2022-09-10
De Rovere (Asfo): «Il 90% delle ditte non ha fondi da parte. Così si compromette il sistema di welfare»
Ira delle imprese: la norma penalizza chi opera nelle Regioni meno virtuose. Confindustria: «Folle battere cassa proprio ora».Palazzo Chigi si è scagliato contro i partiti rei di voler modificare il decreto Aiuti bis. Tanto che il Mef è intervenuto per congelare gli emendamenti, contribuendo a far slittare il voto d’Aula a giovedì prossimo. Sempre che non slitti ulteriormente. Eppure i partiti avrebbero fatto bene ad alzare la paletta e sfilare almeno un articolo dal testo originale. Parliamo dell’articolo 18 (Accelerazione delle procedure di ripiano per il superamento del tetto di spesa per i dispositivi medici e dei tetti di spesa farmaceutici), che contiene una serie di misure relative al ripiano e al superamento del tetto di spesa per i dispositivi medici per gli anni che vanno dal 2015 al 2018 (inclusi). In pratica, il ministero della Salute e quello dell’Economia hanno deciso di intervenire a posteriori per «sanare» la procedure del payback per le oltre 4.000 aziende che si occupano di dispositivi medicali. La norma non è mai stata definita fino ad oggi e teoricamente dovrebbe prevedere un prelievo sul fatturato delle aziende e in base alla quota di mercato nel momento in cui le singole Regioni vadano a consuntivo delle spese e finiscano con lo sforare il budget previsto. A oggi avviene per il comparto del farmaco, ma in modo regolato e bilanciato. Il prelievo può essere mitigato da nuovi listini per l’anno successivo. «In questo caso, invece, la norma del decreto», spiega alla Verità il presidente di Asfo sanità Lombardia, Federico De Rovere, andrebbe a chiedere alle aziende del comparto una tassa sul fatturato pari pari al 50% delle spese in eccesso in base soltanto a criteri rigidi e fino a oggi non prevedibili. Il comparto si troverebbe a restituire in tre anni oltre 2 miliardi e nel quinquennio 3,6 miliardi. Verrebbero per di più», prosegue, «penalizzate aziende che lavorano con le Regioni meno attente alle spese senza alcun criterio civilistico e rispetto dei bilanci». Il caso della Toscana è emblematico. Nel quinquennio 2015/2020 la Regione guidata da Eugenio Giani si troverà a chiedere ben 600 milioni. L’impresa che da sola ha una quota di mercato dell’1% si troverà a pagare 6 milioni di euro in 5 anni indipendentemente dai margini che ha ottenuto e dagli utili. Al contrario una azienda di pari stazza che si trova a operare in Lombardia e ha la medesima quota di mercato si troverà a versare una tassa di payback di «soli» 70.000 euro. Per il semplice fatto che la Regione guidata da Attilio Fontana ha un disavanzo minuscolo, di circa 7 milioni. «Siamo di fronte a un problema enorme», prosegue De Rovere, «il 90% delle piccole aziende (che sono circa l’80% del totale) non hanno accantonato riserve. Si troveranno a rivedere bilanci vecchi e a dover scegliere tra bollette, nuovi margini o pagare le extra tasse. A rischio è l’innovazione e soprattutto il welfare». L’ulteriore paradosso è che le aziende del comparto che va dalle protesi ai cerotti fino ai guanti in lattice già sta facendo fronte ai rincari dei fornitori e se il decreto Aiuti bis passerà così come ideato nell’articolo 18 e quindi da Roberto Speranza e Daniele Franco si troverà sotto una sorta di ricatto. Se al secondo sollecito le imprese non verseranno il payback, la Regione, che in pratica fa da sostituto d’imposta, detrarrà l’importo dalle commesse in atto. «E noi per legge abbiamo l’obbligo di portare a termine tutte le commesse senza poterle rinegoziare», conclude De Rovere. Anche Confindustria Dispositivi medici è decisamente perplessa. «Pandemia, guerra, crisi energetica e delle materie prime stanno lasciando il nostro comparto in forte sofferenza. A questi vanno purtroppo aggiunti sistemi di tassazione specifici per il settore, come il payback contenuto nell’Aiuti bis, che dovrebbe appunto aiutare le imprese e non metterle in difficoltà chiedendo al comparto di pagare un tributo di oltre 2 miliardi. Si tratta di un provvedimento», fanno sapere dall’associazione di categoria, «che grava sulle imprese in un momento già drammatico per la nostra economia. Non si può pensare che ci sono delle gare in cui vengono definiti prezzi e quantità e poi dopo anni viene richiesta una contribuzione del 50% dello sforamento della spesa regionale, di cui le aziende non hanno responsabilità». Il comparto ha effettivamente dimostrato, durante la pandemia, di essere fondamentale. «Non dobbiamo dimenticare che produciamo salute e non possiamo permetterci di interrompere un pubblico servizio con il rischio di lasciare le strutture sanitarie senza gli strumenti per curare i cittadini», tengono a precisare dall’associazione. Il punto è però dolente. Se è vero che da anni non si affronta la norma del payback, è altrettanto assurdo metterci mano adesso, per tappare le spese delle pandemia, rivalendosi su aziende che creano posti di lavoro. Le stesse aziende celebrate durante il Covid assieme agli «eroi delle corsie». Sarebbe il caso, prima del 15 settembre, che qualche partito si faccia carico del problema e Speranza ci metta la faccia, spiegando come tappa i buchi di bilancio, storpiando la Costituzione e tutti i criteri alla base dei bilanci aziendali.
Charlie Kirk (Getty Images)