
Fra i pentastellati monta il disappunto verso Luigi Di Maio: la truppa di Palazzo Madama potrebbe mettere in crisi l'esecutivo nel voto sul decreto Sicurezza bis, che ieri alla Camera è passato con 17 grillini astenuti. Come Sante Gaiardoni, il maestro del surplace: era capace di stare mezz'ora immobile in pista sui pedali per fregare gli avversari allo sprint. Ci vinse due mondiali e due ori olimpici restando fermo in attesa della prima mossa. Matteo Salvini è in surplace: non farà cadere lui il governo, ma farà in modo che accada. Quando? La scadenza potrebbe essere ravvicinata, molto ravvicinata. I giorni di fuoco saranno i prossimi e - come vuole la Costituzione - tutto potrebbe accadere in Paramento. Molto probabilmente al Senato, dove potrebbero palesarsi i mal di pancia dell'ala movimentista del M5s, soprattutto se domani in Val di Susa la contestazione No Tav dovesse avere grande forza d'urto. In queste ore i deputati e i senatori pentastellati sono bersagliati da insulti via social da parte dei No Tav (anche minacce pesanti, su cui la magistratura potrebbe indagare) e l'occasione del decreto Sicurezza bis - che approda al Senato la prossima settimana - potrebbe essere imperdibile per chi, tra i grillini, ha travagli di coscienza, per chi ha deciso di farla pagare a Luigi Di Maio. Il vicepremier grillino i nemici ora li ha in casa. Salvini, confrontandosi con i suoi colonnelli più battaglieri e persuasi del fatto che debba essere la Lega a staccare la spina, ha mandato un messaggio opposto: «Lascio che facciano loro». Certo, non gli sono andate giù le parole del premier, che mercoledì al Senato ha fatto balenare la possibilità di ripresentarsi in quell'aula con una maggioranza diversa, però Salvini sa che Conte ha giocato di sponda. Piuttosto, a infastidirlo è stato l'atteggiamento del presidente del Consiglio: è andato a legittimare con la sua comunicazione ai senatori ciò che la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, aveva già derubricato a gossip giornalistico. «Non c'è nulla e il nulla che c'è è pure troppo» ha sibilato il ministro dell'Interno mentre il premier riferiva del cosiddetto Russiagate. Particolarmente indigesto è il passaggio in cui Conte ha specificato: «Dal ministro competente nulla ci è pervenuto». Ma il capo della Lega sa perfettamente che il presidente del Consiglio aveva la necessità di bilanciare il sì alla Tav agli occhi dei grillini. Dietro la facciata dell'impuntatura, è stato ben lieto di vedere la reazione di parte dei pentastellati. È la garanzia che, se la crisi ci sarà, ad aprirla saranno i dissidenti di Di Maio. A confortare questa tesi è venuto ieri il discorso del «Ventaglio» di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica ha sì ribadito che al «di fuori dell'Europa non c'è futuro» ma ha anche affermato che dal popolo europeo è venuta una forte richiesta di cambiamento e che di fronte alle sfide globali «in un mondo sempre più condizionato da grandi soggetti, i singoli paesi dell'Unione si dividono tra quelli che sono piccoli e quelli che non hanno ancora compreso di esser piccoli anche loro», una posizione peraltro non dissimile da quella che lo stesso Mattarella aveva preso nel dire che la procedura d'infrazione contro l'Italia sarebbe stata ingiustificata. Salvini dovrebbe leggere in preoccupata trasparenza quella sottolineatura di Mattarella sulla capacità della magistratura di «assicurare rigore e imparzialità nelle decisioni». Matteo Salvini non stacca la spina del governo per tre fondamentali ragioni: teme l'assalto giudiziario, non è certo che dopo la crisi si vada alle elezioni ed è preoccupato da un possibile isolamento internazionale. Il discorso di ieri del presidente della Repubblica, che pure ha fermamente