2023-06-19
I nostri anziani «sequestrati» da chi dovrebbe proteggerli
Gli amministratori di sostegno sono quelle figure nate per difendere chi, a causa di infermità o demenza senile, è impossibilitato a provvedere ai propri interessi Spesso, tuttavia, vanno ben oltre e compiono veri e propri abusi, isolando le persone dalle loro famiglie e disponendone come se fossero loro proprietà.La storia di Chiara, compagna di vita di Antonio, estromessa di punto in bianco dalla sua vita dopo un malore.L’avvocato Michele Capano: «Il giudice tutelare dovrebbe controllare, ma spesso non vuole rotture. E c’è un mercato parassitario da alimentare».Lo speciale contiene tre articoliBarbara Pavarotti da 13 mesi non può vedere il suo compagno. Non sa nemmeno dove sia. L’ultimo ricordo che ha di lui è un audio del 10 maggio 2022.Anna Estdahl per volere dell’amministratore di sostegno poteva vedere la madre solo per 30 minuti.Marta non poteva andare a trovare la mamma in casa di riposo. L’amministratore di sostegno glielo impediva. Alla fine la madre è morta.Carla Cannas non poteva sapere come stesse la mamma chiusa in ospedale. Per privacy l’amministratore di sostegno non le dava informazioni. La madre è morta.Il padre di Cristina D’Antona è stato legato a letto per tre mesi perché voleva uscire dalla Rsa. È morto anche lui.Della «Bibbiano degli anziani» non parla nessuno. Gli anziani e i fragili sono considerati «materiale di scarto». Come i migranti, in alcuni casi, diventano oggetto di un business su cui fare soldi. La Verità ha fatto un’inchiesta per scoperchiare questo vaso di Pandora.Un destino crudo spietato implacabile, dove i vecchi valori hanno ceduto il passo a una disumanità senza scrupoli.«Muoiono soli», ci dicevano durante il Covid. Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere, quando per due anni siamo stati privati dei nostri diritti. Ma accade anche oggi. È sempre accaduto.Ci sono anziani strappati alle loro famiglie, costretti a vivere e morire in strutture che un tempo chiamavamo ospizi. Chi ci incappa sa che dovrà affrontare anni di dolore, angosce e tormenti. E il finale è quasi sempre tragico.Il compagno della giornalista Barbara Pavarotti è affetto da demenza, l’amministratore di sostegno l’ha chiuso in una casa di riposo della periferia di Roma e ora lei non sa dove sia. «Cellulare sequestrato e zero contatti», ci racconta, «lo Stato mi proibisce di vedere l’uomo che ho frequentato ininterrottamente dal 2009. E ora lui non può più far valere la sua volontà».La volontà dei «beneficiari» passa in secondo piano. In alcuni casi viene quasi azzerata.Al punto da non permettere loro di incontrare amici, parenti. Al punto da reciderne i legami, spezzarli, frantumarli, spaccarli e schiantarli sul muro.Una figura quella dell’amministratore di sostegno (ads) istituita nel 2004, varata a fin di «bene», ma che in fin troppi casi è sfuggita di mano. Si tratta di una disposizione interpretabile. Dentro ci finiscono tutte le persone, non solo affette da infermità o patologie, ma anche anziani, deboli, chiunque sia privo di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana. Gli ads vengono nominati dai giudici tutelari, che spesso vedono i beneficiari in fotografia, e molte volte non sono i parenti stretti. Sono avvocati, persone terze. La scelta, dovrebbe avvenire, «con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario». Ma il recinto dei poteri dell’ads non ha bordi precisi. Si va dalla cura della persona a quella del patrimonio. L’ads può gestire libretti e conti bancari; vendere beni mobili e immobili. Può regolare a sua discrezione i rapporti sociali e si sa, laddove esistano beghe familiari, a rimetterci sono sempre i vecchi, così come nelle cause di separazione, dove a pagarne il prezzo sono sempre i figli.Può anche commissionare perizie mediche a esperti di sua fiducia e può chiedere che la persona venga collocata in qualche struttura adibita o in qualche Rsa. A volte nemmeno i figli, se non autorizzati, possono accedervi.Marta - nome di fantasia - si è messa in contatto con noi un anno