
Si aggrava la posizione di Francesco Bonifazi nell'inchiesta su Luca Parnasi. Per i giudici va chiarita la natura di un contratto da 150.000 euro.Si avvicina il giorno del giudizio per i tesorieri o ex tesorieri di Lega e Pd (quello dei dem, Francesco Bonifazi, è appena stato sollevato dall'incarico). Giulio Centemero, l'esperto di conti di Matteo Salvini, e il suo ex collega Bonifazi sono accusati di finanziamento illecito per i soldi ricevuti dall'associazione Più voci (a cui venne destinata un'erogazione liberale di 250.000 euro nel biennio 2015-2016) e dalla fondazione Eyu (150.000 euro per uno studio immobiliare), dall'imprenditore romano Luca Parnasi. Ieri Centemero avrebbe dovuto essere ascoltato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dalla pm Barbara Zuin, ma ha preferito rinviare l'appuntamento. I motivi sono stati illustrati dal suo legale Roberto Zingari: «Pur essendo pronto a fornire ogni chiarimento in merito ai fatti addebitati, il mio assistito ha ritenuto opportuno non sottoporsi all'interrogatorio atteso che per le medesime condotte sta procedendo la procura della Repubblica di Bergamo (città dove ha sede la fondazione Più voci, ndr) presso la quale è stata già depositata un'ampia memoria difensiva in cui è cristallizzata la ricostruzione dei fatti del dott. Centemero. La difesa ritiene, infatti, che sia necessario un chiarimento in merito a quale sia la procura competente a procedere prima di far sottoporre il proprio assistito ad interrogatorio».Bonifazi invece non è ancora stato convocato dagli inquirenti capitolini e forse non lo sarà in questa fase istruttoria. La sua posizione si è complicata, visto che nei suoi confronti, all'accusa di finanziamento illecito, si è aggiunta un'ulteriore ipotesi di reato, quella di false fatturazioni, in particolare quella da 150.000 euro emessa il 22 febbraio 2018 da Eyu alla «spettabile immobiliare Pentapigna srl» di Parnasi.I carabinieri del nucleo investigativo di Roma avevano intercettato una conversazione tra il commercialista di Parnasi, Gianluca Talone, e il responsabile delle relazioni esterne e Domenico Petrolo, fundraising di Eyu. Nelle conversazioni registrate si parla di due contratti da approntare, uno da 150.000 euro e un altro da 50.000 e specificano «che in passato era stata utilizzata altra forma, la donazione, nella quale l'Iva non andava calcolata». Nel febbraio 2018 concordano un contratto per uno studio «sul rapporto degli italiani con il concetto di proprietà». La causale, sospettano gli inquirenti, non corrisponderebbe a quella reale. O quanto meno la prestazione sarebbe stata clamorosamente sovrafatturata. A confermare la falsificazione ci sarebbe la conversazione del 27 febbraio 2018, nella quale, si legge in un'informativa dei carabinieri, «Petrolo sollecita il pagamento, affermando che ciò li aiuterebbe molto, trattandosi degli ultimi giorni». E quelli erano proprio gli ultimi giorni della campagna elettorale del 2018.L'ipotesi è dunque che i 150.000 euro elargiti dal costruttore alla fondazione Eyu per uno studio immobiliare, fossero in realtà destinati al partito, ma non iscritti correttamente nei bilanci.Perché si concretizzi il reato di false fatturazioni occorre, però, che ci sia la finalità dell'abbattimento del reddito a fini fiscali. Se non c'è, non c'è reato. Per questo la domanda degli inquirenti è: perché quei soldi sono stati versati a Eyu in quel modo e non in un altro? Il pagamento di 150.000 euro a una fondazione per una presunta prestazione fittizia ha garantito a Parnasi un beneficio fiscale? A quanto ci risulta, la risposta, al momento, sembra orientata verso il sì.Cavilli giuridici a parte, la vicenda ricorda da vicino quella che sta coinvolgendo a Firenze Tiziano Renzi e Laura Bovoli, i quali hanno incassato 195.600 euro presentando uno studio di tre pagine più cinque planimetrie per un progetto che i magistrati fiorentini hanno scoperto non essere mai stato realizzato. Per tale motivo i genitori dell'ex premier e un loro ex socio sono stati rinviati a giudizio. Il caso di Bonifazi è molto simile. Parnasi avrebbe pagato 150.000 euro per uno studio che varrebbe molto di meno. Ma se l'accusa di false fatturazioni sembra la più semplice da contestare, quella di illecito finanziamento potrebbe schiantarsi contro il moloch giuridico che protegge le fondazioni. Possono queste essere considerate un'articolazione di un partito e quindi essere comprese nel perimetro della legge sull'illecito finanziamento? L'orientamento della Procura è quello di non generalizzare e analizzare caso per caso, in modo da verificare se la singola fondazione funga da paravento per un partito o per un singolo politico. Se la fondazione presieduta ancora dall'ex tesoriere renziano Bonifazi, sarà considerata uno schermo, scatterà l'accusa di illecito finanziamento per eventuali erogazioni. Eyu avrebbe avuto numerose connessioni con il Pd e la sua attività di comunicazione. Ma gli inquirenti stanno cercando di accertare se sia un think tank con una reale vita propria. Dal suo sito Internet apprendiamo che l'ultimo numero della rivista Eyu Youth Utopia risale alla seconda metà del 2018. I convegni sono ancora più datati. L'unica attività che non sembra essersi fermata dopo le elezioni del 2018 è stata quella di fundraising, a partire dalla campagna per il 5 per mille.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
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Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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