di debito. E la stessa Invitalia di Arcuri deve ancora a Svimez 28.700 euro. Ci sono poi 63.900 euro di quote associative arretrate e quasi 16.000 euro da riscuotere dagli inquilini degli appartamenti ex Simez. Infine, non sono rientrati 75.000 euro di crediti verso gli atenei del Sud che aderiscono al Forum delle università, consulta degli istituti interessati a promuovere con Svimez ricerche economiche e sociali sul Mezzogiorno.
Il problema per i giudici contabili è che alcuni di questi crediti sono datati. Ci sono quote associative non riscosse dal 2010. I giudici raccomandano «la massima vigilanza», perché si avvicina l’estinzione «per la decorrenza del termine di prescrizione». A ridurre le quote, inoltre, ha contribuito il recesso di un associato ordinario, la Fondazione centro ricerche Angelo Curella creata dalla Banca Sant’Angelo di Palermo, «il cui ruolo», hanno spiegato gli amministratori, «si è andato esaurendo». Con il distacco del socio ordinario Svimez ora ha anche un esponente in meno nel Cda.
Consiglio di un’altra era
Quest’ultimo infatti è composto in parte da consiglieri designati dagli associati. La Regione Campania, per esempio, è rappresentata dall’assessore regionale Ettore Cinque. L’Abruzzo dal direttore generale della Regione Barbara Morgante. La Calabria ha indicato il capo di gabinetto Luciano Vigna. La Basilicata invece ha scelto l’ex deputato scudocrociato ottantenne Vincenzo Viti. L’Unione degli industriali di Napoli, Paola Russo, responsabile del loro centro studi. Il presidente Giannola può contare poi su 17 consiglieri del Cda: il vicepresidente è Filippo Patroni Griffi, ex ministro e ora al vertice del Consiglio di Stato, ma nella compagine ci sono altri nomi noti. Spiccano l’ex ministro dell’Istruzione Gerardo Bianco, l’ex sottosegretario di Stato ai tempi del Pds Giuseppe Carmine Soriero, l’intellettuale fiorentino Sergio Zoppi (86 anni), l’ex presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta (82), il già ministro del Tesoro ai tempi della svalutazione della lira Piero Barucci (88).
L’età media dei consiglieri non deve aver aiutato Svimez nel passaggio all’era digitale: la Corte dei conti ha più volte sollecitato la pubblicazione online delle sue relazioni sui bilanci dell’associazione, ma ancora oggi sul sito di Svimez si trovano solo quelle del 2018 e del 2019. Nemmeno i bilanci sono consultabili. E dopo anni, finalmente, solo nel 2020, Svimez ha deciso di elaborare un rendiconto finanziario, «coprendo una lacuna», affermano i giudici contabili, «e permettendo di compiere analisi sui flussi finanziari che, certamente, si rivelerà utile nel prossimo futuro per le programmazioni accompagnate da impegni di spesa».
Continua a leggereRiduci
Spese da piccolo carrozzone statale, consulenze esterne a gogò, il tutto senza alcuna trasparenza. Contropelo della Corte dei conti all’associazione che fa le pulci a chiunque sullo sviluppo del SudSotto esame il ricco patrimonio dell’ente: oltre 5 milioni grazie a un tesoretto in case di pregio. Ma per i giudici non è tutto oroLo speciale contiene due articoliIl meridionalismo documentato, quello di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno presieduta da Adriano Giannola e guidata dall’economista Luca Bianchi, tenuto in grande considerazione perfino dal presidente Sergio Mattarella, presenta nuove e vecchie criticità: a partire dalla trasparenza fino ad arrivare - passando per un incontrollabile ricorso a risorse esterne - ad acquisti e forniture effettuati senza aver mai fatto un accesso al Mepa, il mercato elettronico della pubblica amministrazione. È il quadro tracciato dall’ultima analisi della Corte dei conti, che il 9 novembre ha depositato una corposa relazione sulla gestione finanziaria dell’associazione abituata a fare le pulci a governo, Regioni, banche, imprese e perfino ai partiti, anticipando di una ventina di giorni la presentazione di quello che è considerato il suo fiore all’occhiello, il Rapporto annuale sull’economia e la società del Mezzogiorno. Il 30 novembre, infatti, come ogni anno, a commentare lo studio, molto seguito dalla stampa, hanno preso parte non poche personalità: dal ministro per il Sud Mara Carfagna al direttore dell’Abi Giovanni Sabatini. Il dossier sui conti di Svimez, firmato dal relatore della Corte Marco Villani e dal presidente Andrea Zacchia, invece, è stato inviato direttamente alle presidenze di Camera e Senato. In sordina. Malgrado di anomalie ne siano saltate fuori diverse: «Si osserva che», scrivono i giudici, «nonostante il valore finanziario dei contributi ricevuti e la partecipazione, in prevalenza, di enti pubblici, Svimez mantiene la natura di associazione non riconosciuta». Ovvero non presenta personalità giuridica ed è sottoposta a minori adempimenti burocratici, pur incamerando somme di rilievo. Il contributo statale, disposto dalla legge di bilancio per il 2020, per esempio, è stato di 