fa. Lei non poteva andare a trovare la mamma in una casa di riposo nelle Marche. L’amministratore di sostegno nominato su volontà dei fratelli, glielo impediva o garantiva visite striminzite. Era la stessa madre ad aver firmato una carta dove chiedeva per favore di essere spostata di struttura - quella era troppo lontana - cosicché la figlia potesse andare a trovarla più spesso. Alla fine la mamma dentro la casa di riposo c’è morta.Dora Piarulli, di Camaiore (Lucca), la madre di Anna Estdahl, è finita in una rsa contro la sua volontà. «Mia madre», ci dice Anna, «soffriva di depressione, ma ha iniziato a perdere autonomia dopo le due dosi di vaccino. Un anno dopo i vaccini ha avuto un ictus. Dopo il ricovero in ospedale, l’hanno trasferita in struttura contro la sua volontà e con l’inganno. L’ads mi vietava anche di portarla fuori in cortile. Non sapevo nemmeno la terapia che le davano sempre per volere dell’amministratore».La figlia dopo varie tribolazioni è riuscita a farla uscire dopo un provvedimento del giudice tutelare «ma l’ads è rimasto sempre lo stesso, nonostante mia madre non lo volesse».C’è anche Carla Cannas di Carbonia, in Sardegna. «L’amministratore di sostegno aveva dato indicazioni ai medici di non dare notizie sullo stato di salute di mia madre». La mamma alla fine è morta. «Dove sono finiti i soldi di mamma? Può un ads negare ai figli informazioni sanitarie sulla madre morente? A questi amministratori vengono dati troppi poteri e tutto avviene senza alcun controllo».L’ads percepisce un’indennità e ci sono amministratori che hanno sotto di sé anche 50 beneficiari. Se per ognuno prendono 200 euro al mese, fate voi il conto. La giurisprudenza riconosce al compenso natura non reddituale ma compensativo - remunerativa, e quindi non va dichiarato nel reddito ai fini Irpef e non va maggiorato di oneri accessori. Tombola.A un’altra Carla - anche qui siamo nelle Marche - è successo che l’amministratore di sostegno del fratello, su indicazione dei servizi sociali del comune, le chiedesse di concedere la casa a qualche povero o a qualche migrante. Alla fine l’ha quasi convinta a venderla «perché così ci puoi pagare le rette della struttura» che sono molto alte. Le vendite vengono affidate ad agenzie che l’amministratore di sostegno conosce. E che dire di Manuela G., di Udine. L’ads del padre vuole vendergli la casa, «ma mio padre non vuole».Il papà di Cristina D’Antona in struttura c’è finito a 75 anni. «Lo legavano dalle 18 alle 8 del mattino con una fascia», dice in lacrime mostrandoci la foto del padre immobilizzato. Anche qui l’ads era un avvocato. Il padre dopo 4 anni, a gennaio 2023, è morto. La figlia non sa ancora di cosa.A settembre 2022 un ads che gestiva il conto di un pensionato di 85 anni a Bologna è stato indagato per peculato aggravato, abuso d’ufficio e omissione atti d’ufficio per non aver rendicontato il patrimonio dell’anziano che poi è morto. Dal conto corrente della vittima avrebbe sottratto oltre 70.000 euro e avrebbe messo in affitto l’appartamento tenendo per sé il canone.Un assessore ai Servizi sociali di Pavia è stato condannato a 11 anni di reclusione per aver messo in atto un «sistematico saccheggio» ai danni di chi era sotto la sua tutela. La sentenza che lo condanna è una sfilza di nomi di vittime con oltre 40 soggetti coinvolti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-nostri-anziani-sequestrati-da-chi-dovrebbe-proteggerli-2661483305.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-30-anni-insieme-a-lui-ora-sono-nessuno" data-post-id="2661483305" data-published-at="1687047554" data-use-pagination="False"> «Per 30 anni insieme a lui, ora sono nessuno» Chiara F, non usiamo il cognome esteso per volere dell’interessata, ha scritto una lettera. La missiva titola «Io sono nessuno». Chiara ha 70 anni. Ed è residente nella provincia di Roma. Per oltre 30 anni della sua vita, è stata con il suo compagno Antonio, di anni 81. Solo che non erano sposati. Stavano organizzando il loro matrimonio quando a settembre 2021, Antonio ha avuto un malore. Quel giorno Chiara