2021-07-09
Sulle cifre della transfobia si ciurla nel manico
Alessandro Zan sostiene che l'Italia abbia il più alto numero europeo di transgender uccisi. In realtà le statistiche parlano di 4 morti l'anno e non c'è prova che siano stati ammazzati per via della loro identità sessualeGentile onorevole Alessandro Zan, non ciurliamo nel manico. Il 6 luglio su Twitter ha scritto: «L'Italia ha il più alto numero di omicidi in Europa di persone trans». A stretto giro le ho chiesto: «Le dispiacerebbe fornire dati al riguardo? Non è una provocazione, giusto per sapere». Visto che non mi ha risposto, mi sono arrabattato per reperirmeli da solo, i numeri. Che testimoniano come, nel dibattere intorno al suo disegno di legge, appunto «si ciurli nel manico», ovvero - Treccani dixit - «ci si sottragga con abili raggiri» a un confronto onesto intellettualmente, assecondando invece una certa qual propensione alla manipolazione ammantata di vittimismo. Intanto qual è la dimensione dell'universo trans? Nel gennaio 2020, a Repubblica, Marina Pierdominici, ricercatrice del Centro di riferimento per la medicina di genere dell'Iss, l'Istituto superiore di sanità, dichiarò: «I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0.5 e l'1.2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, consterebbe in circa 400.000 italiani». Ciascuno può fare le valutazioni che crede - 400.000 persone sono due quartieri di Roma - a me qui preme sottolineare l'aspetto metodologico: risultati che non certificano ma «suggeriscono» una percentuale «da confermare» (certo, potrebbe essere pure più alta, oppure più bassa, perchè no? Intanto annotiamo che sul punto non si hanno certezze). Veniamo alla sua frase buttata lì sul Belpaese che detiene il triste record europeo di assassinii di trans, assioma che serve al corollario sottinteso: «Quello italiano è un popolo di killer di gay e trans, ergo il ddl va approvato subito così com'è, senza se e senza ma, prendere o lasciare». Lei potrebbe avere attinto da un post del sito thevision.com del marzo scorso. Titolo: «Siamo primi in Europa per omicidi di persone trans, ma l'Italia si rifiuta di riconoscere la sua transfobia». Incipit: «In 3 mesi in Italia sono scomparse 5 donne trans. A gennaio una di 50 anni è stata trovata senza vita a Frosinone. Pochi giorni fa è stato rinvenuto un cadavere nel Tevere». Senza vita. Cadavere. Ma: uccise? E uccise in quanto trans? Oppure trattasi di suicidio? Non si sa. «All'inizio di dicembre una trans è stata presumibilmente uccisa da un'auto pirata, anche se non si esclude che sia stata portata in strada già morta». Presumibilmente. Ma: investita in quanto trans? Oppure «già morta» per qualche altro motivo, e nel caso - se uccisa - con quale movente? Boh. «A gennaio Eduarda Pinheiro si è data fuoco dopo uno sfratto ad Altopascio». Qui l'evento tragico è chiaro nella dinamica, ma non nei presupposti: cioè, la persona era stata sfrattata perchè trans? O è stata indotta al gesto estremo perché vittima di altre violenze o atti di bullismo? Ari-boh. «Da dicembre poi non si hanno più tracce di una sex worker (notare, please, il ricorso all'inglese per non scrivere “prostituta", nda) residente a Pavia di origine brasiliana, Lara Bercelos, per la cui scomparsa è ora indagato il convivente», di cui non è fornita la nazionalità. Dice: e che ti importa del passaporto? Importa eccome, se l'articolo titola sul popolo italiano che rifiuta di ammettere la propria transfobia, ma poi, anche qui e ancora: ammesso sia stato lui a sopprimere la vittima, l'ha fatto per odio verso le persone trans? O c'era dell'altro? Finalmente al secondo capoverso dell'articolo troviamo numero complessivo e fonte: «L'Italia, secondo l'indice Trans Murder Monitoring di Transrespect versus Transphobia WorlWide, è al primo posto in Europa per vittime di transfobia». Ovvero? «36 casi». Registrati nell'ultimo anno? No: «Dal 2008 al 2016», 9 anni. Rendendosi conto che il dato potrebbe apparire esiguo, 4 all'anno (e sempre ammesso che tali uccisioni siano imputabili all'avversione violenta nei confronti dei trans), l'articolista aggiunge: «È ampiamente sottostimato». Come mai? Perchè «il numero considera solo gli omicidi riportati dai quotidiani, ma la notizia della morte di una donna trans raramente arriva alle cronache nazionali, fermandosi quasi sempre - se ci arriva - a quelle locali». Sicchè se ne dovrebbe dedurre che c'è un numero imprecisato, ma comunque rilevante («sottostimato») di omicidi, di cui non si è avuta proprio notizia, neppure a livello di cronaca locale («se ci arriva»), però così - in base a illazioni, congetture e supposizioni - vale tutto, le pare? Insomma: come vede, onorevole Zan, è facile dimostrare, con un banale esercizio di analisi logica, che si sta enfatizzando una presunta tendenza non comprovata come figlia dell'odio, e non di massa (il che, ripetiamolo per gli eventuali analfabeti funzionali, non significa che non vada prevenuta, combattuta, arginata e stroncata, come ogni altra condotta criminale, del resto). Una conferma arriva dalle tabelle dell'Oscad, l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, che dipende dal ministero dell'Interno, raccogliendo le segnalazioni (che «non sostituiscono la denuncia», ricorda il sito del ministero, segnalandone il minor peso «probatorio») giunte a polizia e carabinieri. I numeri: dal 2011 al 2019, 9 anni, gli atti di stampo omotransfobico sarebbero stati 316. 35 l'anno, 3 al mese. Se poi si allarga il perimetro, ricomprendendo anche le telefonate ai centri antiviolenza (con un computo generoso: include anche le menzioni di semplici ingiurie), si scopre che ci sarebbero stati circa 127.000 «casi» in 7 anni, ma che riguarderebbero nell'89% donne, nel 10% uomini, e solo nell'1% episodi di omotransfobia. L'1%. La confusione (interessata?) regna dunque sovrana. Anche in tema di disforia di genere, il malessere di chi non si riconosce nel sesso registrato all'anagrafe. Lo dimostra il caso di Torino dove ci sarebbe stata, ha scritto ieri La Stampa in prima pagina, addirittura «una crescita esponenziale» tra i bambini. Ossia? «Un primo caso nel 2005, un secondo nel 2007, un terzo nel 2009. Poi 37 nel triennio 2019-2021, fino a un totale di 162 casi». In 16 anni. 10 l'anno. Il bello è che nella stessa pagina la dottoressa Damiana Massara, coordinatrice del Cidigem, Centro interdipartimentale disturbi identità di genere dell'ospedale Molinette, spiega: «I numeri sono contenuti». Ah. Basta? Macchè: «I due terzi dei bambini che esprimono disturbi attraverso il gioco o l'abbigliamento o l'incertezza, nella pubertà si riallineano al sesso assegnato» (forse sarebbe meglio dire: constatato alla nascita, o no?). Ma allora, se le cifre, il contesto e i trend sono questi, scusate: di quale «piaga emergenziale endemica» stiam discutendo?