1.700.000 euro. Per la verità il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte ha eroso di 13.733 euro il contributo concesso da quello gialloverde. Si tratta comunque di un finanziamento consistente. E, soprattutto, a fondo perduto. Al quale si sommano, poi, i proventi da convenzioni, la cui voce complessiva di bilancio segna un incremento di 54.922 euro rispetto al 2019. In totale Svimez ottiene dai finanziatori che credono nella sua mission altri 368.993 euro. Si va dai 120.565 euro della Bmti, la Borsa merci telematica italiana (per una valutazione dei trend territoriali e settoriali), ai 62.728 euro della Regione Basilicata, ai 22.131 della Calabria (per un supporto tecnico alla stesura del Documento di economia e finanza regionale), agli oltre 47.000 del Parco di Pantelleria.Hanno investito in Svimez anche Domenico Arcuri con la sua Invitalia (28.700 euro) e il Mediocredito centrale (20.000), il cui socio unico è sempre Invitalia. Nel primo caso Arcuri ha commissionato a Svimez «un’analisi dell’impatto sociale ed economico prodotto» dagli incentivi gestiti dalla stessa Invitalia in Campania, e in particolare nel comune di Morra De Sanctis (Avellino). Per il Mediocredito, invece, Svimez analizza i dati delle imprese che hanno accesso al fondo di garanzia. Per Utilitalia (federazione delle aziende dei servizi pubblici di acqua, ambiente, energia elettrica e gas), inoltre, Svimez segue gli interventi previsti dal Recovery plan. Costo della convenzione: 42.000 euro.chi sono i sociUn’altra iniezione che tiene arzillo il bilancio di Svimez arriva dalle quote associative, quasi tutte da 10.300 euro. Tra i soci si trovano Bankitalia, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti di Roma, le Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, la Seconda università di Napoli e anche l’Unione degli industriali di Napoli e quella di Cosenza. In totale l’incasso è di 152.100 euro. Poi ci sono 139.000 euro che arrivano da locazioni di immobili. Per la produzione di rapporti, ricerche e dossier, però, Svimez sostiene anche dei costi elevati: 2.335.219 euro nel 2020. Per gli stipendi, per esempio, vengono bruciati 915.281 euro tra quelli per i dirigenti (321.842 euro), per i ricercatori (284.057), per i comunicatori (33.993) e per il personale che si occupa di gestione e servizi (275.389). La spesa, sommando anche contributi, Tfr e buoni pasto, arriva a 1.320.927. L’ente, sotto l’aspetto dei compensi al management, sembra anche virtuoso, visto che il presidente ha percepito nel 2020 solo 20.000 euro e il direttore 170.000 (nel 2019 erano 139.500). La nota dolente arriva quando nella lettura del bilancio si inciampa nei costi per le collaborazioni esterne. Quelle per la ricerca sono passate dai 197.138 euro del 2019 ai 209.760 del 2020, solo 80.000 euro in meno rispetto ai costi sostenuti per i ricercatori assunti. E sono così suddivise: collaborazioni per stilare il famoso Rapporto annuale 45.850 euro, collaborazioni in campo statistico 101.900 euro, altre collaborazioni di ricerca 62.010 euro. Le convenzioni, poi, producono anche costi. Per la collaborazione con la Basilicata, per esempio, si spendono 20.500 euro (a fronte di un incasso da 62.000). Per Invitalia 6.500. Altri 5.000 per il Mediocredito. A conti fatti, i costi per le collaborazioni esterne raggiungono quota 338.992 euro, con un incremento rispetto al 2019 di 60.311 euro. E i bilanci?Svimez si è giustificata chiarendo che «la crescita delle attività ha reso necessario contrattualizzare specifiche professionalità non presenti all’interno del personale dell’associazione, che nel periodo considerato si è ridotto per l’aspettativa di un dirigente di ricerca». I giudici contabili, però, sferzano Svimez invitandola a «valutare attentamente e prudentemente il ricorso a collaborazioni esterne in materie rientranti nelle competenze ordinarie della struttura [...] e raccomandando il ricorso a professionalità esterne soltanto quando sia strettamente necessario per motivi di competenza o per carenze interne». E danno una indicazione precisa: «L’adozione di un regolamento di selezione di tali figure professionali e un apposito albo». Sul sito Web, peraltro, nell’area dedicata alla trasparenza, sono presenti solo decreti legislativi e circolari Anac legati alle normative anticorruzione. I bilanci non sono disponibili. Né è possibile visualizzare contratti e incarichi. Le spese generali sembrano quelle di un piccolo carrozzone statale, con tanto di rimborsi spese, seppur in calo, per amministratori e collaboratori (6.519 euro in un anno), viaggi e rappresentanza (12.279), abbonamenti a libri e giornali (5.612). In totale 157.755 euro. Anche i costi per servizi, 472.305 euro, non sono passati inosservati: comprendono spese per stampa, comunicazione e promozione, assistenza e noleggio di macchine per ufficio. Anche in questo campo, però, l’ente di Giannola viaggia sotto copertura. «Svimez», si legge nella relazione, «non ha utilizzato per gli acquisti la piattaforma Mepa, ritenendo di non rientrare tra gli enti presenti nel perimetro della pubblica amministrazione». E, di fatto, è così, avendo scelto di restare un’associazione non riconosciuta, che precisa nel suo statuto di non avere fini di lucro. 