La scuola italiana cade a pezzi, e non è né di un gioco di parole né eccesso di catastrofismo: è lo stato letterale dei 40.151 edifici scolastici.
La scuola italiana cade a pezzi, e non è né di un gioco di parole né eccesso di catastrofismo: è lo stato letterale dei 40.151 edifici scolastici.Se pensate che fare il ministro dell'Istruzione sia un lavoro facile vi sbagliate. Sindacati a parte, quella che si trova a dover gestire Lorenzo Fioramonti è una patata bollente. Bollentissima. Perché? Perché la scuola italiana cade a pezzi, e non è né di un gioco di parole né eccesso di catastrofismo: è lo stato letterale dei 40.151 edifici scolastici.Volete le prove? Va bene, partiamo dall'età (su quella degli insegnanti stendiamo un velo pietoso: i nostri prof sono i più anziani dell'Ocse: trovare un docente under 30 è un'impresa). Ebbene: il 12,7% di tutte le scuole italiane ha più di 70 anni e, addirittura, l'1,37% è stato costruito prima del 1800. La situazione peggiore è nella provincia di Genova dove il 40,56% delle scuole esisteva da prima del 1946. Seguono, nella classifica delle province con le scuole più anziane, Trieste con il 39,22% e Imperia con il 38,59%. Gli edifici più recenti sono nel Sud: gli istituti che sono stati costruiti dopo il 1976 sono concentrati per la maggior parte a Cagliari (59,57%), Barletta (56,91%) e Bari (55,26%).Ok, le scuole italiane sono vecchie. Ma, almeno, sono sicure? Beh... purtroppo no. Ma proprio per niente. Le scuole che sono state costruite seguendo criteri antisismici e che si trovano nelle zone con un basso rischio di terremoto sono solo il 7,35. Nelle aree del Paese nelle quali il rischio sismico è invece medio-alto, appena il 20,47% (un quinto) delle scuole è antisismico mentre nelle zone in cui il rischio di terremoto è alto le scuole sicure sono solo il 25,9%. Proprio così: solo un quarto delle scuole che sono state costruite in aree a rischio resterebbero in piedi in caso di un sisma. Come se tutto ciò non bastasse, c'è un'altra insufficienza nella pagella della scuola italiana: l'accessibilità. Gli alunni che hanno un qualche problema di deambulazione sono oltre 270mila, cioè il 3,1% di tutti gli iscritti. Di questi studenti, solo una piccola parte può andare a scuola senza problemi: infatti, appena il 32% degli istituti non presenta barriere architettoniche (il dato, ufficiale del Miur, si riferisce al 2018, ma secondo il predecessore di Lorenzo Fioramonti, Marco Bussetti le barriere, nel 2019, sono non esistono nel 74,5% degli edifici: sarà stato un miracolo...) e solo il 18% non presenta barriere senso-percettive che rendono impossibili movimenti autonomi da parte di studenti audio e/o video lesi. La regione messa meglio, da questo punto di vista, è la Valle d'Aosta (prima regione italiana per assenza di barriere, con oltre il 46,8% di scuole accessibili a tutti). Seguono altre tre regioni settentrionali - Friuli, Trentino, Lombardia ed Emilia Romagna - a cui si aggiunge l'Umbria, che hanno una percentuale di scuole prive di barriere architettoniche pari al 40,5%. Ad eccezione di Puglia e Sardegna, che hanno il 31,5% di scuole accessibili, le regioni del Sud non passano l'esame: solo una scuola su quattro non presenta barriere. Fin qui i dati dell'anagrafe dell'edilizia scolastica del 2018. Ma ci sono dati anche più recenti che fanno letteralmente rabbrividire. Per esempio: il 59,5% delle scuole non ha il certificato anti incendio; il 53,8% (cioè più della metà!) non l'agibilità/abitabilità e il 21,4% non ha il piano di emergenza. Che, invece, sarebbe utile, vista la percentuale ridicola di edifici costruiti senza seguire i criteri antisismici. Almeno, in caso di terremoto, si sa da che parte scappare.