insistito sulla necessità di porre fine alla conflittualità tra le forze politiche, lo deve avere in parte rassicurato. Così dalla tarda mattinata di ieri l'ordine di scuderia che Salvini ha impartito ai suoi è: surplace. Aspettiamo la loro mossa. E la mossa ci sarà. Lo confida alla Verità un sottosegretario leghista che frequenta molto le aule e dunque fiuta le atmosfere parlamentari. «Di Maio non li tiene più e faranno scattare un'imboscata. L'anima movimentista è ponta al muoia Sansone con tutti i filistei». Quando? Ci sono in calendario due passaggi molto stretti. Il primo è alla Camera - in calendario dal 30 al 2 agosto - ed è la lettura definitiva del testo della cosiddetta «manovrina». È il provvedimento che è servito a tenere buona l'Ue sui conti e Luigi Di Maio si è molto speso, accettando di congelare i risparmi sul «reddito di cittadinanza». Ma la vera forca caudina che i dissidenti pentastellati starebbero preparando è al Senato, dove tra l'altro la maggioranza è risicata. Arriva in aula il decreto Sicurezza bis, che la Camera ieri ha licenziato nonostante 17 onorevoli pentastellati, oltre al presidente Roberto Fico, siano usciti dall'aula. Spia del fatto che al Senato - dove basterebbero molte meno defezioni - le cose potrebbero mettersi ben peggio. Del resto i dissidenti anti Di Maio avrebbero un'occasione unica: staccare la spina la governo su un provvedimento bandiera della Lega, dando finalmente libero sfogo al loro cupio dissolvi. Luigi Di Maio è avvertito del pericolo e sta già da queste ore tessendo la tela per evitare lo strappo. Ma è avvertito anche Giuseppe Conte, e forse quel suo «da questo consesso ho ricevuto la fiducia e a questo consesso state pur certi tornerò ove mai dovessero maturare le condizioni per una cessazione anticipata dal mio incarico», rivolto ai senatori mercoledì, potrebbe essere un modo per mettere le mani avanti. È attorno a questo scenario che ruota la possibilità di crisi. «Noi stiamo alla finestra», confida il sottosegretario leghista alla Verità, «non faremo nulla per far cadere il governo finché si fanno delle cose buone per il Paese. Non so se altri hanno la forza di reggere». Si chiama tattica del surplace: nervi saldi, equilibrio e pronti allo scatto appena l'altro si muove. Il giorno buono per lo sprint verso le urne potrebbe essere il 2 agosto. Non c'è la certezza, ma un (decreto) sicurezza sì.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.
Donald Trump (Ansa)
Luci e ombre nel primo anniversario della rielezione alla Casa Bianca: promosso in Medio Oriente, rimandato sull’Ucraina. Borsa ai massimi ma «sopravvalutata». L’inflazione cresce e la Fed mantiene i tassi alti. Stallo record sulla legge di bilancio.
Gli elettori della Virginia chiamati a scegliere il nuovo governatore si sono espressi: «Trump you are fired! (sei licenziato, ndr). In uno stato però tendenzialmente blu, che nel 2024 aveva scelto Kamala Harris. E confermando il trend, ha optato per la democratica Spanberger. Sebbene il governatore uscente fosse repubblicano. Colpa dello shutdown a detta di molti. Cosa sia lo vedremo alla fine. E comunque negli ultimi 20 anni i democratici alla guida della Virginia sono stati scelti cinque volte su sette. Ma al netto delle elezioni in Virginia, e dando per scontato che la città di New York e lo Stato del New Jersey votassero democratico (per intendersi sono un po’ come Bologna e la Toscana per il Pd), a un anno esatto dalla sua rielezione alla Casa Bianca qual è il bilancio della seconda presidenza Trump?
Buchi nella sicurezza, errori di pianificazione e forse una o più talpe interne. Questi i fattori che hanno sfruttato i ladri che hanno colpito al Louvre di Parigi. Ma dove sono i gioielli e chi sono i responsabili?






