2019-12-18
I tedeschi hanno già pronto il piano per il commissariamento dell’Italia
Il quotidiano «Handelsblatt» parla di un accordo per imporci le riforme care all'Ue.Complice l'imbarazzante teatrino messo in scena dalla maggioranza in occasione della discussione della legge di bilancio, anche oltreconfine si sono resi conto che l'esecutivo giallorosso è ormai alla frutta. E nel timore che il governo «amico» duri meno di quanto preventivato alla fine della scorsa estate, i nostri partner europei iniziano a battere cassa.Le tensioni interne ai tre principali azionisti dell'esecutivo guidato da Giuseppe Conte - Partito democratico, Movimento 5 stelle e Italia viva - si fanno sempre più forti, e dall'estero iniziano infatti a fare capolino i primi «fate presto». Finché Giuseppi resiste al timone e il (notoriamente eurofedelissimo) ministro dell'Economia Roberto Gualtieri saldamente al suo fianco, Bruxelles sa di non avere nulla da temere. Ma cosa succederebbe se nel prossimo futuro Matteo Renzi decidesse di far saltare il banco, oppure i mal di pancia interni ai pentastellati si trasformassero in qualcosa di più concreto? Eventualità che, visti i tempi che corrono, oggi come oggi nessuno si sente di escludere.Una possibile risposta a questa domanda è contenuta in un editoriale pubblicato ieri sul prestigioso quotidiano economico Handelsblatt (una sorta di Sole 24 Ore tedesco). La firma in calce è quella del professor Harald Benink, stimato economista e docente di banche e finanza presso l'università olandese di Tilburg. Dimenticate per un attimo il blasone della testata che ospita il contributo, e il linguaggio volutamente affettato dell'accademico: la proposta lanciata da Benink è scioccante e provocatoria. «Gli ultimi mesi sono stati molto turbolenti nella politica italiana», esordisce l'economista, «un nuovo governo senza la Lega di Matteo Salvini è stato formato, ma la stabilità politica potrebbe non durare a lungo». Un po' come dire: ci siamo liberati del fastidioso populista, ma non è detto che il piano vada come sperato. Facendo sua una chiave interpretativa relativamente comune, il docente sostiene che le «dinamiche negative» in atto in Europa, dalla Brexit all'insorgere di una possibile imminente crisi finanziaria, diventano benzina sul fuoco in grado di alimentare l'ascesa delle forze populiste italiane. La storica ritrosia nostrana ad attuare le fantomatiche «riforme strutturali» e le «politiche monetarie inadeguate dell'Ue e della Bce» sono solo la ciliegina sulla torta. Che fare dunque? «È giunto il momento di stipulare un grande accordo tra l'Italia e l'Ue al fine di migliorare la situazione politica», scrive Benink. E in cosa consisterebbe questo vantaggiosissimo affare? La proposta è quella di concordare «un piano d'azione economico e politico per i prossimi cinque anni, che colleghi un'agenda dettagliata per le riforme economiche strutturali con i potenziali investimenti europei». Se non fosse già abbastanza chiaro, l'accademico precisa ancora meglio i termini della questione. «L'idea di base consiste nel prevedere passi concreti nella legislazione e nell'attuazione delle riforme per ciascuno dei cinque anni», alla fine di ciascuno dei quali «viene verificato se l'Italia ha attuato le riforme concordate».Se così fosse, Roma potrebbe essere «premiata con ingenti investimenti europei», secondo una logica che lo stesso Benink definisce della «carota e del bastone». Si tratterebbe, in barba al fastidioso (si fa per dire) problema della democrazia, di un cappio sempre penzolante e in bella vista a prescindere dal governo in carica. L'ennesimo «pizzino», senza peraltro alcun fondamento giuridico, recapitato dai nostri «amici» europei.