Vincenzo Bassi, presidente della Fafce (Ansa)
Ursula von der Leyen chiude i rubinetti alla cattolica Fafce. Carlo Fidanza: «Discriminazione ideologica».
Dica l’associazione candidata se al centro della propria attività figura la promozione della disparità di genere. Se non c’è, niente finanziamenti Ue. È quanto si è vista rispondere la Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche europee (Fafce), incredibilmente esclusa dai fondi per progetti europei perché, secondo la Commissione Ue, pone la promozione della famiglia composta da uomo e donna al centro della propria attività e dunque «fornisce informazioni limitate sulla disparità di genere», contravvenendo alle «misure europee per l’uguaglianza».
Kaja Kallas (Ansa)
I ministri della Cultura lanciano un appello per far fronte alla presunta minaccia di Vladimir Putin, invocando perfino l’uso del cinema per promuovere i valori dell’Unione. E Kaja Kallas manipola la storia: «Russia mai attaccata negli ultimi 100 anni». Scorda i nazisti...
Il circolo culturale di Bruxelles è salito in cattedra. Non trovando una strada percorribile e condivisa per mettere fine alla guerra in Ucraina, l’Unione europea ha deciso di buttarla sulla Storia, sulle infrastrutture culturali, sulla «resilienza democratica», «sui contenuti dai valori comuni». Armiamoci e studiate. Così ti viene il dubbio: stai a vedere che Fedor Dostoevskij torna ad essere praticabile nelle università italiane e il presidente Sergio Mattarella fra otto giorni va alla prima della Scala ad applaudire Dmitrij Sciostakovic. Niente di tutto questo, con la Russia non si condivide nulla. Lei rimane fuori, oltrecortina: è il nemico alle porte.
Volodymyr Zelensky e il suo braccio destro, Andriy Yermak (Ansa)
Perquisiti dall’Anticorruzione uffici e abitazione del «Cardinale verde»: parte dei fondi neri sarebbe servita a procurargli una casa di lusso. Lui e l’indagato Rustem Umerov dovevano strappare agli Usa una pace meno dura.
Alì Babà. Nelle mille ore (e mille e una notte) di registrazioni, che hanno permesso alle autorità ucraine di ascoltare i «ladroni» della Tangentopoli di Kiev, era quello il nome in codice di Andriy Yermak, braccio destro di Volodymyr Zelensky. Ieri, dopo un blitz degli agenti, è stato costretto a lasciare il suo incarico di capo dello staff del presidente. La Procura anticorruzione (Sapo) e l’Ufficio anticorruzione (Nabu) hanno condotto perquisizioni nel suo appartamento e nei suoi uffici. Non risulta indagato, ma la svolta pare imminente: la testata Dzerkalo Tyzhnia sostiene che a breve saranno trasmessi i capi d’imputazione.
Sergio Mattarella (Getty Images)
Rotondi: «Il presidente ha detto che non permetterà di cambiare le regole a ridosso del voto». Ma nel 2017 fu proprio Re Sergio a firmare il Rosatellum a 4 mesi dalle urne. Ora si rischia un Parlamento bloccato per impedire di eleggere un successore di destra.
Augusto Minzolini riferisce una voce raccolta da Gianfranco Rotondi. Durante un incontro tenuto con l’associazione che raggruppa gli ex parlamentari, Sergio Mattarella si sarebbe lasciato andare a un giudizio tranchant: «Non permetterò che si faccia una legge elettorale a ridosso del voto. Abbiamo avuto l’esperienza del Mattarellum, che fu approvato poco prima delle elezioni, e diversi partiti arrivarono alle urne impreparati. Bisogna dare il tempo alle forze politiche di organizzarsi e prepararsi alle nuove elezioni». Lasciamo perdere il tono usato dal capo dello Stato («non permetterò…» sembra una frase più adatta a un monarca che al presidente di una Repubblica parlamentare, ma forse l’inquilino del Quirinale si sente proprio un sovrano) e andiamo al sodo.