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Gli acquisti, soprattutto di appartamenti di pregio, effettuati tra il 1970 e il 1980, avrebbero - stando alle stime della stessa Svimez - anche acquisito valore nel corso degli anni: «Come indicato dalle dinamiche di mercato osservate negli anni e confermate anche dalle ultime cessioni realizzate, il prezzo di eventuali vendite si colloca a un livello sensibilmente maggiore rispetto a quello di attuale iscrizione al bilancio». Dunque, «non si registra una perdita di valore», anche perché nel corso degli anni gli immobili sono stati ristrutturati. I Creditori negligenti La questione, però, preoccupa i giudici contabili, che raccomandano «massima vigilanza sull’attualità dei valori»: se questi dovessero calare, infatti, i Tfr dei dipendenti traballarebbero. E il mattone non sempre si è rivelato una garanzia, anche per importanti casse di previdenza professionali. Ma quello di terreni e fabbricati non è l’unico vantaggio prodotto dalla fusione con la ex Simez. Il patrimonio netto ha superato i 5 milioni di euro. Con voci importanti sulla «riserva dell’avanzo di fusione residuo (che coincide con l’utile del bilancio di chiusura di Simez, ndr)» e vari «fondi di rivalutazione». Inoltre i fabbricati continuano a produrre reddito per l’associazione, che dalle locazioni incamera quasi 140.000 euro annui. D’altra parte, però, c’è da combattere con enti imprecisi con i pagamenti. I crediti ammontano a 400.051 euro, in crescita sull’anno precedente. Guida l’elenco la Borsa merci telematica italiana, che deve a Svimez ancora 60.282 euro. Anche il Comune di Matera non ha saldato il conto (30.000 euro). Altri 19.479 li deve la Basilicata. Paga con ritardo pure il Mediocredito centrale di Invitalia: 20.000 euro di debito. E la stessa Invitalia di Arcuri deve ancora a Svimez 28.700 euro. Ci sono poi 63.900 euro di quote associative arretrate e quasi 16.000 euro da riscuotere dagli inquilini degli appartamenti ex Simez. Infine, non sono rientrati 75.000 euro di crediti verso gli atenei del Sud che aderiscono al Forum delle università, consulta degli istituti interessati a promuovere con Svimez ricerche economiche e sociali sul Mezzogiorno. Il problema per i giudici contabili è che alcuni di questi crediti sono datati. Ci sono quote associative non riscosse dal 2010. I giudici raccomandano «la massima vigilanza», perché si avvicina l’estinzione «per la decorrenza del termine di prescrizione». A ridurre le quote, inoltre, ha contribuito il recesso di un associato ordinario, la Fondazione centro ricerche Angelo Curella creata dalla Banca Sant’Angelo di Palermo, «il cui ruolo», hanno spiegato gli amministratori, «si è andato esaurendo». Con il distacco del socio ordinario Svimez ora ha anche un esponente in meno nel Cda. Consiglio di un’altra era Quest’ultimo infatti è composto in parte da consiglieri designati dagli associati. La Regione Campania, per esempio, è rappresentata dall’assessore regionale Ettore Cinque. L’Abruzzo dal direttore generale della Regione Barbara Morgante. La Calabria ha indicato il capo di gabinetto Luciano Vigna. La Basilicata invece ha scelto l’ex deputato scudocrociato ottantenne Vincenzo Viti. L’Unione degli industriali di Napoli, Paola Russo, responsabile del loro centro studi. Il presidente Giannola può contare poi su 17 consiglieri del Cda: il vicepresidente è Filippo Patroni Griffi, ex ministro e ora al vertice del Consiglio di Stato, ma nella compagine ci sono altri nomi noti. Spiccano l’ex ministro dell’Istruzione Gerardo Bianco, l’ex sottosegretario di Stato ai tempi del Pds Giuseppe Carmine Soriero, l’intellettuale fiorentino Sergio Zoppi (86 anni), l’ex presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta (82), il già ministro del Tesoro ai tempi della svalutazione della lira Piero Barucci (88). L’età media dei consiglieri non deve aver aiutato Svimez nel passaggio all’era digitale: la Corte dei conti ha più volte sollecitato la pubblicazione online delle sue relazioni sui bilanci dell’associazione, ma ancora oggi sul sito di Svimez si trovano solo quelle del 2018 e del 2019. Nemmeno i bilanci sono consultabili. E dopo anni, finalmente, solo nel 2020, Svimez ha deciso di elaborare un rendiconto finanziario, «coprendo una lacuna», affermano i giudici contabili, «e permettendo di compiere analisi sui flussi finanziari che, certamente, si rivelerà utile nel prossimo futuro per le programmazioni accompagnate da impegni di spesa».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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