
Sotto il monopolio dell'Anpi, i comunisti hanno trasformato la Liberazione nella festa degli antifascisti della Repubblica. Con la casacca però di un colore solo. Cancellando i combattenti e i martiri cristiani che si sono sacrificati contro i nazifascisti.C'è una domanda che in quasi ottant'anni di storia, influenzata dal termometro dei revisionismi o delle contrapposizioni violente, delle fantomatiche pacificazioni nazionali fino ai presunti fantasmi del fascismo tornati ad alimentare le turbolenze della politica, c'è una domanda, dicevo, che non ha mai trovato una risposta, forse anche perché mai è stata posta con la volontà di fare chiarezza. La domanda è questa: perché il ruolo dei cattolici nella Resistenza armata è stato trascurato e si è confuso, quasi nascosto, nella retorica resistenziale della sinistra e del Pci? Perché si celebrano i partigiani comunisti e mai con la stessa forza i combattenti e i martiri cristiani? Perché è stata lasciata all'Anpi la tribuna culturale dalla quale raccontare una guerra di liberazione in esclusiva e sistematicamente politicizzata? Ai cattolici, soprattutto a sacerdoti, suore, vescovi, viene concesso il merito di aver salvato decine di migliaia di ebrei; però si riserva sempre un'attenzione distratta a chi ha combattuto con un mitra in mano contro i nazisti, e ai tanti morti che non avevano in tasca una tessera con la falce e martello ma un crocifisso o un cartoncino con l'effige di un santo. La Storia dovrà riconoscere ai partigiani cristiani che hanno combattuto e a quelli che sono morti nella guerra di Liberazione, lo stesso stato di eroismo che ha elevato agli altari laici i martiri militanti nelle formazioni comuniste. La Resistenza non è un monopolio dell'Anpi; è finito il tempo in cui i compagni hanno potuto affermare la loro egemonia culturale, tesa ad appropriarsi degli ideali del movimento armato, ignorando o emarginando l'apporto di tutti gli altri. Oggi non si può nascondere Giustizia e libertà, la formazione liberal socialista di Carlo Rosselli, non si può dire che Ferruccio Parri era comunista, e non si può ignorare che fu Paolo Emilio Taviani, poi pluriministro democristiano, a ricevere la resa dei tedeschi. A sinistra hanno presidiato la memoria della Resistenza finché hanno potuto. Operazione politica che ha consentito così di trapiantarvi le radici del comunismo che, poi si è visto, portava con sé un altro regime totalitario. Antifascismo e Resistenza sono stati la faccia democratica con la quale è stato possibile travisare la vera identità dell'ideologia aberrante contenuta nel marxismo.Certo, viene da chiedersi anche perché la Dc, si sia sottratta per decenni all'affermazione di una verità storica che la affrancasse dal ruolo marginale di comparsa, e in quarant'anni non abbia mai enfatizzato la sua partecipazione armata alla guerra di Liberazione, pur avendo pagato un tributo altissimo. Gli storici riconducono questa scelta alla strategia politica dello scudocrociato, che era attento a non alienarsi le simpatie di molti post fascisti, quelli schierati ufficialmente con il Msi, e anche quelli che, dall'interno del partito, guardavano con benevolenza verso la destra. Lo stesso Alcide De Gasperi fu attento a non entrare in conflitto con il Vaticano, che premeva per un'alleanza con il Msi, che lui stesso voleva evitare. Fatto sta che, se si escludono alcuni episodi, per decenni nessuno ha spinto una certa sinistra a condividere la bandiera della Resistenza. Generazioni di giovani, soprattutto in quella parte dell'Italia centrale egemonizzata dal Pci, sono cresciuti convinti che la guerra per la Liberazione avesse un colore solo. E che gli altri si fossero accodati agli eroi a cui erano intitolati strade e piazze in tutte le città. Oggi è il momento di ricomporre un mosaico completo, e smettere di raccontare una verità parziale. Nella stessa Toscana dove per decenni la Liberazione ha sventolato in prevalenza vessilli rossi, qualcosa sta cambiando, tanto che al vertice dell'Istituto storico della Resistenza, qualche settimana fa è stato eletto per la prima volta un cattolico, Giuseppe Matulli, democristiano di lungo corso. Si presume una svolta. Non scontata. Perché appena otto anni fa, nell'agosto 2011, l'allora sindaco Matteo Renzi fu contestato dall'Anpi proprio per aver chiamato l'arcivescovo emerito di Firenze, Silvano Piovanelli come unico oratore, a celebrare la Liberazione della città in Palazzo Vecchio. Fu considerata un'usurpazione, un'occupazione abusiva, laddove i sindaci, ovviamente