chiama l’ambulanza e Antonio viene trasportato d’urgenza in ospedale. Viene ricoverato per alcuni accertamenti e alla fine ci rimane dodici giorni. Lei va a trovarlo ogni giorno, se ne prende cura, lo sente per telefono, lo tranquillizza. Lo assiste come si assiste un bambino a cui dai da mangiare ogni giorno. Gli dà tutto l’amore possibile come come fa chi si ama anche se quel sentimento non è suggellato in un contratto. Trascorso il periodo del ricovero, crede di andarlo a prendere per portarlo a casa e invece la sorpresa. La figlia di lui aveva chiesto il trasferimento in una Rsa. Chiara rimane basita. Non sa che fare. Non può essere. «Non ero d’accordo», ci racconta, «secondo i medici era necessaria una riabilitazione motoria e non un ricovero in una struttura e poi non ero stata in alcun modo interpellata, ma solo informata di una decisione già presa da sua figlia». Da lì inizia il calvario. È il 12 ottobre 2021. Chiara all’indomani del trasferimento nella Rsa si reca nella struttura ma «appena arrivata, i dipendenti e il medico responsabile mi dicono che non potevo vedere il mio compagno in quanto io alla fine ero nessuno. Avevo vissuto una vita insieme al mio uomo ma non avevo alcun diritto. Capisce? Il futuro di Antonio era nelle mani dei figli che avevano già deciso e stabilito tutto. A nulla è servito spiegare al personale della struttura che ero la sua compagna perché non mi hanno permesso di vederlo». Per Chiara diventa impossibile prendere un appuntamento, «non rispondevano al telefono, quando riuscivo finalmente a ottenere un colloquio si trattava di mezz’ora da dividere con la figlia. Ogni volta che incontravo Antonio, che già si trovava in una situazione di difficoltà psicologica, allontanato da ogni punto di riferimento, lui mi chiedeva di tirarlo fuori di lì, di riportarlo a casa, di fare qualcosa per lui». Già ma come vi abbiamo raccontato in questa inchiesta la volontà dei deboli passa in secondo piano. «Era stato anche privato del suo telefono cellulare. Smarrito? Nessuno ha saputo dirmi niente», continua. Chiara così decide di sporgere denuncia ai carabinieri contro ignoti e chiede un provvedimento d’urgenza per ottenere un permesso per vedere il compagno di una vita. Il tribunale le fissa un’udienza, durante la quale scopre che la figlia aveva chiesto l’amministrazione di sostegno, e si opponeva al suo diritto di visita. Non sono semplici beghe familiari, ne va di mezzo la volontà dell’interessato, dell’anziano, di quelli che vengono messi dentro le case di riposo per restarci anche se non vogliono, lontano dagli affetti. Chiara ottiene dal tribunale il permesso provvisorio e dopo un anno riesce a fargli visita. Si rivolge al giudice tutelare per tentare almeno di farlo uscire per qualche ora per andare a mangiare un gelato. Ma anche qui arriva il niet. «Il giudice tutelare rigetta l’istanza», c’è scritto nell’ordinanza del tribunale di Frosinone. «Il permesso dopo cinque mesi mi è stato negato senza alcuna spiegazione». Ora Chiara dopo varie tribolazioni è riuscita a ottenere il riconoscimento della convivenza però di fatto il suo compagno rimane segregato in struttura e sotto amministratore di sostegno. «So per certo che Antonio non tornerà più a casa. È come se fossi rimasta vedova da quel giorno. Non solo non ha recuperato le capacità motorie - basti pensare che è entrato con le sue gambe e ora è costretto su una sedia a rotelle - ma si sta spegnendo di giorno in giorno, lontano da quello che era il suo mondo. Abbiamo condiviso gioie e dolori, viaggi e vacanze, feste, ricorrenze, serate con gli amici e con i miei figli. Di tutto questo non è rimasto più niente». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-nostri-anziani-sequestrati-da-chi-dovrebbe-proteggerli-2661483305.