2021-03-02
I nostri scoop sul caso mascherine che hanno aiutato gli inquirenti
Già da novembre gli investigatori scandagliavano gli articoli della Verità. In un'informativa ammettevano che alcuni accertamenti sulle società degli indagati erano iniziati «sulla scorta di notizie» da noi pubblicate.La cacciata di Domenico Arcuri non è una decisione arrivata dalla sera alla mattina, ma è il frutto dei tanti errori accumulati dal commissario in un anno di lavoro. Il pasticcio che ha più pesato sul suo destino è però molto probabilmente l'affaire delle mascherine cinesi, una chiacchieratissima commessa da 1,25 miliardi di euro, di cui i più informati in Italia sono proprio i lettori della Verità. Infatti già il 19 e 20 novembre 2020, grazie a questo giornale, salta il tappo della riservatezza sulle intermediazioni milionarie incassate dagli intermediari Mario Benotti, Andrea Tommasi e Jorge Solis, oggi indagati per traffico illecito di influenze e altri reati insieme con altre cinque persone. Il «gancio» con il commissario era proprio Benotti, giornalista Rai in aspettativa, uomo che i pm di Roma definiscono un «faccendiere». E ai nostri scoop gli investigatori della Guardia di finanza hanno dedicato, il 20 e il 27 novembre, due diverse informative, intervallate da una lettera inviata dallo stesso Arcuri in Procura il 24 novembre. Anche il commissario, infatti, dopo aver letto i servizi da noi pubblicati, ha scritto ai magistrati, mettendo sé stesso e la struttura che guidava a disposizione dei pm per eventuali controlli.Soprattutto uno dei titoli sembrava essere riuscito a racchiudere in pieno il senso dell'inchiesta: «Indagine sulle mascherine di Arcuri: 72 milioni al prodiano». Cioè Benotti. E nel sommario: «Un altro pasticcio per il super commissario». La Verità aveva scoperto che fiumi di soldi pagati dalla struttura del commissario a società cinesi per l'acquisto di mascherine erano finiti in mano a improbabili broker e l'aveva denunciato in mezzo al silenzio generale. «L'inchiesta giornalistica», secondo la Guardia di finanza, ha per fonte «una Sos», una segnalazione di operazione sospetta arrivata a Bankitalia. E infatti, in uno degli articoli, che aveva come fonte anche la Sos, veniva evidenziato questo passaggio: «Questo fiume di denaro ha insospettito i risk manager di uno degli istituti bancari utilizzati dalle due aziende, i quali hanno segnalato le presunte anomalie all'unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia».Lo stesso documento era stato mandato anche alla Guardia di finanza che, infatti, ha giustapposto articolo e segnalazione; nelle pagine dell'informativa compaiono quindi le colonne della Verità sulla sinistra e sulla destra i passaggi della Sos. Ma è dalle verifiche giornalistiche che gli investigatori sembrano aver tratto spunti ritenuti utili all'inchiesta.«Sulla scorta delle notizie acquisite dai richiamati articoli di stampa», scrivono gli investigatori, «sono stati eseguiti approfondimenti in ordine alle società̀ riferibili ai citati Benotti e Guarnieri (Daniela Rossana Guarnieri, moglie di Benotti, ndr), al fine di individuare l'effettivo incasso della richiamata provvigione, tenuto conto che dalla consultazione dell'Anagrafe tributaria, applicativo fatture e corrispettivi, la richiamata Microproducts it srl (la società di Benotti, ndr), a differenza della Sunsky, non risulta aver emesso fatture transfrontaliere nei confronti delle aziende cinesi fornitrici di mascherine citate nell'articolo di stampa (Luokai, Wenzhou light e Wenzhou moon ray), per le commissioni corrisposte».A quel punto i finanzieri hanno cominciato a fare le pulci alle società, partendo dalle visure camerali che aveva fatto La Verità. Ai pm viene chiesto anche «di valutare l'opportunità di emettere un ordine di esibizione e consegna della documentazione bancaria». Cosa che effettivamente viene fatta poco dopo. Il terzo step investigativo (prima dei sequestri bancari e delle misure cautelari) sono state le perquisizioni, durante le quali, tra le parole chiave inserite dai finanzieri nei computer degli indagati, c'erano anche i nomi dei cronisti della Verità. Nel decreto di sequestro preventivo d'urgenza delle somme sui conti correnti degli indagati, ma anche dei beni che nel frattempo avevano comprato (Rolex, Lamborghini, loft e altri beni di lusso), i magistrati della Procura registrano che le pubblicazioni della Verità hanno «provocato una comprensibile fibrillazione all'interno del gruppo Benotti-Tommasi». Non solo, «le stesse spiegazioni che Tommasi e Benotti hanno offerto al giornalista della Verità che li ha intervistati telefonicamente», annotano i pm, «appaiono confermare la mediazione». E neppure la tesi difensiva dei due indagati, che si propongono nel ruolo di salvatori della Patria, pronti a correre in soccorso di Arcuri («a loro dire incapace di svolgere il suo ruolo di acquisizione e coordinamento delle forniture», chiosano i magistrati), «appare idonea a scalfire la fondatezza dell'ipotesi accusatoria».Infine, «le risposte» e le «rappresentazioni dei fatti» che Benotti e Tommasi hanno fornito alla Verità «sono registrate e agli atti», ricordano le toghe, che riservano alle interviste intercettate e ai nostri scoop un intero paragrafo del documento giudiziario.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)