provenienti dal Pci, avevano riservato la ribalta a oratori graditi all'Associazione dei partigiani. Nella polemica che ne scaturì, Piovanelli ricordò quanti preti antifascisti e antinazisti, subirono le angherie dei comunisti alla fine della Seconda guerra mondiale. Temi che fino ad allora era quasi impossibile toccare: un terreno inesplorabile. Così nel 2006, un episodio simile successe a Milano, dove il candidato sindaco del centrodestra, Letizia Moratti, fu costretta ad abbandonare il corteo del 25 aprile, perché investita da fischi e insulti. E con lei il padre Paolo Brichetto, ex partigiano, deportato a Dachau ma, evidentemente, non degno del medesimo rispetto portato verso altre presenze omologate al pensiero unico. I comunisti hanno trasformato il 25 aprile dalla festa della Repubblica dell'antifascismo nella festa degli antifascisti della Repubblica. Dove però gli antifascisti indossavano solo una casacca. Dimenticando gli altri. Come se Enrico Mattei non avesse combattuto la stessa guerra da vicecomandante generale del corpo volontari della libertà. All'inizio degli anni Cinquanta, sindaco Giorgio La Pira, proprio Mattei organizzò a Firenze un raduno dei partigiani cristiani, al quale parteciparono oltre 30.000 ex combattenti della Resistenza. O come se Eugenio Cefis e Giovanni Marcora non fossero stati comandanti partigiani del nord Italia. Stesso grado di Ermanno Gorrieri, comandante della repubblica partigiana di Montefiorino, poi deputato e ministro per la Dc. Accanto a tante altre vite spezzate dai nazifascisti, andrebbe raccontata quella dei fratelli Antonio e Alfredo Di Dio, partigiani cristiani, uccisi vicino a Novara in seguito a un rastrellamento, nel quale era implicato anche Dario Fo, che militava fra i paracadutisti della Rsi. A Firenze, Mauro Sbrilli, medaglia d'oro al valor militare, fu fucilato dai tedeschi. Adone Zoli, che sarà anche presidente del Consiglio, venne imprigionato a Villa Triste, nelle mani della famigerata banda fascista dei fratelli Carità, dove fu torturato insieme al figlio Giancarlo, che farà l'assessore con La Pira e poi il sindaco di Firenze. Non possiamo certo qui recuperare il tempo perduto e tutti i nomi rimasti scolpiti solo su una lapide di un cimitero di provincia, ma almeno riesumare la memoria di storie e personaggi ingiustamente tralasciati dalla storiografia ideologicamente schierata. Altri preti come don Primo Mazzolari, che era parroco nel Cremonese, padre Davide Maria Turoldo, che fu un punto di riferimento dell'opposizione cattolica al nazifascismo. E quanti conoscono il sacrificio di don Giuseppe Morosini, ucciso a Forte Brunetta a Roma dalla Gestapo, che l'aveva sorpreso con armi e munizioni per i partigiani? Insieme alla figura di don Pietro Pappagallo, trucidato alle Fosse Ardeatine, ispirarono il film Roma città aperta di Roberto Rossellini, interpretato da Aldo Fabrizi con Anna Magnani. Un quadro, come si vede, assai diverso da quello narrato per decenni dai cantori della Resistenza comunista. Che hanno nascosto per esempio la strage di Porzus, in Friuli, dove il comando della divisione della Brigata Osoppo, prevalentemente cattolica, composta anche da combattenti liberali e socialisti, fu sterminata dai partigiani del Pci, agli ordini di Tito, perché si opponeva all'annessione del Friuli alla Jugoslavia dopo la cacciata dei tedeschi. Fra le vittime caddero Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, e Francesco De Gregori, omonimo e zio del cantante. C'è una celebre lettera che Guido scrive a Pier Paolo, nella quale gli spiega i motivi per i quali, qualche giorno dopo, pagherà con la vita. Si conclude così: «Molti partigiani piangono di rabbia perché non vogliono sostituire la stella rossa alla stella tricolore. La nostra parola d'ordine per ora è di rispondere a una sleale propaganda antitaliana con una propaganda più convincente». Non la pensavano cosi i compagni della brigata Garibaldi, filo jugoslavi, che per questo non si fecero scrupolo di ammazzare i connazionali che pure lottavano contro lo stesso nemico. Tante storie note ma rimaste ai margini: troppo scomode, avrebbero potuto disturbare la narrazione predominante. Perciò quel periodo è ancora disseminato di angoli bui, come quello che ho provato a raccontare, sui quali non sono bastati 80 anni per fare piena luce e scoprire gli ideali non le ideologie. Quante generazioni dovremo ancora aspettare?
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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