2018-09-19
«Il basket italiano è alla frutta. E i giocatori Nba non c’entrano»
L'ex campione: «Ci rendiamo conto che siamo alla follia se permettiamo la presenza di due stranieri in C? Il punto non è l'attaccamento alla maglia azzurra di Danilo Gallinari o Marco Belinelli: è tutto il sistema a essere in crisi».Sarà anche vero che ai fini della qualificazione ai mondiali di Cina 2019 lunedì sera contro l'Ungheria contava solo vincere, ma un'Italia del basket così in difficoltà contro un avversario di seconda fascia non lascia presagire niente di buono. La striminzita vittoria (63-69) contro i magiari conferma l'Italia al secondo posto del girone J, valido per ottenere l'agognato pass per i mondiali, ma la tanta fatica, troppa, fatta dagli uomini del ct azzurro Romeo Sacchetti per portare a casa la partita, conferma che la pallacanestro italiana è in crisi. Il nostro movimento cestistico da oltre un ventennio non riesce a tirarsi fuori dalle sabbie mobili di una crisi di risultati che sembra non finire mai. Siamo alle porte dell'ennesimo tentativo di qualificarci direttamente a un mondiale. Non ci riusciamo dal 1998 (nel 2006 ci andammo grazie a una wild card, istituto nel frattempo giustamente abolito). Una crisi paradossale se si pensa che proprio in questi ultimi 20 anni abbiamo visto crescere quattro talenti straordinari, tutti sbarcati nella Nba: Andrea Bargnani, Marco Belinelli, Danilo Gallinari e Luigi Datome. In estate Sacchetti si è ritrovato a confrontarsi con il duo Nba Gallinari-Belinelli. Contrariato il primo, offesi i secondi, il nodo della questione è l'ipotetica mancanza di attaccamento alla maglia azzurra di qualche elemento: «L'onore più grande che ho avuto è stato quello di indossare la maglia della nazionale italiana, ma è anche vero che ai miei tempi c'erano figure e ruoli definiti. Quando Rubini parlava era legge. E nessuno fiatava. Non dimentichiamo però che oggi ci sono leggi, norme e contratti di lavoro totalmente diversi rispetto ai miei tempi». Parole e concetti di Antonello Riva. Una delle autentiche leggende della pallacanestro italiana. Riva è a tutt'oggi il miglior realizzatore della storia della nostra nazionale azzurra (3775 punti, 930 in più del secondo che è Dino Meneghin), un cannoniere implacabile che il 29 ottobre 1987 ha segnato 46 punti in una sola partita contro la Svizzera (record ancora oggi imbattuto) e che ha firmato 4 delle migliori 6 realizzazioni di tutta la storia del basket azzurro. Ha vinto uno scudetto, 3 Coppe delle Coppe, 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa Korac, 1 medaglia d'oro e una d'argento agli Europei di basket. Partiamo da quel nome che ha citato prima. Chi era Cesare Rubini?«Un grande uomo e un grande dirigente della federazione pallacanestro».Avrà letto e visto quanto accaduto nelle recenti settimane. La pallacanestro italiana come sta?«Non credo di offendere nessuno se dico che stiamo messi male. E non lasciatevi fuorviare da Sacchetti oppure dal duo Gallinari-Belinelli, non sono loro il problema. Loro sono le vittime. Il problema è a monte, è il sistema che non va». La federazione?«Non voglio addossare colpe alla Fip ma non ho mai visto un presidente di una squadra che va a discutere con i giocatori. Il presidente dovrebbe stare fuori da tali questioni. Non ho neanche mai visto un allenatore parlare di simili problemi. Ai miei tempi mai e poi mai sarebbero uscite certe cose sui giornali. Confrontarsi così attraverso i giornali è un errore».Si parla di poco attaccamento alla maglia azzurra. «Non concordo. I colori azzurri devono essere imprescindibili, ma so bene che i contratti di lavoro di Belinelli e Gallinari con la Nba non sono pezzi di carta normali. Parliamo di contratti molto chiari e precisi, con milioni di dollari in ballo. Se ne poteva però parlare qualche mese fa e il caso forse non sarebbe mai scoppiato». Il primo fu Bargnani, poi Belinelli, Gallinari, infine Datome: c'è da capire però come mai con quattro assi del genere il nostro basket non si sia più rialzato. «Una nazionale è fatta da 12 campioni, non da quattro, seppur fortissimi. La mia gioia più grande la provai a Nantes, nel 1983, quando vincemmo la medaglia d'oro agli Europei. Bene, in quel periodo in campo c'erano tre, dico tre play che avrebbero potuto giocare 40 minuti. Il partente era Pierluigi Marzorati, però c'era anche Charlie Caglieris che era fortissimo e infine Roberto Brunamonti». Il livello medio del nostro basket si è abbassato?«Oggi guardo le partite e di italiani in campo ne vedo pochissimi e con limitata esperienza internazionale. Come si può crescere in un simile contesto?». Con i settori giovanili?«Certo, ma con le norme attuali, dalle giovanili al basket professionistico i ragazzi non trovano spazio. Ci rendiamo conto che siamo alla follia se permettiamo la presenza di due stranieri in serie C?».Ai suoi tempi non era così?«Assolutamente no. Ai miei tempi un allenatore come Valerio Bianchini vide un ragazzo di 17 anni, il sottoscritto, e lo buttò nel basket che contava. Oggi mi chiedo cosa sarebbe accaduto al giovane Riva».Oggi si cerca solo la vittoria, a scapito della crescita tecnica e comportamentale. C'è un problema culturale?«Sì. Non si lavora sulla crescita dei giovani perché non conviene spendere per un settore giovanile che magari ti regala uno-due prospetti interessanti, quando poi con 30.000 euro puoi comprare un giocatore straniero formato e già pronto per la serie A».È quindi il sistema che non va?«Questi ragazzi che hanno avuto il talento e la forza di andare a giocare nella Nba sono da ammirare. Non è assolutamente facile e scontato quello che hanno fatto».Sacchetti giù dalla torre allora?«Ma scherziamo! Anche lui è una vittima. Me lo ricordo in campo: grande intelligenza tattica unita a un fisico unico. Lo soffrivo da matti, in difesa non mi mollava mai». Cosa fa oggi Antonello Riva?«Sono 5 anni che non lavoro più nel basket. Su intuizione di mia moglie, abbiamo intrapreso un'attività nel network marketing. Ma soprattutto gestiamo il nostro tempo, la cosa più importante di tutte. E poi mi sento spesso con gli amici di una vita, Meneghin e Marzorati». Crede che ce la faremo finalmente a rientrare in un campionato del mondo attraverso la porta principale?«Speriamo. Sarebbe ora di creare una commissione di indubbia esperienza che studi un progetto nuovo e serio. Così com'è, la barca viaggia senza una rotta precisa. E poi si riportino certe personalità ai vertici del movimento, come accade all'estero».
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