Malgrado gli allarmi dell'Ocse e del Fmi, il sistema previdenziale della Germania rischia di non stare in piedi. Colpa delle mancate riforme e del lavoro giovanile sottopagato che compromette la contribuzione futura. Angela Merkel a un bivio: non sa se alzare le tasse.L'ultimo allarme in ordine di tempo l'ha lanciato il Fondo monetario internazionale. Secondo gli ispettori che si sono occupati di stilare il consueto rapporto di sorveglianza annuale denominato «Article IV», la Germania farebbe bene a valutare l'introduzione di una «riforma delle pensioni e del mercato del lavoro al fine di prolungare l'età lavorativa, aumentando la partecipazione della forza lavoro da parte dei lavoratori anziani». Nel 2017 era stato invece l'Ocse ad ammonire severamente Berlino. Nel focus dedicato alla Germania del rapporto Pensions at a glance si legge infatti che «il rapido invecchiamento della popolazione rappresenta una sfida alla sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico pubblico». «Se la normativa dovesse rimanere quella attuale», proseguono gli analisti, «la spesa pubblica per le pensioni dovrebbe passare dall'attuale 10% sul Pil al 12,5% nel 2050, sottraendo importanti risorse agli altri strumenti di welfare». Quello relativo alle pensioni è un tema che preoccupa sempre di più i tedeschi: secondo un sondaggio Eurobarometer, il 18% dei cittadini lo ritiene uno dei due problemi più urgenti del Paese. Se quelle citate possono sembrare cifre astratte, basti sapere che per merito (o per colpa) delle durissime riforme introdotte negli ultimi anni, il costo del tanto vituperato sistema pensionistico italiano è destinato a scendere, seppur nel lungo termine. Le stime del Mef prevedono che, dopo aver raggiunto un picco del 16,3% sul Pil nel 2040, la spesa scenderà gradualmente fino al 13,1% nel 2070. Insomma, mentre il nostro Paese si muove pur con molta fatica nella direzione suggerita dagli organismi internazionali, in Germania il tema delle pensioni rischia di diventare una vera e propria bomba a orologeria. C'è di più: grazie all'allungamento dell'età pensionabile, i nostri già alti tassi di sostituzione (vale a dire il rapporto tra la pensione e l'ultima retribuzione percepita in carriera) sono destinati a crescere ulteriormente (83% contro l'attuale 71%). I futuri pensionati tedeschi riceveranno invece un trattamento pari appena al 51% dello stipendio, ben al di sotto della media Ocse che è pari al 63%.Sotto accusa in particolare il meccanismo denominato «Rente mit 63», che consente di andare in pensione a 63 anni con 35 anni di contributi accettando una penalizzazione dello 0,3% per ogni mese anticipato rispetto al termine standard (fino a un massimo del 14,4%), oppure senza penalizzazione con 45 anni di contribuzione. L'Ocse osserva che questa opzione «non incentiva adeguatamente chi decide di prolungare la propria carriera oltre i 45 anni». Per questo motivo i lavoratori tedeschi sono disposti ad accettare di buon grado di andare in pensione un po' prima, ma con una pensione più bassa, piuttosto che lavorare a oltranza. D'altronde, tutto il mondo è Paese. Ma non è solo una questione di età pensionabile. Un grosso problema è rappresentato dal proliferare dei minijob e del lavoro sottopagato, che rischiano di sfornare una generazione di futuri pensionati poveri. «Il legame molto stretto che intercorre tra stipendi e pensioni rischia di trasferire l'incremento della diseguaglianza dei salari nell'incremento della diseguaglianza nelle pensioni», fanno presente dall'Ocse.Secondo uno studio citato dal quotidiano Handesblatt, la riforma delle pensioni introdotta nel 2014, che comprende oltre alle norma per il pensionamento anticipato anche un sostanzioso aumento per i trattamenti delle lavoratrici madri, finirà per costare alla collettività oltre 100 miliardi di euro. Una cifra che va ben oltre le previsioni del governo Merkel. Per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema lo scorso gennaio l'associazione Neue soziale marktwirtschaft, che ha stretti legami con il mondo sindacale, ha affittato ampi spazi pubblicitari sui principali quotidiani nazionali. Una delle locandine ritrae un bimbo ancora nel grembo materno e riporta la scritta «i vostri progetti sulle pensioni sono il mio peggiore incubo».L'andamento demografico non fa ben sperare. L'età media, oggi pari a 82,2 anni, è destinata a salire fino a 83,9 anni nel 2025. La percentuale di persone oltre i 67 anni passerà invece dall'attuale 18,7% al 25,8% nel 2035. Nemmeno l'immigrazione potrà risolvere i problemi delle future pensioni tedesche. I calcoli effettuati dal team del professor Martin Werding dell'Università della Ruhr dicono che per mantenere l'attuale livello delle pensioni non sarebbero sufficienti nemmeno 300.000 nuovi migranti l'anno. «L'economia tedesca continua ad andare a gonfie vele, ma l'aria inizia a farsi rarefatta», si legge nel rapporto congiunto di primavera elaborato dai principali istituti di ricerca economica. Le possibili soluzioni individuate dagli esperti per sciogliere il nodo delle pensioni sono solo due: l'aumento dell'età pensionabile a 70 anni oppure l'ingresso di mezzo milione di immigrati all'anno, possibilmente qualificati. I margini di manovra per Angela Merkel sono più che risicati. La cancelliera non può permettersi di aumentare i contributi previdenziali per sostenere la spesa corrente, né tantomeno di fronteggiare una guerra commerciale. Entrambe le eventualità provocherebbero una fuga degli investitori con conseguente emorragia di manodopera. Sul fronte interno invece l'ascesa di Alternative für Deutschland rappresenta un potente argine al tentativo di allargare le maglie delle politiche migratorie. Un rompicapo che, se trascurato, rischia di trasformare il boom dell'economia tedesca in un pallido ricordo.
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