
Gli sfottò dei dirigenti della Germania verso la panchina svedese dopo il gol di Toni Kroos hanno vari precedenti. Deutschland über alles anche per spocchia ai danni dei vinti.Il signor Janne Andersson è un boia gentile e a 12 secondi dalla fine stava compiendo la sua terza esecuzione in carriera, quella che l'avrebbe fatto entrare nella leggenda. Dopo aver ghigliottinato l'Italia a San Siro e Zlatan Ibrahimovic (il più forte calciatore svedese della storia) che pretendeva di tornare in nazionale per la passerella mondiale, il ct della Svezia aveva di fronte la Maria Antonietta di tutte le squadre: la Germania. Possente, invincibile, mai eliminata nei gironi, anche se non riusciva a schiodarsi dal pareggio. Ma a 12 secondi dallo scoccare del novantacinquesimo minuto Toni Kroos ha tirato la punizione perfetta, il destino è cambiato, i tedeschi sono tornati über alles. E il gentile Janne è scattato in piedi dalla panchina, furente, neanche fosse Antonio Conte. Stava forse protestando con l'arbitro per quel rigore negato? Impossibile, è uno svedese. Stava forse prendendosela con qualcuno dei suoi? Impossibile, la gente educata come lui non lo fa mai in pubblico. Dopo la festicciola dei giocatori negli spogliatoi di San Siro, la notte dell'eliminazione dell'Italia, lo si è visto mentre rimetteva ordine nella stanza come uno zio condiscendente e saggio. E allora perché tutta quella indignazione mediterranea? Andersson era arrabbiatissimo con i dirigenti tedeschi Georg Behlau, Uli Voigt, Oliver Bierhoff (pure lui) che al fischio finale avevano provocato i suoi collaboratori. Ed era ancora più contrariato perché i giocatori germanici sfottevano i suoi, usciti sconfitti da quella battaglia. Roba da asilo Mariuccia, rissa senza senso, immagini che avrebbero fatto il giro del mondo raccontando la faccia antipatica del Mondiale. Emil Forsberg, svedese che gioca in Germania nel Lipsia, ha riassunto la storiaccia: «Un comportamento schifoso, ci hanno mancato di rispetto». Lo stesso Janne ha commentato: «Bisognerebbe rispettare l'avversario con cui si è combattuto per 95 minuti». La Germania ha salvato la pelle, ha confermato di avere una forza mentale mostruosa e, ora che ha visto il baratro, sarà più tosta che mai. La Germania ha salvato la pelle, non la faccia. E la federazione si è sentita in dovere di chiedere scusa su Twitter: «È stata una partita emozionante. Alla fine alcune manifestazioni di gioia rivolte alla panchina svedese sono state eccessive. Ci siamo scusati con loro. Non è questo il nostro stile».Dirlo non basta, visto che non è la prima volta che i tedeschi dimostrano di non saper vincere. In tutti i campi, l'über alles dà loro alla testa. Viaggiano con surplus economico a doppia cifra? Certo, e festeggiano infischiandosene dei parametri europei. Hanno l'euro più forte di tutti? Certo, per questo stanno rompendo l'anima da due anni a Mario Draghi per costringerlo a chiudere il quantitative easing, che riequilibra le due velocità. È una Germania che predica il «soft power», ma non ce la fa a soffocare l'arroganza, nella diplomazia come nel calcio. Soprattutto se nel torneo manca l'Italia, l'unica nazionale davanti alla quale il cingolato Mannshaft soffre di complesso di inferiorità. Lo stile si nota nei festeggiamenti, nei momenti in cui è fondamentale riconoscere l'esistenza dell'altro. Anzi dello sconfitto. Ciò che è accaduto a Sochi non è per niente inedito. Tutti ricordano la coda antipatica dell'ultimo Mondiale in Brasile, quattro anni fa, vinto da tedeschi contro Leo Messi e Gonzalo Higuaín . Durante le celebrazioni a Berlino, davanti alla Porta di Brandeburgo, sei campioni del mondo (Toni Kroos, Mario Götze, Miroslav Klose, André Schürrle, Roman Weidenfeller, Shkodran Mustafi) si esibirono in una imbarazzante «Gaucho dance». Camminarono piegati cantando: «Così camminano gli argentini». Poi, alzatisi in piedi, continuarono: «Così camminano i tedeschi». Un ballo irridente, da totale assenza di umorismo, che innescò le proteste dei sudamericani e annacquò gli elogi nei confronti di una Germania multiculturale, moderna, lontana anni luce dai vecchi stereotipi da cabaret. A Buenos Aires la presero malissimo. I giornali ufficiali scrissero: «Loro si sentono una razza diversa». Hugo Morales, il telecronista più famoso d'Argentina, quello che accompagnò con il suo grido la serpentina di Diego Maradona contro l'Inghilterra fino al gol del secolo, andò oltre: «Sono nazisti schifosi, parte di quel paese è ancora molto malato». Esagerazione per esagerazione. Anche allora partirono imbarazzate scuse ufficiali, sulla spinta di qualche editoriale scorticante. La Frankfurter Allgemeine Zeitung parlò di «gigantesco autogol». Ma il commento più feroce fu quello del Tagesspiegel: «La modestia tedesca è sparita nel momento del trionfo. La loro gioia non basta, provano piacere nel far soffrire i già tristi vinti. Non avevano cattive intenzioni, ma hanno dimostrato che nel calcio non ci sono solo i cretini, ma anche i cretini mondiali». Festeggiare in modo esagerato porta pure male. L'anno scorso Nicolai Müller dell'Amburgo fece una piroetta sgangherata dopo un gol all'Augsburg e si distrusse il crociato anteriore del ginocchio: sette mesi di assenza dai campi. Sempre in Bundesliga, Pierre-Emerick Aubameyang del Borussia Dortmund festeggiò una rete allo Schalke 04 infilandosi una maschera della Nike. Poiché il club è sponsorizzato dalla Puma, si vide arrivare una multa di 50.000 euro. Difesa del centravanti imbarazzato: «Volevo solo essere spiritoso».
Lo ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto, a margine della conferenza stampa sul Transport Package, riguardo al piano di rinnovamento dei collegamenti ad alta velocità nell'Unione Europea.
Mario Venditti (Ansa)
Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.
L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.