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="vogliono-isolare-i-vecchietti-per-poterli-sfruttare" data-post-id="2661483305" data-published-at="1687047554" data-use-pagination="False"> «Vogliono isolare i vecchietti per poterli sfruttare» Michele Capano è un avvocato di Salerno. Ed è il presidente dell’associazione radicale Diritti alla follia, associazione che si occupa di tutela e promozione dei diritti fondamentali delle persone in ambito psichiatrico e giuridico. Avvocato Capano, quanti sono gli amministratori di sostegno in Italia? «Non si conoscono i numeri e questo è uno dei principali problemi. Si stimano intorno alle 400.000 amministrazioni di sostegno (dati non ufficiali)». Chi stabilisce fin dove possono arrivare e che poteri hanno? «Il giudice tutelare. Ma costui non ha tempo, non vuole rotture. Ha nominato lui l’amministratore ed è portato a difenderlo e sostenerne l’operato. Se è un cattivo ads, vuol dire che il giudice ha sbagliato a nominarlo. Ma i giudici italiani si farebbero ammazzare prima di ammettere un errore. Piuttosto, ne commettono altri cento per coprire quell’errore e non ammetterlo. Anche questo è un grande problema culturale». Quanto dura l’incarico? «Il decreto indica la durata. Può anche essere a tempo indeterminato». «Perché gli ads possono addirittura impedire agli assistiti di vedere i familiari?». «La legge non esplicita quali “limiti” ci siano ai poteri dell’ads. Il famoso “abito su misura” diventa, in decine di migliaia di casi, una camicia di forza, sempre per il “bene” dell’individuo, intendiamoci. Questo “bene”, valutato insindacabilmente da ads e giudice tutelare, nonostante ogni protesta del diretto interessato, può significare non poter vedere la propria madre, la propria figlia, il proprio compagno». E questo è il bene? «Questo, guarda caso, coincide con una situazione in cui la persona è isolata. Queste esistenze “galleggianti” servono a salvaguardare i posti di lavoro degli ads e il gigantesco mercato parassitario che si muove attorno a costoro: eserciti di badanti, consulenti, operatori sanitari. Non vi è norma alcuna che attribuisca il diritto ai familiari di contestare le decisioni dell’amministratore di sostegno». Ma non ci dovrebbe essere qualcuno che controlli ? «C’è: dovrebbe essere il giudice tutelare. Solo che quest’ultimo non di rado è legato all’ads. E poi il giudice lo ha nominato, figuriamoci quale “controllo” possa esercitare. E chi controlla il giudice tutelare? Nessuno». Questi amministratori da chi vengono pagati? «Dai loro beneficiari, con indennità stabilite dal giudice. Qua e là cominciano a comparire dei “tariffari”. Alcuni ads, anno dopo anno, “si mangiano” - esentasse - i patrimoni delle persone che amministrano. Neanche le pensioncine si salvano: i 100 euro di indennità mensile da prelevare sulla magra pensione di un ospite di una casa di riposo si trova sempre, tanto il recluso cosa se ne fa di quei soldi?». Insomma. «Anche solo 100 euro, moltiplicato per 40 vecchietti, fa 4.000 euro al mese». Di media quante persone può gestire un ads? «Non vi è un limite nell’attuale normativa, anche questo è un problema» C’è un modo per scardinare questo sistema? «È una questione culturale. Queste cose accadono perché la collettività lo permette. In alcuni casi i figli vogliono impossessarsi degli averi dei genitori anzitempo, i genitori vogliono che i figli “con disagio” si tolgano dalle scatole e vengano rinchiusi in qualche comunità. Quando vorremo cose diverse, allora accadranno cose diverse». Lei ha scritto al presidente della Repubblica. Cosa le ha scritto? «La verità. Quello che accade alle persone, alle famiglie. Le esistenze negate, le libertà violate, la morsa istituzionale dentro la quale vengono stritolate migliaia e migliaia di persone. Ciò accade in violazione degli obblighi internazionali assunti dall’Italia firmando la Convenzione Onu sui diritti dei disabili nel 2006». Le ha risposto? «Certo. Le mostro la lettera di risposta. “Il presidente della Repubblica”, scrive il direttore dell’ufficio, “segue con costante attenzione i temi connessi alla tutela dei soggetti vulnerabili (…). Assicuro la tempestiva trasmissione delle richieste avanzate. Con i migliori saluti”».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi
La commemorazione di Charlie Kirk in consiglio comunale a Genova. Nel riquadro, Claudio Chiarotti (Ansa)