2025-02-13
Quei poeti «punk» che criticavano l’Italia post unitaria
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Ulisse Barbieri e Giovanni Antonelli
Dopo le tante speranze suscitate dal Risorgimento, il nuovo Stato suscitò delusione e irritazione in tutta una generazione di scrittori scapigliati e libertari.L’Italia, patria dei punk. Detta così, l’affermazione può spiazzare. Eppure l’affermazione di una sottocultura giovanile a artistica contestataria, a tratti nichilista, ha nel nostro Paese origini antiche. Addirittura, risalenti al periodo immediatamente successivo all’unità nazionale, quando molte delle aspettative delle nuove generazioni andarono tradite e la realtà prosaica della nuova Italia si rivelò ben deludente. Un quadro esaustivo di questa temperie la si può ricavare dalla bella antologia curata diversi anni fa da Giuseppe Iannaccone: Petrolio e assenzio. La ribellione in versi: 1870-1900 (Salerno editrice).«La letteratura impegnata e ribelle del secondo Ottocento», spiega il curatore, «annovera in Italia una nutrita schiera di poeti, di cui non è rimasta quasi traccia nelle storie e nei manuali letterari. Eppure raramente l'esercizio della scrittura in versi ha espresso caratteri tanto vistosamente collettivi da rendere impossibile un regesto esaustivo di quella rovente produzione di umori e risentimenti riversati sulla pagina. La tradizione di protesta civile nelle lettere italiane è antica e consolidata, ma non aveva mai assunto in precedenza lo spessore e la consistenza di un fenomeno generazionale come invece accadde nei primissimi decenni dell'Italia unita, segnati da un aggressiva conflittualità intellettuale ed è un diffuso sentimento di inquietudine»I protagonisti di questa stagione sono militanti risorgimentalisti, ex combattenti, ma a volte anche spostati, spiriti liberi, artisti più o meno falliti. Troviamo così uno Stanislao Alberici-Giannini, un Eliodoro Lombardi, un Domenico Milelli, un Luigi Morandi, un Vittor Luigi Paladini che vengono dritti dritti dalla militanza garibaldina. E se Ulisse Barbieri conobbe il carcere a 16 anni per aver affisso manifesti patriottici, Pompeo Bettini, Pietro Gori, Carlo Monticelli e lo stesso Turati saranno in prima fila nelle agitazioni socialiste, sindacali e anarchiche. Giovanni Antonelli, dal canto suo, farà per tutta la vita la spola tra manicomi e carceri, mentre la «poetessa del quarto stato» Ada Negri, dopo una vita a cantare gli umili, diventerà la prima donna membro dell’Accademia d’Italia per volere dell’amico Benito Mussolini.In tutta la produzione letteraria del periodo post-unitario domina un’insofferenza feroce verso le aspettative tradite dal nuovo Stato, e spesso a vergare versi di fuoco sono proprio coloro che avevano impugnato le armi in nome dell’Italia. Una ventata di contestazione scuote la cultura italiana, contro «chi aveva completato l’unità, ignorando ogni istanza sociale pur di risanare il bilancio del nuovo Stato», scrive Iannaccone. Che aggiunge: «Cominciò a palesarsi da subito una profonda scollatura tra l’Italia dei funzionari e degli impiegati piemontesi e quella di milioni di persone escluse dalla legittimazione costituzionale e costrette a subire vessazioni fiscali, coscrizioni e intollerabili patti di lavoro».Su questo stato di cose si abbatteranno i versi rabbiosi di Stanislao Alberici-Giannini, che pure era stato combattente garibaldino a Mentana («i vigliacchi ci han rubato / il sudor de’ nostri padri»); quelli di Vittor Luigi Paladini, volontario con Garibaldi in Trentino («il frutto che produce / il suol, fecondo pel travaglio nostro, / nel bacio della luce, / o signori inumani, è tutto vostro»); quelli contro le avventure coloniali di Ulisse Barbieri («No, non è patriottismo, no, per Dio!!! / Al massacro mandar nuovi soldati») e molti altri.Persino il vate del Risorgimento stesso, il ben più celebre Giosuè Carducci, polemizzerà con la timidezza della nuova classe dirigente nel suo satirico Canto dell’Italia che va in Campidoglio, in cui attaccherà il primo ministro Giovanni Lanza, timoroso di realizzare il sogno di Roma capitale, con l’Italia ritratta mentre si affaccia di notte sul Campidoglio e prega le oche di non attirare l’attenzione del segretario di Stato pontificio, cardinale Antonelli: «Zitte, zitte! Che è questo frastuono / al lume della luna? / Oche del Campidoglio, zitte! Io sono / l’Italia grande e una. / Vengo di notte perché il dottor Lanza / teme i colpi di sole: / ei vuol tener la debita osservanza / in certi passi, e vuole / che non si sbracci in Roma da signore / oltre certi cancelli: / deh, non fate, oche mie, tanto rumore, / che non senta Antonelli».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco