
Inizia oggi la nuova rubrica dello scrittore Paolo Nori, che ogni settimana descriverà la vita quotidiana filtrata attraverso i libri. E viceversa: per comprendere Il Dottor Zivago a lui sono serviti 77 giorni di ospedale.L'altro giorno sono andato a Carpi e, nel cortile di Palazzo Pio, con Pierluigi Senatore abbiamo presentato un libro che è appena uscito. Era una bella serata, c'era tanta gente, in una pazza incantevole, mi presentava un mio amico e eran dei mesi che io non facevo una cosa che mi piace moltissimo, parlare in pubblico, e quella sera ricominciavo, e poco prima di salire sul palco ho pensato a un libro, e lo sono andato a cercare sul mio sito e ho trovato il pezzo che mi interessava, che è questo qua: «Quando sono tornato a casa dalla seconda guerra mondiale, mio zio Dan mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto: “Adesso sei un uomo". E io l'ho ammazzato. No, non l'ho ammazzato per davvero, ma mi è venuta una gran voglia di farlo. Dan era il mio zio stronzo, quello che diceva che un uomo non è mai un vero uomo finché non è stato in guerra. Ma avevo anche uno zio buono, Alex, che adesso non c'è più. Era il fratello minore di mio padre: laureato ad Harvard, senza figli, abitava a Indianapolis ed era un onesto impiegato di una compagnia di assicurazioni. Era un uomo colto e saggio. E la cosa che più rimproverava agli altri esseri umani era che si rendevano troppo raramente conto della loro stessa felicità. Perciò, quando d'estate stavamo seduti sotto un melo a bere limonata, parlando del più e del meno, quasi ronzando come api, zio Alex all'improvviso interrompeva quelle piacevoli quattro chiacchiere per esclamare: “Ah, questa sì che è vita!". E così io oggi faccio lo stesso, e lo stesso fanno i miei figli e i miei nipoti. E invito anche voi a rendervi conto dei momenti di felicità e a esclamare, mormorare o pensare fra voi, a un certo punto: “Ah, questa sì che è vita!"».«Ecco», ho detto, l'altro giorno a Carpi,« io adesso, poi magari la presentazione verrà malissimo, ma io, adesso, sono proprio contento», ho detto.Una mia amica il giorno dopo mi ha scritto, mi ha chiesto chi era l'autore russo che avevo citato all'inizio, io le ho risposto che non era russo, era americano, si chiama Kurt Vonnegut (e il libro Un uomo senza patria, nella traduzione di Martina Testa).Di solito, quando mi succede qualcosa che mi sembra significativo, lo collego a un libro che ho letto, perché, per me, la letteratura, che, come si sa, in generale, non serve a niente, per me è uno strumento per pensare, o per capire quello che penso, direbbe forse un altro scrittore non russo, emiliano, che si chiama Luigi Malerba. Quando vado in Russia, per esempio, cosa che, per fortuna, mi succede un paio di volte l'anno, una delle prime cose che faccio è guardare per aria e ripetermi nella testa una poesia, molto breve, di Velimir Chlebnikov: «Poco, mi serve,/una crosta di pane,/un ditale di latte,/e questo cielo,/e queste nuvole». O quando, nella mia testa, penso a Francesca, la mamma di mia figlia, la collego all'inizio di un'altra poesia di Chlebnikov: «Le ragazze/quelle che camminano/con stivali di occhi neri/sui fiori del mio cuore». O, quando mi capita di avere a che fare con qualcuno che mi sembra non sappia fare il suo mestiere, è facile che pensi all'opera numero 138 delle Opere complete di Learco Pignagnoli, di Daniele Benati, che fa così: «Opera n. 138. I figli dei notai che diventano notai, degli attori che diventano attori, dei musicisti che diventano musicisti, dei giornalisti che diventano giornalisti, degli industriali che diventano industriali, dei dottori che diventano dottori, degli architetti che diventano architetti, degli avvocati che diventano avvocati, degli ingegneri che diventano ingegneri. Ma andatevela a prendere nel culo».Delle volte, succede il contrario, un'esperienza mi aiuta a capire una cosa che ho letto tempo prima. Mi è successo così con Il Dottor Zivago, di Boris Pasternàk. Ecco, io, Il Dottor Zivago, l'ho letto, ma devo dire che non è stato, per me, un romanzo memorabile. Mi sembra che Pasternàk sia un grande poeta, ma con il suo romanzo, io, devo dire, faccio fatica. L'unica cosa che mi suona, del Dottor Zivago, sono le prime pagine e le ultime, dove ci son le poesie, le ultime, e in particolare la prima poesia, che nella finzione è una poesia di Zivago, nella realtà è una poesia di Pasternàk che si intitola Amleto e il cui ultimo verso dice: «Vivere una vita non è attraversare un campo» (la traduzione è di Pietro Zveteremich).Che a me è sempre sembrato un finale grandioso, che però ha incrociato la mia biografia solo nel 1999, quando avevo già 36 anni. Allora io, nel 1999, ero in ospedale, mi ero ustionato, mi mancava un terzo della pelle, al posto della pelle avevo la carne viva, e ci sarei rimasto 77 giorni di seguito, e avrei fatto sette operazioni, e è stato il periodo più doloroso della mia vita, soprattutto i primi 30 giorni, che tutti i giorni mi dovevano sbendare e ribendare, per lavarmi, e le bende, che nella notte, con il sangue e col pus, si erano attaccate, a staccarle facevano un male che io non ho mai provato un male del genere nella mia vita, e solo a pensarci, a quel male lì, io mi commuovo. Sono stati, quei giorni lì in ospedale, il periodo più difficile della mia vita, fino a adesso. È stato il periodo che ho conosciuto la morfina, e devo dire mi piace moltissimo, la morfina, ho scoperto, sono così simpatico, subito dopo che mi hanno iniettato una dose di morfina, sono così curioso del mondo, ma, a parte la parte della morfina, quel periodo lì, quel male lì, che c'era tutti i giorni, che mi veniva da strapparmi i capelli, anche con la morfina, e che quando passava io sapevo benissimo che il giorno dopo sarebbe ritornato, io tutti i giorni mi ripetevo: «Vivere una vita non è attraversare un campo, vivere una vita non è attraversare un campo, vivere una vita non è attraversare un campo», e quel verso lì di Pasternàk mi è sembrato di capirlo solo allora. E allora? direte forse voi. Allora io quest'estate vorrei provare, una volta a settimana, a fare una cosa del genere, a decifrare una cosa che succede attraverso la letteratura (russa, prevalentemente, ma non necessariamente). Cominciamo la prossima settimana e parliamo delle statue che cadono, probabilmente. (1. Continua)
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
True
Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





